argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza
PAROLE CHIAVE: Definizione agevolata - estinzione del processo - cessazione della materia del contendere
di Matteo Busico – Università di Pisa
1. Con l’articolata ordinanza n. 24083, depositata in 3 ottobre 2018, la Suprema Corte ha affrontato il tema degli effetti nel giudizio di cassazione dell’adesione alla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione ex art. 6 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, ovvero la c.d. “rottamazione dei ruoli”. La pronuncia riguarda un contenzioso previdenziale avente ad oggetto contributi INPS dovuti alla “gestione separata”; tuttavia, i principi espressi della Cassazione valgono anche nella fattispecie di liti fiscali nel corso delle quali il contribuente abbia deciso di aderire alla rottamazione. 2. Nella lunga motivazione dell’ordinanza in analisi, la Suprema Corte ha in primo luogo osservato che nella propria giurisprudenza a proposito della definizione agevolata anzidetta si sono registrate “una varietà di formule di definizione del processo”, pur non accompagnate da particolari argomentazioni al riguardo; in particolare, in alcune occasioni è stata pronunciata l’estinzione del processo, anche mediante decreto presidenziale ex art. 391, comma 1, ultimo periodo, c.p.c.; in altre è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso in cassazione per sopravvenuta carenza di interesse; in altre ancora la cessazione della materia del contendere, mentre nei casi in cui il procedimento di definizione era stato completato con il pagamento integrale del quantum dovuto è stata cassata senza rinvio la sentenza impugnata. 3. Dovendo pretendere una posizione sulla questione della formula di chiusura del giudizio di cassazione in relazione alla definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione, gli ermellini hanno distinto l’ipotesi in cui il procedimento di definizione sia solo iniziato attraverso la dichiarazione del debitore (il contribuente nelle liti tributarie) prevista dal secondo comma dell’art. 6 del D.L. n. 193/2016 e la comunicazione dell’agente delle riscossione di cui al successivo terzo comma, rispetto a quella in cui lo stesso sia stato ultimato con il pagamento integrale delle somme dovute per effetto di tale dichiarazione così come risultanti dalla comunicazione dell’agente della riscossione; altra distinzione evidenziata nell’ordinanza è quella che si configura nel caso in cui il debitore che abbia aderito alla rottamazione rivesta nel giudizio di legittimità la posizione di ricorrente piuttosto che quella di resistente. Dopo aver ripercorso e ampiamente citato vari passaggi dell’art. 6 in argomento, i Supremi giudici hanno affermato che la normativa de qua detta una serie di previsioni di natura sostanziale che incidono in ambito processuale nel caso in cui sui carichi oggetto della rottamazione risulti pendente un giudizio; in tal senso, la dichiarazione del debitore di volersi avvalere della definizione agevolata è espressione di un diritto potestativo del medesimo, “che realizza un vero e proprio potere di conformazione, cioè di sostituire al regolamento della situazione sostanziale debitoria esistente ed eventualmente sub iudice, la nuova regolamentazione quantitativa del dovuto”, a fronte del quale l’ente della riscossione non ha alcun potere discrezionale da esercitare, potendo solo contestare l’assenza dei presupposti di legge per poter accedere alla definizione, essendo altrimenti obbligato a dare seguito al relativo procedimento. Pertanto, a fronte della dichiarazione del debitore di adesione alla definizione agevolata in questione e della successiva comunicazione dell’agente della riscossione dell’ammontare delle somme dovute per effetto della stessa, la situazione giuridica relativa alla pretesa di riscossione non è più quella che era stata inizialmente dedotta in giudizio, ma risulta essere regolata dagli effetti conformativi collegati alla rottamazione, che realizza una vera e propria sostituzione della situazione sostanziale. Secondo la Cassazione, avendo il legislatore richiesto l’impegno a rinunciare ai giudizi eventualmente pendenti aventi ad oggetto i carichi cui è riferita la rottamazione, “la tecnica di incisione della fattispecie regolata è ricondotta dal legislatore al fenomeno della rinuncia al giudizio”; tuttavia, la rinuncia è possibile solo nel caso il cui debitore che abbia aderito alla definizione in esame rivesta la posizione di ricorrente nel processo. In tal caso, nel giudizio in cassazione, gli effetti della rinuncia non sono quelli di regola riconducibili all’art. 390 c.p.c., ovvero il passaggio in giudicato della sentenza impugnata come previsto dall’art. 338 c.p.c., pacificamente applicabile al giudizio di legittimità, ma quelli voluti dalla legge, ovvero la definizione agevolata (vale a dire con lo stralcio delle sanzioni e degli interessi di mora) dei