<p>Le nuove sanzioni tributarie - Lattanzi</p>
Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

18/06/2019 - E’ considerata edificabile ai fini ICI un’area inserita nel piano regolatore comunale alla quale è attribuita una volumetria che non poteva essere utilizzata per costruire sull'area stessa, ma solo ceduta ad altri soggetti.

argomento: IRAP e tributi locali - Giurisprudenza

Nell’ordinanza annotata la Corte di Cassazione, prendendo le mosse da una giurisprudenza ormai consolidata in materia di aree fabbricabili ai fini ICI, precisa che la potenzialità edificatoria del terreno non viene meno a causa della presenza di vincoli o servitù, che al più incidono sulla determinazione del suo valore e, quindi, sulla base imponibile. Detti vincoli, infatti, non sottraggono l’area su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma incidono soltanto sulla valutazione del valore venale dell’area. Pertanto l’obbligo di corrispondere il tributo comunale sussiste anche nel caso in cui un’area, benché non edificabile in concreto, è comunque tale secondo il piano regolatore generale del comune, tanto da generare volumetria cedibile ad altri soggetti. Il valore dell’area deve, pertanto, essere determinato sulla base del valore venale di detta volumetria.

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PAROLE CHIAVE: ICI - piano regolatore comunale - edificabilità


di Stefania Cianfrocca – Esperta di tributi locali e regionali

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 3114 del 1° febbraio 2019 ha affrontato una problematica, quella delle aree edificabili, che è stata al centro di molte controversie in materia di ICI, dal momento che non sempre è così agevole determinare se un’area possa o meno considerarsi edificabile e quale sia il valore venale per calcolare l’ammontare dell’imposta dovuta.

Nel corso degli anni, però, una nutrita serie di interventi giurisprudenziali ha posto dei punti fermi sui quali la Corte ha potuto muoversi con estrema agilità, pur essendo alquanto particolare la fattispecie sottoposta al suo esame, che riguardava un’area inserita nel piano regolatore comunale alla quale era stata attribuita una volumetria che non poteva, però, essere utilizzata per costruire sull'area stessa ma solo essere ceduta ad altri soggetti.

Al fine di inquadrare al meglio la problematica oggetto di contestazione - che, vista l’identità della disciplina applicabile assume rilievo anche ai fini dell’imposta municipale propria-IMU, introdotta in sostituzione dell’ICI dall’art. 13 del D. L. n. 201 del 2011 - occorre innanzitutto focalizzare l’attenzione sugli elementi che caratterizzano la fattispecie tributaria in esame.

A tal proposito è necessario rammentare che la definizione di area fabbricabile ai fini ICI è rinvenibile nell’art. 2, comma 1, lett. b) del D.Lgs, n. 504 del 1992, che intende come tale l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi, ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità. Per quanto attiene, invece, all’individuazione della base imponibile delle aree fabbricabili occorre far riferimento al successivo art. 5, comma 5, del D. Lgs. n. 504 del 1992, il quale stabilisce che essa è data dal valore venale in comune commercio al 1° gennaio dell’anno di imposizione, avendo riguardo: alla zona territoriale di ubicazione; all’indice di edificabilità; alla destinazione d’uso consentita; agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione; ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.

La nozione di area edificabile delineata dal legislatore ai fini ICI, ha creato diversi problemi interpretativi inerenti principalmente il momento dal quale un’area può definirsi edificabile, problema inscindibilmente connesso alla soluzione di due altre questioni tra loro collegate, vale a dire: l’individuazione dello strumento urbanistico al quale riferire la nozione di edificabilità ed il momento della sua vigenza.

Su tali questioni vi è stato un lungo dibattito dottrinario e si è registrata una nutrita serie di interventi della Corte di Cassazione anche di senso diametralmente opposto, tanto che per superare i contrasti interpretativi è stato necessario un duplice intervento legislativo. Inizialmente, infatti, l’art. 11-quaterdecies, comma 16, del d.l. 203 del 2005, ha disposto che l’art. 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 504 del 1994 si interpreta nel senso che un’area è da considerare comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo; successivamente l’art. 36, comma 2, del D.L. n. 223 del 2006, oltre a ribadire quanto già enunciato dalla precedente disposizione ne ha completato la portata stabilendo che “un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.

