Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
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30/06/2019 - Residenza effettiva e mancata iscrizione all’Aire: l’Agenzia delle Entrate valorizza le convenzioni

argomento: IRPEF - Legislazione e prassi

Con risposta ad interpello del 25 giugno 2019, n. 203, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in materia di residenza fiscale in caso di mancata iscrizione all’AIRE, precisando che, al fine di evitare la doppia imposizione, la residenza fiscale può essere accertata alla luce dei criteri individuati dalle norme convenzionali vigenti tra gli Stati. Assumono così rilevanza le tanto spesso menzionate tie break rules che puntano alla sostanza dei fatti, smontando il consolidato orientamento della Suprema Corte in merito alla presunzione assoluta di residenza attinente al requisito formale ex art. 2, comma 2, del Tuir.

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PAROLE CHIAVE: residenza fiscale - AIRE - doppia residenza - presunzioni - convenzioni contro le doppie imposizioni


di Erica Serafini

  1. Il chiarimento in esame scaturisce dall’analisi di un caso pratico che ha come “protagonista” una cittadina italiana trasferitasi per motivi lavorativi nel 2016 in Danimarca, ma che nel 2017, per taluni errori di carattere burocratico, risultava iscritta all’AIRE solamente dopo lo scadere del 183-esimo giorno di permanenza nello Stato estero.

In altri termini, la contribuente risultava sostanzialmente residente in Danimarca ma, formalmente, in Italia.

L’istante, appurando la sussistenza di oggettive condizioni di incertezza, si è rivolta all’amministrazione finanziaria per sapere, in riferimento all’anno di imposta 2017, in quale Paese fosse da localizzare la propria residenza fiscale.

 

  1. Come noto, il nostro ordinamento tributario adotta il principio del “reddito mondiale” (c.d. worldwide taxation principle), in virtù del quale, ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi, i soggetti residenti fiscalmente in Italia sono assoggettati a tassazione per i redditi ovunque prodotti (art. 3, comma 1, d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917). In particolare, si considerano residenti in Italia le persone “che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle Anagrafi della Popolazione Residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile” (art. 2, comma 2, d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917).

Il citato articolo 2, comma 2, del Tuir, oltre al requisito elemento temporale relativo alla maggior parte del periodo di imposta, definisce tre criteri alternativi in presenza dei quali una persona fisica si considera residente in Italia: il primo - l’iscrizione nel registro dei residenti - rappresenta un requisito meramente formale, mentre il secondo e il terzo criterio - il domicilio e la residenza ai sensi dell’art. 43 del Codice Civile - palesano elementi di natura sostanziale.

Naturalmente, trattandosi di tre presupposti tra loro alternativi, e non concorrenti, è sufficiente che ricorra solo uno di questi per l’assoggettamento di un soggetto alla potestà impositiva dello Stato italiano.

 

  1. Nella fattispecie concreta, nel solco del rigido orientamento della Suprema Corte, tutti i redditi percepiti dall’istante, ovunque essi prodotti, devono essere assoggettati ad imposizione nel nostro Paese: secondo un monolitico orientamento, infatti, il dato formale dell’iscrizione anagrafica nei registri della popolazione residente genera una presunzione assoluta di residenza, dunque preclusiva di ogni ulteriore accertamento (V. da ultimo Cass., Sez. Trib., ord. n. 16634 del 25 giugno 2018 e, ex multis, Cass. Civ., Sez. Trib., sent. nn. 21970 del 28 ottobre 2015; n. 667 del 16 gennaio 2015; n. 14434 del 15 giugno 2010; n. 9319 del 20 aprile 2006, nonché le precedenti Cass. Civ., Sez. Trib., sent. n. 13803 del 7 novembre 2001; Cass. Civ., sez. I, sent. nn. 1783 del 3 marzo 1999 e 1215 del 6 febbraio 1998).

 

  1. Il chiarimento dell’Agenzia, invece, va opportunamente a scardinare la consolidata interpretazione della Corte di Cassazione, consentendo ai soggetti effettivamente residenti all’estero di dimostrare la carenza di un sostanziale “collegamento” con il territorio dello Stato italiano e di evitare una quanto mai opinabile tassazione, svincolata da qualunque indice di capacità contributiva (in argomento vd., da ultimo, F. Montanari, La prevalenza della sostanza sulla forma nel diritto tributario, Padova. 2019, 328 e ss.gg.)

In particolare l’Agenzia, pur ribadendo che l’accertamento dei presupposti per determinare l’effettiva residenza fiscale costituisce una questione di fatto che non può essere oggetto di istanza di interpello, ritiene che, qualora un soggetto sia residente fiscalmente in due Stati tra i quali è in vigore una Convenzione sulle doppie imposizioni, occorre fare riferimento alle cosiddette tie break rules basate principalmente su elementi di fatto e non formali. In altri termini, la stella polare non può che essere il diritto convenzionale e non, certamente, quello nazionale.

Dunque, una volta accertata la doppia residenza, il contribuente è considerato, anzitutto, residente nello Stato in cui dispone di un’abitazione permanente, dove per abitazione permanente si intende quel luogo “sistemato e utilizzato dall’individuo per il proprio uso permanente in contrasto con il soggiorno in un dato luogo in condizioni che dimostrino evidentemente l’intenzione di un soggiorno di breve durata” (così il Commentario ufficiale all’articolo 4 del Modello di convenzione, punto 12). Nell’eventualità in cui il soggetto possegga un’abitazione permanente in entrambi gli Stati, sarà considerato residente nello Stato contraente rispetto al quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali). Ove non sia possibile individuare la residenza in base a quest’ultimo criterio, la persona fisica sarà considerata residente nello Stato in cui soggiorna abitualmente (dimora abituale). Quando i primi tre criteri sopracitati non sono individuabili, il contribuente sarà considerato residente nello Stato contraente di cui possiede la nazionalità. Da ultimo, qualora il soggetto detenga la nazionalità di entrambi i Paesi o di nessuno di essi, la questione verrà risolta tramite procedura amichevole tra i due Stati contraenti la Convenzione.

  1. La chiara e condivisibile risposta dell’Agenzia delle Entrate, la quale ribadisce, seppur implicitamente, la prevalenza delle fonti convenzionali sulla normativa domestica, dovrebbe quindi indurre a rivedere quegli orientamenti, di prassi e giurisprudenza, in cui viene valorizzato il dato formale dell’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente su quello sostanziale della residenza effettiva. La soluzione prospettata nella risposta in commento, infatti, pare l’unica compatibile, da un lato, con il principio di capacità contributiva e della gerarchia tra i diversi livelli di fonti normative e, dall’altro, con un ordinamento improntato alla effettività dell’imposizione ed alla genuinità dei rapporti tra contribuenti ed Autorità fiscali.