argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza
La Giurisprudenza di legittimità conferma interpretazioni restrittive e poco garantistiche delle disposizioni contenute nello Statuto dei diritti del contribuente in materia di indagini fiscali, in relazione al tema della durata della verifica e della valutazione delle memorie difensive presentate dal contribuente. Le posizioni non possono essere condivise in quanto si pongono in contrasto con i principi generali della materia.
» visualizza: il documento (Cass., sent. n. 1778 del 23 gennaio 2019)PAROLE CHIAVE: Verifiche fiscali - contraddittorio con l’A.F. - statuto dei diritti del contribuente
di Rossella Miceli – Sapienza Università di Roma
Si tratta di posizioni che rivelano una incomprensibile chiusura della giurisprudenza di legittimità rispetto ad un pieno riconoscimento dei diritti riconosciuti al contribuente dalla legge e che confermano alcuni filoni interpretativi emersi negli ultimi due anni.
In senso diverso, rispetto a quanto previsto dalla disposizione, la pronuncia in esame stabilisce che la permanenza degli operatori oltre i 30 giorni (previsti dall’art. 12, comma 5) non determina né la sopravvenuta carenza del potere ispettivo, né l’invalidità degli atti compiuti, nè l’inutilizzabilità delle prove raccolte. Non è chiaro, quindi, quale conseguenza comporti la violazione della disposizione in esame. Sembra affiorare anche la possibilità che non vi sia alcuna conseguenza.
Si tratta di una posizione, ormai consolidata nella giurisprudenza di legittimità (ex pluris, Cass. n. 7584 del 15.04.2015; Cass. n. 10481 del 27.04.2017), che in modo evidente contrasta con il dettato normativo. La previsione di un termine, quale limite alla permanenza dei verificatori, e di una procedura di proroga (regolata positivamente) costituiscono specifiche disposizioni, espressione di valutazioni e bilanciamenti da parte del legislatore, che dovrebbero essere rispettate. In tal senso si ritiene di non condividere l’espressione contenuta nella sentenza in esame che giustifica la posizione espressa rilevando che nel caso specifico non sono coinvolti diritti del contribuente costituzionalmente tutelati. In ogni momento della verifica sono coinvolti diritti ed interessi costituzionalmente rilevanti e lo svolgimento di un’indagine presso la sede economica del contribuente (oggetto del caso di specie) incide sulla libera esplicazione della libertà economica (tutelata nell’art. 41 Cost.), definendo una prestazione personale imposta (regolata dall’art. 23 Cost.) la cui esplicazione deve avvenire rigorosamente sulla base della legge.
Se un punto fermo era stato raggiunto in tema di diritti del contribuente nel corso della verifica, era quello relativo alla natura obbligatoria della fase di contraddittorio (endoprocedimentale) prevista dall’art. 12, comma 7. In un momento storico in cui il contraddittorio endoprocedimentale non è ancora riconosciuto quale principio generale nel corso delle indagini, sembrava però pacifico che il contraddittorio medesimo fosse obbligatorio in tutte le ipotesi in cui la legge espressamente lo prevedeva. Tra queste ipotesi era riconosciuta quella regolata nell’art. 12, comma 7, che sancisce la facoltà in capo al contribuente di presentare osservazioni e richieste che “sono valutate” dagli uffici impositori.
Orbene, una corretta esplicazione della procedura di cui all’art. 12, comma 7 è garantita da alcuni elementi, tra i quali si riscontra l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di analizzare le memorie fornite dal contribuente, obbligo che si deve esprimere nella emissione di un avviso di accertamento corredato da un duplice livello motivazionale (la c.d. doppia motivazione). La motivazione dell’avviso di accertamento, infatti, oltre alle ragioni di fatto e di diritto che supportano la pretesa motiva dovrà recare, nel caso specifico, le ragioni per cui sono state disattese le argomentazioni del contribuente recate nelle memorie.
La Suprema Corte nella pronuncia in esame afferma la non necessarietà di una valutazione espressa delle memorie (presentate dal contribuente) in sede di atto di accertamento, ritenendo valido tale ultimo atto anche in assenza di una menzione delle difese del contribuente. La Corte asserisce, infatti, che “l’amministrazione ha l’obbligo di valutare le osservazione ma non di esplicitare tale valutazione nell’atto impositivo”. Anche in questo caso, tale pronuncia consolida un orientamento che negli ultimi due anni si è affermato in tal senso (ex pluribus, Cass. n. 29847 del 15.11.2018; Cass. n. 959 del 17.1.2018; Cass. 8378 del 31.3.2017; Cass. 15616 del 11.7.2016; Cass. n. 3583 del 24.2.2016).
In questo modo il contribuente, che ha redatto memorie nell’esercizio del proprio diritto di difesa, nei termini e nei modi previsi dalla legge, non ha alcuna possibilità di controllare che effettivamente le memorie siano state valutate dall’organo procedente. Tale ultima operazione (laddove effettivamente avvenuta) rimarrebbe quindi una mera attività mentale (senza alcuna traccia scritta) in capo al verificatore.
Si tratta di una posizione altamente pregiudizievole per il contribuente che, allo stesso tempo, si pone in pieno contrasto con il principio di trasparenza della attività amministrativa e con quello di collaborazione che, ai sensi dell’art. 10 dello Statuto, deve permeare il rapporto con il contribuente stesso.
Le memorie difensive devono essere valutate nel contenuto dell’atto di accertamento e tale valutazione deve essere resa in modo esplicito ed evidente da parte dell’organo procedente. L’assenza di tale requisito vanifica il senso della procedura in esame e ne compromette la corretta attuazione. Si ribadisce, pertanto, secondo l’impostazione tradizionale, l’essenzialità della doppia motivazione, quale elemento fondamentale della procedura.