Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

06/06/2019 - Per la Cassazione l'irpef è dovuta anche sul canone locatizio “usurpato”

argomento: IRPEF - Giurisprudenza

Con la sentenza in rassegna la Cassazione applica l’art. 26, comma 1, del TUIR al caso in cui il contitolare del diritto di proprietà di un immobile non riscuota il canone di locazione perché il bene è stato locato dall’altro comproprietario a sua insaputa. Infatti, a parere della Suprema Corte, la distinzione tra canoni non percepiti ed usurpati “è del tutto sterile” stante l’unicità del reddito fondiario legato alla mera titolarità di un diritto reale

PAROLE CHIAVE: imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) - accertamento - canoni locatizi non percepiti - tassazione in capo ai comproprietari


di Laura Letizia

  1. La sentenza resa dalla Suprema Corte trae origine da un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate ha richiesto una maggiore imposta, a titolo di IRPEF, a fronte dei canoni locatizi non dichiarati. In particolare, la fattispecie non riguardava l’ipotesi classica di redditi sotratti alla tassazione bensì il caso ove l’altro comproprietario dell’immobile aveva proceduto a concederlo in locazione all’insaputa del contribuente accertato incassando i relativi canoni.

A seguito della notifica dell’atto impositivo, il locatore “ignaro” ha proposto ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale deducendo l’inesistenza dell’obbligazione tributaria in assenza del “reddito”; egli ha manifestato, in subordine, l’impegno a versare il tributo dovuto a seguito della definizione del procedimento monitorio avviato nei confronti del contitolare del diritto reale per ottenere la restituzione dei corrispettivi acquisiti indebitamente. Di contro, si è costituito l’Ufficio opponendo che i canoni di locazione andavano comunque dichiarati, ancorchè non riscossi, ritenendo applicabile in via analogica l’art. 26, comma 1, del TUIR.

L’esito del giudizio di primo grado e del grado di appello è stato sfavorevole al contribuente. Pertanto, il comproprietario non locatore ha proposto ricorso per Cassazione eccependo la differenza tra i canoni locatizi non riscossi e quelli indebitamente “usurpati”.

Anche il giudizio dinanzi alla Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito ed in questo senso è stato sottolineato che il disposto dell’art. 26, comma 1, del TUIR prescinde dalla causa concreta della mancata percezione dei corrispettivi del contratto sicchè la norma sarebbe applicabile sia nell’ipotesi di morosità del conduttore, salva l’eccezione di convalida di sfratto per gli immobili ad uso abitativo, che nel caso di “usurpazione” da parte dell’altro comproprietario. Sul piano ricostruttivo, inoltre, è stato precisato che, rispetto alla regola generale dei redditi fondiari di cui agli artt. 25 ss. del TUIR, la rilevanza del canone locatizio costituisce un’eccezione; essa, pertanto, non sarebbe idonea a modificare il criterio d’imputazione soggettivo della ricchezza imponibile che resta collegata alla titolarità del diritto reale.

In forza di tale premessa, la Corte di Cassazione ha pertanto escluso qualsiasi profilo di irrazionalità e di incostituzionalità dell’art. 26, comma 1, del TUIR sotto il profilo della capacità contributiva, precisando – in realtà in modo assai generico – che “la capacità contributiva, quale idoneità all’obbligazione d’imposta desumibile dal presupposto economico al quale la stessa è collegata, potendo essere ricavata, in linea di principio, da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di costituzionalità (Corte cost., sent. nn. 362/2000, 42/1992; 315/1994; 143/1995)”.

  1. L’iter argomentativo privilegiato dalla Suprema Corte si fonda essenzialmente su due aspetti che riguardano rispettivamente il rapporto tra la regola generale che governa il regime impositivo dei redditi fondiari e la disciplina espressamente riservata ai redditi da locazione (entrambi riconducibili al primo comme dell’art. 26 del TUIR) e la definizione dell’ambito di applicazione di quest’ultima, con particolare riferimento alla possibilità di estenderla analogicamente alle ipotesi diverse da quelle espressamente regolate.