debiti a proprio carico affidati all’agente della riscossione, nei termini di quanto comunicato da quest’ultimo ai sensi del comma terzo dell’art. 6 sopra citato. Nell’ipotesi di inadempimento, totale o parziale, del debitore, il quale non abbia versato quanto dovuto, l’agente della riscossione ha il diritto di procedere al recupero di quanto oggetto della dichiarazione del debitore, secondo la Cassazione, “nei termini risultanti dalla dichiarazione” stessa, non potendo il debitore “contestare la debenza della somma che si era impegnato a pagare nella dichiarazione di volere definire in via agevolata la pendenza”. Qualora il debitore rivesta invece la posizione di resistente nel processo non può assumere l’impegno a rinunciare al giudizio; tuttavia, anche in questo caso la dichiarazione di adesione alla rottamazione comporta il riconoscimento dei propri debiti e ha i medesimi effetti nel mutamento della situazione sostanziale sopra rimarcati, ove siffatta sopravvenuta regolamentazione della vicenda sostanziale “rende inutile il prosieguo del processo e tale inutilità discende direttamente dalla volontà della legge”; tale ipotesi è riconducile alla nozione di “casi di estinzione del processo disposta dalla legge”, cui fa riferimento l’art. 391, comma 1, c.p.c., nella cui formulazione possono essere ricomprese anche casi nei quali, pur non avendo il legislatore espressamente menzionato l’estinzione, la regolazione della fattispecie può essere sostanzialmente ricondotta a quella estintiva del processo. Infine, la Cassazione ha precisato che se al momento della decisione il debitore abbia provveduto al pagamento integrale del quantum dovuto per perfezionare la rottamazione, la formula terminativa del processo è quella della dichiarazione della cessazione della materia del contendere, con la precisazione del venir meno dell’efficacia della sentenza impugnata, nei termini indicati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 8980 dell’11 aprile 2018. 4. L’ordinanza della Cassazione in commento, nella sua motivazione sinteticamente appena riportata, suscita non poche perplessità. A tal proposito, è il caso far presente che la decisione sembrerebbe condizionata dall’equivoco di fondo secondo il quale la dichiarazione del debitore (il contribuente in ambito tributario) di avvalersi della rottamazione, seguita dalla comunicazione degli importi dovuti, nonché delle eventuali rate, da parte dell’agente della riscossione comporta “una nuova regolamentazione del dovuto”, ovvero una sostituzione nel “regolamento della situazione sostanziale debitoria”, anche nel caso in cui il debitore stesso non abbia integralmente adempiuto al versamento delle somme dovute in base alla comunicazione anzidetta. In realtà, in tal caso “la definizione non produce effetti”, come inequivocabilmente previsto dal comma 4 dell'art. 6 del D.L. n. 193/2016; pertanto, in caso di insufficiente o tardivo pagamento di quanto dovuto in base alla dichiarazione, il debito originario, comprensivo di interessi di mora e sanzioni, non si estingue e i versamenti effettuati sono acquisiti a titolo di acconto del debito relativo al carico oggetto della definizione non perfezionata. Orbene, dai dati normativi risulta oltremodo palese che con la sola presentazione della dichiarazione e il pagamento di alcune delle rate previste la definizione non può ritenersi perfezionata, per cui la logica conseguenza è che nelle more del suo perfezionamento il procedimento amministrativo definitorio non può esplicare alcun effetto sui processi in corso, non essendosi definitivamente realizzata la sostituzione del debito originario con la nuova (agevolata) regolamentazione debitoria prevista dalla rottamazione. Insomma, si ribadisce, in assenza del perfezionamento della definizione, vale a dire del tempestivo integrale pagamento del quantum dovuto, l’agente della riscossione dovrà procedere al recupero del debito originario, non avendo la (non perfezionata) definizione prodotto alcun effetto, per cui, non essendo intervenuta alcuna variazione sulla situazione giuridica sostanziale sub iudice, l’oggetto del giudizio rimane invariato. 5. Altro aspetto che merita qualche considerazione è il richiamo all'istituto della rinuncia al ricorso operato dalla Cassazione, senza dubbio dovuto al disposto del comma 2 dell'art. 6 del D.L. n. 193/2016, nella parte in cui prescrive al debitore di indicare nella dichiarazione di adesione alla rottamazione l'eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione stessa e assumere l'impegno a rinunciare a tali giudizi. In verità, detto impegno non costituisce un presupposto essenziale ai fini per il procedimento di definizione agevolata dei carichi, il cui perfezionamento nei termini su visti porta all'estinzione del processo, ma non per rinuncia al ricorso, bensì per cessazione della materia del contendere, come statuito anche nell’ordinanza in esame, secondo