A completare i tasselli della fattispecie hanno provveduto le S.U. della Cassazione che con la sentenza n. 25506 del 2006 hanno evidenziato come il legislatore abbia dato un diverso rilievo allo jus edificandi - che può essere esercitato soltanto quando gli strumenti urbanistici sono perfezionati - e allo jus valutandi - che è collegato, invece, alla variazione del valore economico del suolo. II primo, infatti, si basa sul perfezionamento delle relative procedure, il secondo sull’avvio di tali procedure. Ed invero, “non si può costruire se prima non sono definite tutte le norme di riferimento. Invece, si può valutare un suolo considerato ”a vocazione edificatoria”, anche prima del completamento delle relative procedure…E’ evidente che, in sede di valutazione, la minore o maggiore attualità o potenzialità della edificabilità dovrà essere considerata ai fini di una corretta valutazione del valore venale delle stesse, ai sensi dell’art. 5, comma 5, d.lgs. 504/92 ”.

Dette conclusioni sono state pienamente avallate dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 41 del 2008 nella quale viene precisato che la potenzialità edificatoria dell'area, anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere o ancora inattuati, costituisce notoriamente un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell'art. 53 della Costituzione in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente rilevante. Ed invero, il criterio del valore venale non comporta una valutazione fissa ed astratta del bene, ma consente di attribuire al terreno (già qualificato come edificabile dallo strumento urbanistico generale) il suo valore di mercato, adeguando la valutazione alle specifiche condizioni di fatto del bene e, quindi, anche alle piú o meno rilevanti probabilità di rendere attuali le potenzialità edificatorie dell'area.

In questo ambito ben delineato, integrato nel corso degli anni da una serie di interventi con i quali la Corte di Cassazione ha analizzato specifiche fattispecie delimitandone i margini applicativi (Cfr. Corte Cass. sent. n. 19131 del 2007 in materia di area edificabile assoggettata a vincolo urbanistico che la destinava all’espropriazione; Corte Cass. sent. n. 25676 del 2008 che ha esaminato l’ipotesi di un terreno che risultava inferiore al “lotto minimo” necessario per l’edificazione), si inserisce l’ordinanza n. 3114 del 1° febbraio 2019 che scaturisce dal ricorso di una socitetà avverso le decisioni delle commissioni tributarie che avevano considerato adeguatamente motivato l'avviso di accertamento con il quale il comune richiedeva il pagamento dell’ICI per un’area la cui la base imponibile era stata determinata sul valore venale desunto dalla qualificazione impressa dal piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione ed avevano sostenuto che l'area poteva essere valutata, oltre che per la sua estensione edificatoria, anche in relazione alla sua effettiva capacità di generare volumetria, essendo questa un bene economico commerciabile.

La società ricorrente sosteneva, invece, che secondo il piano regolatore generale l'area in contestazione non dovesse considerarsi edificabile, nonostante alla stessa fosse stata attribuita una volumetria che non poteva essere utilizzata per costruire sull'area stessa, ma poteva solo essere ceduta ad altri soggetti proprietari di aree edificabili.

Forte dei numerosi precedenti in materia (Cfr. Cass. n. 11853 del 2017; Cass. n. 9510 del 2008), per la Corte è stato agevole sostenere che in tema di ICI la nozione di area edificabile non può essere esclusa dalla presenza di vincoli o destinazioni urbanistiche che condizionino, in concreto, l'edificabilità del suolo. Tali tali limiti, infatti, incidendo sulle facoltà dominicali, connesse alla possibilità di trasformazione urbanistico-edilizia del suolo ne presuppongono la vocazione edificatoria, sicché la loro sussistenza non sottrae le aree su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma incide soltanto sulla concreta valutazione del relativo valore venale.