Si tratta di questioni evidentemente collegate ma che meritano di essere esaminate separatamente per evitare conclusioni irrazionali ed incorenti sul piano sistematico.

2.1.  In merito alla prima, è noto che, nonostante la rubrica dell’art. 26 del TUIR si limiti ad indicare l’“imputazione” dei redditi fondiari – vale a dire l’individuazione del soggetto passivo (anche nel caso di contitolarità) - il comma 1, in realtà, si spinge oltre perché disciplina anche il criterio di imputazione al periodo d’imposta nonché le ipotesi di esclusione dall’imposizione per i canoni di locazione non percepiti.

In particolare, la regola generale dei redditi di fonte immobiliare impone di includerli nel reddito complessivo del soggetto che possiede terreni o fabbricati a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto od altro diritto reale “indipendentemente dalla percezione” sicché è ricorrente in dottrina l’assimilazione al principio della competenza che governa le altre categorie di reddito con particolare riferimento al reddito d’impresa (tra i tanti cfr. Crovato, L’imputazione a periodo nelle imposte sui redditi, Padova, 1996, 25; Fantozzi-Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2014). Com’è noto, si tratta di un modello impositivo dovuto al criterio di determinazione su base catastale, che impone di attribuire rilievo alla mera titolarità della fonte ed al relativo reddito medio ordinario - ovvero alla ricchezza che l’immobile può produrre in astratto – nel presupposto che gli immobili siano beni intrinsecamente fruttiferi (come il denaro) (tra i tanti, cfr. Picciaredda, voce Redditi fondiari, Dir. trib., in Treccani on line, 2016).

 A tale regola generale sono sottratti in qualche modo i redditi derivanti da contratti di locazione di unità immobiliari ad uso abitativo in quanto la ricchezza acquisita non è figurativa ma di natura reale ed è idonea a determinare un incremento patrimoniale per il soggetto passivo di ammontare superiore a quello risultante dalla rendita catastale.

In linea di principio, essi dovrebbero assumere rilievo al momento della percezione (ovvero secondo il principio di cassa) oppure, per evitare ingiustificate distinzioni, in base alla rendita catastale medio tempore per i canoni non riscossi (come se il bene fosse non locato) con la tassazione della maggior ricchezza nell’anno di percezione dei canoni ma la norma assume un’impostazione diversa in quanto limita l’esclusione dalla tassazione per i canoni “non percepiti” solo dal “momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore”. Se la norma si fosse limitata a prevedere solo questa causa di esclusione avrebbe inevitabilmente prestato il fianco a profonde perplessità di ordine costituzionale a causa della tassazione dei canoni di locazione non percepiti prima della definizione del procedimento di sfratto.

Questa eventualità è però scongiurata dal periodo successivo in quanto al titolare dell’immobile è riconosciuto un credito d’imposta di ammontare pari alle imposte versate sui canoni non percepiti purché accertati in sede giurisdizionale. In questi termini, la razionalità del sistema è garantita da un complesso di regole così sintetizzabili:

  1. se il bene non è locato si applica la rendita catastale mentre nel caso opposto è tassato in ogni caso il canone di locazione;
  2. tuttavia, se i canoni di locazione non sono percepiti il reddito è escluso dall’imposizione a partire dalla definizione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità mentre per i canoni precedenti (sempre non riscossi) è riconosciuto un credito d’imposta alla condizione che la morosità sia accertata in sede giurisdizionale.

Senza affrontare in questa sede la questione se tra le due disposizioni intercorra un rapporto di genus in species (ovvero tra regola generale e speciale) oppure di pari ordinazione ed indirizzando a questo punto l’attenzione solo sui redditi da locazione, è certo che il titolare dell’immobile non può essere tassato (rectius: non è inciso economicamente dal tributo) a fronte di ricchezze mai percepite per evitare di prospettare un grave vulnus al principio della capacità contributiva; in questo senso una conferma univoca si desume anche dalle novità legislative più recenti oltre alle regole che attengono alla tassazione dei proventi illeciti ove è sancita una ipotesi di detassazione per quelli “sottoposti a sequestro o confisca” dovuta ugualmente all’assenza dell’arricchimento patrimoniale in favore del soggetto passivo.

