argomento: Principi generali e fonti - Giurisprudenza
La pronuncia annotata affronta il tema della controversa natura dei contributi regionali sul materiale estrattivo, ritenendo di doverne escludere la natura tributaria in quanto non presentano gli indefettibili requisiti propri del tributo, assumendo, tuttalpiù, funzione indennitaria del pregiudizio subito dalla collettività in conseguenza della gestione delle cave. I contributi posti all’interesse della Corte, secondo quest’ultima, sono volti a coprire le spese che il comune deve sostenere per il ripristino delle condizioni ambientali e territoriali pregiudicate dall’attività̀ di estrazione
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 3 ottobre 2024, ord. n. 25939)PAROLE CHIAVE: contributo - attivitā estrattiva - pregiudizio ambientale
di Arianna Davoglio
1. Con l’ordinanza annotata, la Corte di cassazione torna ad occuparsi della natura dei contributi regionali sul materiale estrattivo. In particolare, la Corte esclude la natura tributaria dei contributi in esame, sottolineandone, al più, la funzione indennitaria del pregiudizio subito dalla collettività a causa dell’esercizio dell’attività estrattiva di cava.
Per comprendere la ratio della decisione è necessario delineare il contesto normativo in cui essa si inserisce ed in cui le norme oggetto di censura si collocano.
La normativa generale in materia di cave è costituita dal regio decreto del 29 luglio 1927, n. 1443, il quale impone che «le miniere possono essere coltivate soltanto da chi ne abbia avuto la concessione» (art. 14). Tale disposizione si applica, per estensione, anche alla coltivazione di cave e torbiere, la cui disciplina è di competenza regionale (per una più ampia trattazione sulla disciplina delle cave e torbiere, si veda Vaccarella, La disciplina delle attività estrattive nell'amministrazione del territorio, Torino, 2010).
I contributi sul materiale estrattivo della Regione Campania sono (i) l’art. 17 della legge regionale Campania dell’11 agosto 2005, n. 15, il quale prevede il versamento – in capo al soggetto titolare di autorizzazione o di concessione – di un contributo annuo parametrato alla quantità di materiale estratto, (ii) l’art. 19 della legge regionale Campania del 30 gennaio 2008, n. 1, denominato «contributo ambientale» e destinato per il 50% ad alimentare un «Fondo per la ecosostenibilità» e per il restante 50% a finanziare una serie di spese riferibili all’attività estrattiva e (iii) l’art. 18 della normativa quadro della Regione Campania del 13 dicembre 1985, n. 54, volto a sostenere le spese di ricomposizione ambientale. La Corte, nell’ordinanza annotata, si occupa solo della natura dei primi due contributi citati (cfr. art. 17, Campania n. 15/2005 e art. 19, L.R. Campania n. 1/2008), ai quali estende le riflessioni in precedenza mosse con riferimento al contributo previsto dalla normativa quadro (cfr. art. 18 L.R. Campania n. 54/1985, come interpretato dalla Corte in innumerevoli sentenze, tra le varie Cass., sez. un., 21 gennaio 2020, n. 1182).
Tutti e tre i contributi richiamati rispondono al principale scopo di protezione e salvaguardia dell’ambiente (art. 18, L.R. Campania n. 54/1985; art. 15 L.R. Campania n. 1/2008; art. 17 Campania n. 15/2005, come precisato, tra le varie, dalla Corte cost., 15 aprile 2024, n. 57).
La funzione di tutela ambientale dei contributi si evince chiaramente anche dall’art. 9 della Legge regionale Campania del 13 dicembre 1985, n. 54, rubricato «ricomposizione ambientale». L’attività di ricomposizione ambientale consiste nell’insieme «delle azioni […] aventi lo scopo di realizzare sull’area ove si svolge l’attività di cava […] un assetto dei luoghi ordinato e tendente alla salvaguardia dell’ambiente naturale ed alla conservazione della possibilità̀ di riuso del suolo» (art. 9), il cui finanziamento dovrà essere sostenuto dal titolare dell’autorizzazione o della concessione, in quanto soggetto che, con l’espletamento della propria attività, cagiona un pregiudizio alla collettività.
