argomento: IRAP e tributi locali - Giurisprudenza
Secondo la Suprema Corte alle attività alberghiere con funzionamento saltuario è applicabile l’ordinaria TARES, con riduzione forfettaria del 30%. La pronuncia in esame, tuttavia, denota un’ipotesi di mancata attuazione del principio “chi inquina paga” sul quale è improntato l’intero sistema dei tributi ambientali.
» visualizza: il documento (Ordinanza 07 giugno 2019, n. 15479)PAROLE CHIAVE: tributi locali - TARES - alberghi - chi inquina paga
di Simona Zitella
Nel caso di specie, invero, ad una società esercente l’attività alberghiera risultata inoperativa per la quasi totalità dell’anno di riferimento (attività alberghiera con funzionamento saltuario) e caratterizzata da una forte riduzione della clientela rispetto all’affluenza media, è stata applicata l’ordinaria tariffa TARES ridotta del 30%, ma determinata senza tenere debitamente conto del suddetto principio.
Quest’ultimo, sul quale è imperniato il sistema del tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (c.d. TARES), è contemplato dall’art. 191 TFUE (ex art. 174 del Trattato CE) e prevede che il costo dello smaltimento dei rifiuti sia sopportato da tutti coloro che li producono. Tale principio assolve una funzione risarcitoria del danno prodotto all’ambiente e, al contempo, una funzione incentivante volta a ridurre il prelievo fiscale a coloro che pongono in essere comportamenti virtuosi rispetto al bene ambientale (così V. Ficari (a cura di), I nuovi elementi di capacità contributiva. L’ambiente, Roma, 2018, p. 35).
Trattandosi di un principio europeo, il “chi inquina paga” trova diretta ed immediata applicazione nell’ordinamento nazionale.
In un simile contesto, la disciplina del tributo ambientale TARES (D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214) si è dovuta attenere anche alle indicazioni contenute nelle direttive relative ai rifiuti succedutesi nel tempo (art. 14 della Direttiva n. 2008/98/CE, art. 15 della Direttiva n. 2006/12/CE, art.15 della Direttiva n. 91/156/CEE, art. 11 della Direttiva n. 75/442/CEE e, da ultimo, art. 1, comma 15, della Direttiva n. 2018/851/UE) che fanno costante riferimento al suddetto principio (sull’imposizione ambientale v. F. Picciaredda-P. Selicato, I tributi e l’ambiente, Milano, 1996; C. Verrigni, La rilevanza del principio comunitario “chi inquina paga” nei tributi ambientali, in Rass. trib., 2003, 5, pp. 1614-1657; R. Alfano, Tributi ambientali. Profili interni ed europei, Torino, 2012).
Del pari, il rispetto del “chi inquina paga” deve essere garantito anche dai Comuni nell’esercizio della loro potestà regolamentare, in guisa da ancorare il prelievo fiscale alla quantità ed alla qualità dei rifiuti prodotti dal contribuente.
Prescindendo dall’analisi delle questioni meramente procedurali sollevate dalle parti in sede di contenzioso, le doglianze del contribuente formulate nel ricorso avverso la sentenza della CTR si incentrano sulla violazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, c.p.c.: dell’art. 14 del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214; degli artt. 6 e 8 del regolamento comunale di istituzione e applicazione della TARES; dell’art. 174 del Trattato CE, ora art. 191 TFUE che prevede il principio “chi inquina paga”. Segnatamente, la società alberghiera lamenta che la pronuncia dei giudici d’Appello ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’imposta senza considerare la prova fornita in relazione all’inoperatività della struttura alberghiera per la quasi totalità dell’anno.
La posizione del contribuente non è stata accolta dalla Suprema Corte che, pertanto, ha rigettato il ricorso e modificato, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c. la motivazione della sentenza della CTR statuendo che la prova fornita dalla parte contribuente non conduce alla dimostrazione dell’inutilizzabilità in concreto dell’immobile, rilevante ai fini dell’esclusione dall’imposta; tuttavia sia la Corte di merito che la Corte di Cassazione hanno evitato di affrontare il punto cruciale della controversia centrato sull’applicabilità del principio “chi inquina paga”.
In ossequio al citato indirizzo ermeneutico «il presupposto del tributo è costituito dalla occupazione o conduzione di locali a qualsiasi uso adibiti e, ai fini della esenzione dalla tassa, occorre allegare e provare la concreta inutilizzabilità della struttura» (Cass., sez. trib., 9 novembre 2016, n. 22756; Id., 27 dicembre 2018, n. 33426).