Infatti, la legge n. 58 del 28 giugno 2019 ha reso ancor più favorevole l’art. 26, comma 1, del TUIR in quanto, per i contratti stipulati dall’1 gennaio 2020, la detassazione per i canoni non percepiti non è più subordinata alla definizione del procedimento di convalida dello sfratto ma è sufficiente provare la mancata corresponsione in un momento antecedente semplicemente con l’ingiunzione di pagamento o con l’intimazione dello sfratto per morosità.

In definitiva, per concludere sulla prima questione, è quantomeno azzardato richiamare la regole generale dei redditi fondiari per affermare l’indiscriminata tassazione dei canoni di locazione non percepiti; al più essa sarebbe stata idonea a legittimare la tassazione in base alla rendita catastale sicchè occorre affrontare il secondo profilo per verificare la solidità dell’argomento utilizzato.

2.2 In realtà, anche l’applicazione analogica dell’art. 26, comma 1, del TUIR, ai canoni (ugualmente non percepiti ma) trattenuti indebitamente dal comproprietario desta non poche perplessità non tanto perché la norma non sia meritevole di un’interpretazione più razionale ma piuttosto per le conclusioni raggiunte che hanno portato a rilevare che “la distinzione fra canone locatizio non riscosso e canone somministrato è del tutto sterile, in quanto per sua natura il reddito fondiario è legato alla titolarità del diritto reale”.

In questi termini, infatti, in primo luogo è agevole verificare che in alcuno dei numerosi precedenti richiamati dalla Suprema Corte è stato affrontato il tema della mancata percezione dei canoni a causa dell’“usurpazione” altrui. Inoltre, sussiste una netta distinzione tra la mancata percezione dei canoni di locazione dovuta all’inadempimento del conduttore e quella conseguente ad un rapporto instaurato illegittimamente da un terzo che si è appropriato anche delle relative utilità all’insaputa del titolare dell’immobile.

Il primo caso si fonda su un atto di autonomia negoziale del titolare del bene che conseguentemente diventa il soggetto passivo del tributo secondo le regole illustrate mentre nell’altra ipotesi manca uno degli elementi costitutivi della fattispecie (ovvero il contratto di locazione) – in quanto l’atto dispositivo è esercitato illegittimamente da un terzo - al punto che non è possibile ricorrere ai rimedi previsti dall’art. 26, comma 1, del TUIR ed, inoltre, interviene una divaricazione tra colui che dispone de facto del bene (ed incassa le relative utilità) ed il soggetto che dovrebbe essere chiamato a sottoportare le relative imposte.

D’altro canto, a tacer d’altro, la possibilità di ipotizzare una sorta di macro categoria costituita dai canoni non riscossi a prescindere dalle ragioni (mero inadempimento o usurpazione) conduce a conseguenze aberranti perché chiunque potrebbe essere indotto a locare, anche transitoriamente, beni altrui senza subire conseguenze fiscali (si pensi alle seconde case in luoghi di villeggiatura spesso incustodite dai proprietari per mesi).

Invece, per pervenire alla conclusione indicata dalla Corte di Cassazione si sarebbe potuta privilegiare un’interpretazione orientata al fine di assimilare il procedimento di sfratto a qualsiasi altra azione a disposizione del titolare dell’immobile volta a recuperare i canoni non incassati; tale soluzione, infatti, avrebbe preservato la tassazione in capo a quest’ultimo ma avrebbe avuto il pregio di riconoscere il credito d’imposta una volta accertato che i canoni non sono entrati nella disponibilità del soggetto passivo in quanto illeggittimamente acquisiti dal terzo.

In realtà, nella fattispecie in rassegna vi è un altro aspetto che rende irrazionale l’applicazione dell’art. 26, comma 1, del TUIR e dal quale potrebbero trarsi indicazioni proficue al fine di individuare la soluzione più corretta. Infatti, l’ipotesi presa in esame dalla norma riguarda, in sostanza, l’occupazione non assistita dal pagamento del canone di locazione e, pertanto, correttamente l’inquadramento è nell’ambito dei redditi esclusi dall’imposizione.