I tre contributi in commento non si limitano però a coprire la spesa necessaria alle opere di ricomposizione ambientale sopra definite, ma sono altresì volti al finanziamento di interventi pubblici ulteriori. La stessa Corte costituzionale ne ha enfatizzato la funzione e gli effetti di protezione dell’ambiente. In particolare, decidendo in favore della legittimità costituzionale (in termini di ragionevolezza intrinseca e di uguaglianza) dell’art. 17 della legge regionale Campania dell’11 agosto 2005, n. 15 e dell’art. 19 della legge regionale Campania del 30 gennaio 2008, n. 1, la Corte ha ritenuto tali disposizioni finalizzate non solo al «mero ripristino del territorio a seguito dei danni causati dall’attività estrattiva» ma anche al «miglioramento complessivo che il territorio medesimo può ottenere da infrastrutture capaci di bilanciare le compromissioni subite» (cfr. Corte cost., 15 aprile 2024, n. 57). Per queste ragioni, è giustificata l’imputazione di maggiori costi in capo alle imprese che svolgono attività estrattiva.
2. La Corte di cassazione, sulla scia dei precedenti orientamenti sul tema (tra i vari, Cass., sez. un., 21 gennaio 2020, n. 1182), ha chiarito che i contributi in esame non hanno natura tributaria, in quanto mancano degli “indefettibili requisiti” propri del tributo.
Per comprendere tale statuizione, è imprescindibile partire da alcuni assunti di carattere generale. La definizione di tributo è tema arcinoto: dottrina (tra i vari, De Mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2011, pp. 5-6; Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2023, pp. 20-21; Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 2002, pp. 9-11; Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, a cura di Fregni, Sartori e Turchi, Torino, 2024, p. 3) e giurisprudenza (per una ricognizione della giurisprudenza sul tema, si veda Fransoni, La nozione di tributo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in Diritto tributario e Corte Costituzionale, a cura di Berliri e Perrone, Napoli, 2006, pp. 123 e ss.) se ne occupano da lungo tempo ed in materia sono stati scritti moltissimi contributi. Come noto, il tributo è solamente una species del più ampio genus dei prelievi pubblici, i quali possono assumere la natura più svariata, anche in ragione del fine perseguito. Tant’è che in dottrina si è soliti precisare che tutti i tributi sono prestazioni imposte, anche se non tutte le prestazioni patrimoniali imposte sono tributi (così, Fedele, La definizione del tributo nella giurisprudenza costituzionale, in Riv. dir. trib., 2018, 1, pp. 1 e ss.).
Tale impasse definitoria, nel contesto pratico, non è di poca rilevanza. Ed invero, ai fini dell’individuazione della giurisdizione – spettante al giudice ordinario od al giudice tributario – è fondamentale delineare in modo chiaro ed incontrovertibile la natura di qualunque prelievo pubblico. Sul punto, seppur il tema sia ancora attualmente dibattuto, la nozione di tributo accolta dalla dottrina maggioritaria nonché, soprattutto, dalla giurisprudenza prevalente può così riassumersi: il tributo è un prelievo coattivo di ricchezza operato dallo Stato o da altro ente pubblico territoriale nei confronti di un soggetto passivo, tipicamente individuato nel cittadino contribuente. La decurtazione patrimoniale colpisce esclusivamente una parte del rapporto: il contribuente e, pertanto, il tributo è caratterizzato dall’assenza di un rapporto di sinallagmaticità tra il prelievo medesimo ed un qualunque corrispettivo. Tipicamente, le risorse connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione sono destinate a finanziare spese di interesse generale, in quanto caratterizzate dall’attitudine a determinare il concorso alle spese pubbliche (a fronte della vastissima bibliografia sulla nozione di tributo, in via meramente esemplificativa e non esaustiva, si segnala Del Federico, Tasse, tributi paracommutativi e prezzi pubblici, Torino, 2000; Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, 2005; Giannini, I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956; Tesauro, op. cit.).
Nella presente decisione, la Corte opera innumerevoli riferimenti a propri precedenti nonché a sentenze della Corte costituzionale. È stata, in particolare, quest’ultima, in numerose pronunce – le quali sono convogliate oggi in un solido e quasi incontrovertibile orientamento – ad occuparsi della natura dei contributi sul materiale estrattivo (cfr. Corte cost., 15 aprile 2024, n. 57 e Corte cost., 26 aprile 2018, n. 89). In tale sede, la Corte costituzionale ha statuito per la natura non fiscale dei contributi in commento, in quanto privi degli indefettibili requisiti propri del tributo, così individuabili: (i) «la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo», (ii) «la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico» e (iii) «le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese».