Sul punto, come precisato dall’ordinanza in esame, l’art. 66, comma 3, D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 (in materia di TARSU) pone dei temperamenti all’imposizione per quelle situazioni che obiettivamente possono comportare una minore utilizzazione del servizio, fra le quali l’uso stagionale dell’attività. Peraltro, l’esclusione dalla tassazione non è automatica, sussistendo una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, il quale dovrà indicare, nella denuncia originaria o in quella di variazione, le obiettive condizioni di inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione. Di talché le condizioni di obiettiva impossibilità di utilizzo dell’immobile, rilevanti ai fini dell’esclusione dall’imposta, non possono essere individuate nella mancata utilizzazione dello stesso legata alla volontà o alle esigenze del tutto soggettive dell’utente (Cass., sez. trib., 10 settembre 2004, n. 18316; Id., 28 ottobre 2009, n. 22770).
Orbene, è evidente che la pronuncia in commento ripropone l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità già elaborata per la TARSU senza considerare, però, che la TARES non è speculare alla prima, presentando elementi caratterizzanti diversi. A differenza della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la TARES è diretta a coprire non solo i costi di investimento e di esercizio relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati (quota ambientale), ma altresì i costi afferenti ai servizi indivisibili dei Comuni (quota servizi o componente servizi) (v. art. 14 del citato D.L. n. 201/2011 letto in combinato disposto con l’art. 61, comma 1, del D.Lgs. n. 507/1993).
Come noto, a partire dall’1 gennaio 2013 il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi ha abrogato tutti i precedenti regimi di prelievo sui rifiuti – la TARSU di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, la Tariffa di Igiene ambientale (TIA) istituita con il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e la Tariffa Integrata (TIA 2) istituita con il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – e, a sua volta, a decorrere dal 1 gennaio 2014, è stato sostituito dalla Tassa sui rifiuti (TARI), istituita dall’art. 1, commi 639 e ss., L. 27 dicembre 2013, n. 147 (per un approfondimento sulla TARES e sull’evoluzione della tassazione sui rifiuti, M. Lovisetti, I prelievi sulla gestione dei rifiuti urbani. TARSU, TIA 1, TIA 2 e TARES, Brescia, 2012; F. Ruggiano, La tassa sui rifiuti, in L. De Vico, G. Debenedetto, L. Lovecchio, A. Magliaro, F. Ruggiano, A. Uricchio, Manuale dei tributi locali, Rimini, 2014, p. 527). Il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi è corrisposto – da chiunque possegga, occupi o detenga a qualsiasi titolo, locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti – in base a tariffa riferita all’anno solare e commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base dei criteri determinati con il regolamento di cui al D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, recante le norme per l’elaborazione del metodo normalizzato per la definizione della tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani. Pertanto diversamente dalla TARSU, per la quale opera una presunzione di produzione di rifiuti, in ambito TARES ed al pari della TARI l’applicabilità del tributo è correlata alla suscettibilità di produzione del rifiuto.
Sotto il profilo dell’onere probatorio del contribuente con riguardo all’inutilizzabilità dell’albergo, la Suprema Corte ritiene non soggetti ad imposizione (TARSU) i locali che risultano in oggettive condizioni di non utilizzabilità (inutilizzabilità oggettiva) e non anche quelli lasciati in concreto inutilizzati dal soggetto passivo (soggettivo inutilizzo).
Con riferimento alla TARES, invece, complice forse la breve vigenza (un anno) del tributo, non si è sviluppata una giurisprudenza specifica circa la prova in giudizio dell’inutilizzabilità del locale alberghiero ai fini dell’esclusione dall’imposta. Di certo, in tali ipotesi, il principio secondo il quale è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria – pur operando per ciò che attiene al presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – non può trovare applicazione con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, o addirittura l’esenzione (rectius esclusione), costituendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Cass., sez. trib., 13 maggio 2015, n. 9731).
In ogni caso, l’approdo interpretativo cui aderisce la Corte di Cassazione in riferimento alla mancata rilevanza, ai fini dell’esclusione dalla tassa, delle ipotesi di soggettivo inutilizzo dell’immobile, appare in contrasto con il principio “chi inquina paga” in quanto, escludendone a priori la valorizzazione, conduce all’errata e discutibile applicazione della ordinaria TARES (tassazione al 100%) in tutte le ipotesi, ivi compresa quella di specie, in cui in realtà si è in presenza di una apertura saltuaria per volontà dell’albergatore e, dunque, si è al di fuori della inutilizzabilità oggettiva (es. distacco di utenze ecc.). Se così è, in simili fattispecie, in sede decisionale neanche dovrebbe porsi il problema della verifica della concreta inutilizzabilità oggettiva dell’immobile, quanto piuttosto quello della compatibilità della tariffa determinata ed applicata rispetto al principio europeo “chi inquina paga”, risultando inadeguata ed illegittima anche la mera riduzione forfettaria del 30%.