la quale in caso di pagamento integrale del debito, quindi nell’ipotesi del perfezionamento del procedimento di definizione agevolata, dovrà essere dichiarata la c.mc. In tal caso, in effetti, la definizione del debito mediante la rottamazione rappresenta un evento che incide sull’oggetto del giudizio, operando una modificazione sostanziale nei rapporti tra debitore e ente creditore, ove il primo, attraverso la definizione agevolata, non abbandona la domanda originariamente proposta, bensì incorre in un evento che ha l’effetto di trasformare la fattispecie sostanziale oggetto della domanda, per cui non occorre più alcun pronunciamento del giudice sulla fondatezza della stessa (si veda in proposito A. Scala, La cessazione della materia del contendere nel processo civile, Torino, 2001, pag. 118 ss.). Tuttavia, come ante rimarcato, solo per effetto del perfezionamento del procedimento di rottamazione avviene la modificazione del titolo in forza del quale è regolato il rapporto con l’ente creditore, che non è più dato dall’atto in base al quale è stato incaricato l'agente della riscossione, bensì da quello di definizione, come rilevato dalla dottrina che a proposito del condono aveva evidenziato l’idea di un “procedimento sostitutivo del normale iter determinativo del debito d’imposta con spiccate caratteristiche di automaticità in funzione del più rapido conseguimento di nuove entrate e dell’eliminazione di controversie pendenti” (così C. Glendi, Gli effetti della domanda di condono, in Dir. prat. trib.,1982, I, pag. 1057). Viceversa, in caso di mancato perfezionamento della definizione in argomento non opera alcuna modificazione nel rapporto sostanziale dedotto in giudizio; pertanto, almeno che il debitore non abbia ritualmente rassegnato la rinuncia, la deduzione in giudizio di avere aderito alla rottamazione (non avendola ancora perfezionata) non può essere interpretata come rinuncia al ricorso, che – come ricordato nell’ordinanza in commento – nel giudizio in cassazione comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, quindi il definitivo integrale riconoscimento della pretesa creditoria affidata all’agente della riscossione, mentre il successivo perfezionamento della rottamazione comporta una agevolata definizione della posizione del debitore (con stralcio delle sanzioni e degli interessi di mora). Inoltre, anche l’impossibilità della rinuncia da parte del debitore che sia risultato vittorioso nel precedente grado di giudizio non depone a favore della soluzione offerta dalla Cassazione, che sul punto ha dovuto compiere uno sforzo ermeneutico non di poco conto per poter ricondurre l’adesione alla rottamazione ad uno dei “casi di estinzione del processo disposta dalla legge”, cui fa riferimento l’art. 391, comma 1, c.p.c., quando in realtà, nella normativa sulla definizione agevolata in argomento non è affatto possibile individuare una fattispecie estintiva del processo eventualmente pendente sui carichi oggetto della definizione, se non nell’ipotesi di avvenuto perfezionamento della definizione stessa. Sotto queste circostanze, era stato sostenuto che l'impegno a rinunciare ai giudizi disposto dalla legge può essere letto nel senso che, comunque solo una volta perfezionata la definizione nei termini su visti, il contribuente (o, più in generale, il debitore) che ha aderito alla rottamazione non può coltivare i giudizi eventualmente pendenti aventi ad oggetto i carichi “rottamati”, in quanto avendo perfezionato il procedimento ha compiuto un atto incompatibile con l'azione inizialmente postulata; l’avvenuta definizione agevolata può dunque essere vista come una rinuncia all'azione, che in quanto tale comporta anche la rinuncia agli effetti delle sentenze favorevoli eventualmente ottenute (cfr. sul punto M. Busico, L’estinzione del processo tributario, Padova, 2019, pag. 13 ss.). 6. Il legislatore sembra aver accolto la tesi appena enunciata; infatti, nell’ultima riproposizione della definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione, disposta dall’art. 3 del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119 (c.d. “rottamazione ter”), dopo aver confermato la previsione secondo la quale il debitore nella dichiarazione per la definizione deve indicare l’eventuale pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi da rottamare e assumere l’impegno a rinunciare ai giudizi stessi, ha previsto che il giudice, a seguito della produzione delle copia della dichiarazione de qua, è tenuto a sospendere il processo nelle more del pagamento delle somme dovute, mentre “l’estinzione del giudizio è subordinata all’effettivo perfezionamento della definizione e alla produzione, nello stesso giudizio, della documentazione attestante i pagamenti effettuati; in caso contrario, il giudice revoca la sospensione su istanza di una delle parti” (così il secondo periodo del comma 6 del sopra citato art. 3 del D.L. n. 119/2018).