Posta l’irrilevanza del nomen iuris adottato dal legislatore (Corte cost., 9 luglio 2021, n. 149), ai fini dell’individuazione del tributo è quindi necessaria la compresenza: (i) di una decurtazione patrimoniale di carattere irreversibile, intendendosi, con ciò, l’intervento del potere pubblico, in via definitiva e non redimibile, in riduzione del patrimonio del soggetto passivo, nel rispetto dello schema della fattispecie della prestazione patrimoniale imposta, di cui all’art. 23 della Costituzione; (ii) dell’esclusione della modifica di un rapporto sinallagmatico, per cui la decurtazione del patrimonio colpisce uno solo dei soggetti coinvolti, nello specifico, il contribuente (Fedele, La definizione del tributo nella giurisprudenza costituzionale, cit.) e (iii) della destinazione delle risorse a sovvenire pubbliche spese, per cui le risorse derivanti dalla decurtazione confluiscono nel bilancio pubblico oppure hanno altra destinazione specifica, compatibilmente con il tributo di scopo (Tesauro, op. cit., p. 4. Si veda, inoltre, per una compiuta analisi sul tributo di scopo anche nel contesto della tutela ambientale, Ricci, Tributi di scopo, vincoli di destinazione e obblighi di rendicontazione, Pisa, 2023).
Nella propria argomentazione logico-giuridica, la Corte adduce ad ulteriore motivo di esclusione della natura tributaria dei contributi sul materiale estrattivo, il fatto che essi siano privi della «funzione genericamente contributiva il bilancio dei comuni o commutativa di un servizio, che caratterizza i tributi» (così, Cass., sez. un., 21 gennaio 2020, n. 1182). Appare chiaro che i contributi in esame non abbiano di per sé la funzione di rimpinguare, in via indistinta, il bilancio del Comune, tant’è che la stessa lettera della norma ne individua la funzione, ora nel finanziamento di opere di ricomposizione ambientale, ora nel coprire altre spese comunque finalizzate a neutralizzare il pregiudizio subito dalla collettività (cfr. art. 17, L.R. Campania, n. 15/2005 e art. 19, L.R. Campania, n. 1/2008).
In precedenti pronunce su casi analoghi, la Corte costituzionale ha, inoltre, ritenuto che un prelievo pubblico non costituisce tributo se è estraneo «ai profili di redditività propri della relativa attività produttiva, basandosi su criteri di determinazione del dovuto che mettono al centro della quantificazione del canone (rectius: contributo, nel caso di specie) la produzione derivante dalla relativa attività non in quanto indice di ricchezza effettiva desunta dall’attività di sfruttamento del giacimento, bensì come parametro dell’incidenza della stessa sull’ambiente circostante» (Corte cost., 26 aprile 2018, n. 89).
La Corte conclude sancendo che i contributi sul materiale estrattivo non sono tributi, tuttalpiù assumono «specifica natura indennitaria del pregiudizio subito dalla collettività in conseguenza della gestione delle cave» (Corte cost., 26 aprile 2018, n. 89). Orientamento, questo, confluito poi nella motivazione della pronuncia in epigrafe.
3. A questo punto, non si può non notare come l’impianto architettonico dei contributi in discorso abbia non pochi elementi in comune con il c.d. tributo ambientale. Seppur la Corte abbia inquadrato i contributi in parola in prelievi pubblici con funzione indennitaria, il confine tra le due entrate appare piuttosto labile e fumoso.
Per tentare di fare chiarezza, è bene comprendere pienamente le caratteristiche del tributo ambientale e le varie declinazioni che esso assume.
Già da tempo (tra i primi, Pigou, The economics of welfare, Londra, 1920), giuristi ed economisti si sono interessati ampiamente della fiscalità come strumento di tutela ambientale, sottolineandone l’attitudine a incentivare o disincentivare condotte impattanti sull’ambiente. Ad oggi, la dottrina maggioritaria riconosce due principali tipologie di tributo ambientale: (i) il tributo strutturalmente ambientale o tributo ambientale “in senso stretto”, il quale assume a proprio presupposto la matrice inquinante in sé e (ii) il tributo ambientale “in senso lato”, ovverosia il tributo dotato di un presupposto classico (la produzione o il consumo), con specifiche finalità ambientali, le quali sono assicurate ora dalla specifica destinazione del gettito, ora dalla parametrazione della misura del tributo a partire dall’impatto che tale attività ha sull’ambiente circostante (tra i vari, Gallo-Marchetti, I presupposti della tassazione ambientale, in Rass. trib., 1, 1999, pp. 116-118).
Ciò brevemente premesso, è il caso di soffermarsi su quanto affermato dalla Corte: la quantificazione del contributo è da parametrarsi a partire «dall’incidenza dell’attività produttiva sull’ambiente circostante» (Corte cost., 26 aprile 2018, n. 89).