In altri termini, sulla base del regolamento comunale l’Ente in questione ha applicato ad un’attività che non è stagionale, bensì saltuaria (occasionale o aperta per pochi giorni dell’anno), la riduzione tariffaria del 30% prevista per le attività stagionali (anche l’art. 14, comma 15, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 consente ai Comuni di prevedere mediante regolamento riduzioni tariffarie nella misura del trenta per cento nel caso di locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente).
Ebbene, già in tale fase emerge il mancato adeguamento della tariffa al principio “chi inquina paga” ove si consideri che, per effetto della riduzione, l’attività alberghiera viene assoggettata ad una tassazione del 70% che, comunque, appare non parametrata all’effettiva durata di operatività della struttura ed alla conseguente capacità produttiva di rifiuti. Del resto, è logico ritenere che, se di regola in un anno l’attività alberghiera ha avuto 17.000 clienti e nel caso concreto, invece, si è verificata una forte riduzione delle presenze (824 utenti), sia in proporzione diminuita anche la suscettibilità di produzione dei rifiuti.
Peraltro, in ossequio alla portata effettiva e sostanziale del “chi inquina paga” ed in considerazione dell’effettivo esercizio dell’attività alberghiera per qualche giorno dell’anno, si sarebbe potuta ipotizzare e prevedere tramite regolamento una modulazione della tariffa TARES giornaliera; ciò al duplice fine di applicare una tariffa più conforme e pienamente parametrata a detto principio e di ancorare il prelievo ad una verifica fattuale delle peculiarità della fattispecie in esame.
Sulla scorta dei citati dati disponibili è possibile ritenere che, oltre al Comune, anche la pronuncia della Suprema Corte non si sia pienamente adeguata al rispetto del principio “chi inquina paga”. La pronuncia in rassegna, difatti, non ne fa alcuna menzione sebbene la questione della violazione dell’art. 191 TFUE fosse stata prospettata in giudizio dal contribuente.
L’ordinanza, inoltre, non tiene conto dell’effettivo utilizzo degli spazi dell’albergo e non si accontenta della prova fornita dal contribuente, il quale ha comunque dimostrato che, in concreto, si è verificata una notevole diminuzione delle presenze con conseguente riduzione della suscettibilità di produzione dei rifiuti (minore anche rispetto a quella di un’attività stagionale).
In definitiva, nel caso di specie emerge, da un lato, la piena conformità formale della tariffa alla legge ed al regolamento comunale (che prevedevano la riduzione del 30%, seppur per le attività stagionali, e non prevedevano in tale ipotesi la tariffa giornaliera) ma, dall’altro, la violazione del principio europeo “chi inquina paga”.
Nello specifico, è in primis la legge (D.L. n. 201/2011) a risultare carente rispetto al principio “chi inquina paga” laddove non prevede la tariffa giornaliera per le attività che occupano aree private, ma solo per le aree pubbliche (v. art. 14, comma 24, D.L. n. 201/2011); con riguardo all’utilizzo di strutture private la legge in tema di TARES prevede solo la suddetta riduzione forfettaria del 30% qualora si tratti di attività stagionali. In secondo luogo, lo stesso vale anche per i regolamenti comunali di istituzione e applicazione della TARES.
In tale contesto, sia la suddetta legge italiana, sia i citati regolamenti comunali appaiono illegittimi e, pertanto, andrebbero disapplicati con la conseguente inapplicabilità totale della TARES. Tale opzione, tuttavia, produrrebbe l’effetto opposto, ossia configurerebbe una diretta violazione del principio “chi inquina paga” atteso che, comunque, l’esercizio dell’attività alberghiera produce inquinamento (e quindi deve essere sottoposto al pagamento della TARES).
Dunque, in simili fattispecie, tenuto conto della diretta ed immediata applicazione del principio “chi inquina paga” nell’ordinamento nazionale e della sua prevalenza sui regolamenti e sulla legge interna, la soluzione più rispondente al suddetto principio sembra essere l’applicazione, in via analogica o in via estensiva, alle strutture private con apertura saltuaria della tariffa giornaliera prevista dalla legge e dai regolamenti per le sole strutture pubbliche. La soluzione prospettata consentirebbe, altresì, di superare la disparità di trattamento tra pubblico e privato e di ricondurre ad equità il sistema, nel pieno rispetto della logica del principio eurounitario “chi inquina paga”.