In estrema sintesi la potenzialità edificatoria del terreno non viene meno per effetto di vincoli o servitù, che al più incidono sulla determinazione del suo valore e, conseguentemente, sulla base imponibile, dal momento che detti vincoli non sottraggono l’area su cui insistono al regime fiscale proprio dei suoli edificabili, ma incidono esclusivamente sulla concreta valutazione del valore venale dell’area.

Nell’ordinanza in esame la Corte ha definito la controversia stabilendo che l'area in contestazione, benché non edificabile in concreto, era comunque tale secondo il P.R.G. tanto da generare volumetria cedibile ad altri fondi. Detta circostanza determina, infatti, l’obbligo di corrispondere il tributo comunale.

La Corte ha precisato, però, che il valore del terreno va determinato sulla base del valore venale della volumetria cedibile tenuto conto delle circostanze concrete che determinano l'appetibilità sul mercato di detta volumetria. A tale scopo ha accolto parzialmente il primo motivo di ricorso ed ha rinviato la controversia alla CTR in diversa composizione che adeguandosi ai principi esposti, dovrà procedere alle necessarie verifiche e deciderà nel merito.

I giudici di legittimità hanno, invece, considerato infondato il secondo motivo con il quale la ricorrente ha posto la questione di costituzionalità degli artt. 2 e 5 del D.Lgs. n. 504 del 1994, “anche per contrarietà alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo in tema di proprietà, qualora tali norme dovessero essere interpretate secondo l’intendimento del comune”.

Al riguardo non può sottacersi che sin dalla sua introduzione nel nostro ordinamento tributario molti sono stati i dubbi di legittimità costituzionale ingenerati dall’ICI (cfr., Corte Cost. sent. n. 263 del 1994) vale a dire da un’imposta che "è conformata quale imposta patrimoniale" (Corte Cost. sent., n. 113, del 1993) o, meglio, “patrimoniale-immobiliare“ (Corte Cost., sent. n. 102 del 2008) ordinaria e reale, che, essendo incentrata esclusivamente sulla tassazione del patrimonio immobiliare, non ha i caratteri della generalità.

Nel caso in esame, invero, i giudici hanno liquidato senza indugio la questione affermando semplicemente che l'imposizione dell'ICI nel caso di specie non ha carattere espropriativo. Il tributo, infatti, è dovuto in relazione ad un bene il cui valore è rilevante in considerazione dell’edificabilità ad esso connessa, ancorché sotto forma di cubatura cedibile.

La Corte di Cassazione, forte della probabile inconsistenza delle motivazioni poste a fondamento dell’eccezione sollevata dalla società ricorrente, neanche si è peritata di richiamare un precedente intervento della Consulta che è stato sicuramente determinante pe sopire ogni dubbio sul precito carattere espropriativo dell’ICI.

ci si riferisce, in particolare, all’ordinanza della Corte Costituzionale n. 394 del 28 novembre 2008 che nel dichiarare la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale del citato art. 11-quaterdecies, comma 16, del D.L. n. 203 del 2005 e la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 2, del D.L. n. 223 del 2006, in riferimento all’art. 42, terzo comma, della Costituzione, ha affermato che il pagamento dell’ICI, attenendo all’adempimento di un obbligo tributario, non rientra nelle ipotesi di “espropriazione” di beni; ciò neppure nel caso in cui il contribuente non abbia a disposizione denaro liquido e, per adempiere a detto obbligo, alieni terzi uno o più beni di sua proprietà.

Il presupposto fattuale della qualificazione di un’area come edificabile ad opera di uno strumento urbanistico generale non approvato o non attuato costituisce, infatti, un indice di capacità contributiva che, giustificando la tassazione ai sensi dell’art. 53 della Costituzione, esclude di per sé l’evocabilità dell’art. 42, terzo comma, della Costituzione.