Nel tributo strutturalmente ambientale e in quello con finalità ambientale, l’imponibile è costituito, rispettivamente, (i) dalla quantità di emissioni di uno specifico inquinante e (ii) dalla quantità «di una risorsa, di un bene o di un prodotto che ha una qualche relazione con il deterioramento o danno dell’ambiente in senso generale» (così, Gallo-Marchetti, op. cit., p. 118).
Secondo la dottrina (tra i vari, Parente, Tassazione ambientale e politiche d’intervento: principi, rimedi e forme di prelievo. Parte prima, in Riv. trim. dir. trib., 3, 2020, pp. 641-643), il tributo, affinché sia qualificato come ambientale, deve superare una triplice verifica. In primis, è necessaria la sussistenza di una relazione causale diretta tra l’imponibile e l’unità fisica inquinante, la quale cagiona un deterioramento ambientale scientificamente accertabile. In secondo luogo, il prelievo deve disincentivare il soggetto dal porre in essere condotte inquinanti e, infine, il tributo deve essere destinato al miglioramento ambientale, assumendo, in tal senso, funzione indennitaria del pregiudizio subito dall’ambiente circostante (Procopio, La natura non commutativa dei tributi ambientali e la loro compatibilità con il principio di capacità contributiva, in Dir. prat. trib., 5, 2013, p. 1174). Particolarmente rilevante è la destinazione vincolata del gettito derivante dai contributi in commento, in quanto volto a sostenere, quantomeno in una determinata misura percentuale, le spese di ricomposizione ambientale e di miglioramento dell’ambiente in generale. Una previsione di tal natura è perfettamente riconducibile al tributo di scopo. Nel contesto della fiscalità ambientale, i tributi ambientali di scopo assumono una rilevanza significativa, giacché sono in grado, attraverso la previsione della precisa e vincolata destinazione del gettito, di finanziare politiche di tutela ambientale (Ricci, op. cit., pp. 232 e ss.).
Nel contributo sul materiale estrattivo, indubbiamente, sussistono tutti i suesposti requisiti. Invero, il prelievo trova giustificazione a partire dall’attività inquinante posta in essere dalle imprese operanti nel settore ed è volto al miglioramento dell’ambiente, in ragione della destinazione vincolata delle risorse economiche alle attività di ricomposizione ambientale, alle quali i Comuni hanno l’onere di provvedere.
Qualificare un determinato prelievo come tributo ambientale presenta non pochi problemi di compatibilità con il principio di capacità contributiva. Peraltro, sul tema, il dibattito è ancora aperto (sul punto, si veda Gallo, I problemi della tassazione ambientale, in Corteconti.it, 2, 2021, pp. 5 e ss. e Dorigo, Fiscalità e ambiente nella prospettiva costituzionale italiana, in La fiscalità per l’ambiente: attualità e prospettive della tassazione ambientale, a cura di Dorigo e Mastellone, Roma, 2013, pp. 211 e ss.).
4. La Corte, nella decisione annotata, non ha tenuto conto dell’esistenza del tributo ambientale e della sua compatibilità con i contributi in commento.
Eppure, le similarità sono molte. In primo luogo, l’entità del prelievo, in entrambi i contributi oggetto della decisione, è parametrata a partire dalla quantità di risorsa estratta (cfr. art. 17, L.R. Campania n. 15/2005, per cui il contributo è pari ad «euro 1,00 per ogni 10 metri cubi di materiale estratto» e art. 19, L.R. Campania n. 1/2008 per cui il contributo ambientale è determinato in «a) euro 1,50/mc per le pietre ad uso ornamentale; b) euro 0,90/mc per sabbie e ghiaie; c) euro 0,75/mc per gli altri materiali»). In secondo luogo, è indubbio che le risorse derivanti dal prelievo siano destinate al miglioramento ambientale.
Non si comprende, pertanto, per quale motivo – in nessuna delle precedenti pronunce ivi compresa la presente – la Corte abbia completamente omesso di occuparsi del tributo ambientale.
Indubbiamente, se la Corte avesse perseguito una diversa via, qualificando i contributi de quibus come tributi ambientali, anziché prelievi con funzione indennitaria, i risultati attesi sarebbero stati molto diversi, soprattutto in termini di giurisdizione. Ma non solo. La conseguenza sarebbe anche stata quella di tracciare il confine, una volta e per tutte, tra il tributo ambientale e gli altri strumenti pubblici posti a tutela dell’ambiente.
Non si può non ritenere questa pronuncia un’occasione mancata per dare pieno riconoscimento alle ulteriori sfaccettature che il tributo può assumere, in quanto strumento plastico in grado di svolgere le funzioni più varie, compresa quella di tutela ambientale.