Nel caso dei canoni trattenuti indebitamente da un terzo, invece, un reddito c’è, anche se non è originato da una rapporto contrattuale corretto, sicchè il tema non è se la ricchezza debba essere tassata o meno ma riguarda l’individuazione del soggetto passivo. In questa diversa prospettiva, infatti, si orienta quella pronuncia giurisprudenziale che ha individuato il soggetto tenuto all’obbligo del pagamento del tributo nell’effettivo percettore delle somme (cfr. Comm. Trib. Prov. di Caltanissetta, sent. del 15 aprile 2015, n. 973) ed anche la stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare “[…] Non essendoci ostacolo alcuno ad attribuire il reddito derivante dalla concessione in locazione non solo in capo ad un soggetto del tutto diverso dal legittimo proprietario (Cass., sent. del 15 dicembre 2003, n. 19166) ma anche in capo ad alcuni soltanto che risultino essere effettivi locatari e percettori dei redditi che dalla locazione derivano” (Cass., Ord. del 17 febbraio 2016, n. 3085).

In definitiva, nel caso in cui i canoni di locazione siano illegittimamente acquisiti alla sfera patrimoniale di un terzo il riferimento al primo comma dell’art. 26 del TUIR rischia di essere inappropriato soprattutto se è invocato per individuare il soggetto passivo semplicemente in base alla titolarità dell’immobile trascurando colui che ha “percepito” il reddito ed ha beneficiato del corrispondente arricchimento patrimoniale.

  1. Tale conclusione può essere ulteriormente argomentata sul piano della teoria generale in forza delle conclusioni più accreditate in merito al presupposto delle imposte sui redditi. E’ noto, infatti, che la dottrina tende a distinguere il profilo soggettivo da quello oggettivo con riferimento alla formula, per molti versi imprecisa, del “possesso di redditi” presente all’art. 1 del TUIR (per tutti si veda Paparella, Possesso dei redditi ed interposizione fittizia, Milano, 2000, 43).

Il primo richiede la presenza di un reddito - ovvero la manifestazione di capacità contributiva che legittima l’applicazione del tributo e che deve essere individuata tra le fattispecie tassattive previste dalle varie categorie reddituali di cui all’art. 6 – mentre il secondo impone una relazione giuridicamente qualificata tra la fonte reddituale ed il soggetto passivo secondo la natura delle diverse fonti (Fedele, Possesso dei redditi, capacità contributiva ed incostituzionalità del cumulo, in Giur. cost., 1976, I, 2159).

Tanto brevemente premesso, in merito al reddito è sufficiente precisare che perché possa considerarsi integrato il presupposto è necessario che il soggetto passivo goda di un incremento della propria consistenza patrimoniale; nel caso di specie tale imprescindibile effetto tuttavia non interviene in favore del proprietario dell’immobile ma del comproprietario che si è appropriato indebitamente dei canoni di locazione e che, pertanto, diventa colui che dispone della capacità economica di sopportare il tributo.

Inoltre, un secondo aspetto critico attiene al requisito soggettivo in quanto il fatto generatore dell’imposizione deve risultare da un reale collegamento con il soggetto passivo in modo che la sua capacità contributiva esprima un’idoneità effettiva e ben determinata legata alla struttura dell’imposta sicchè non può essere considerato “possessore” chiunque si trovi in una qualsiasi relazione causale con il reddito.

A proposito dei redditi fondiari è stata autorevolmente prospettata l’esigenza di distinguere i redditi derivante dall’immobile in sé dai redditi in cui la fonte è il contratto (id est: di locazione) (Fedele, Il canone di locazione tra redditi fondiari e “redditi da contratto”, in Riv. dir. trib., Suppl. on line del 23 febbraio 2016) ed in questa condivisibile prospettiva è agevole concludere che al titolare dell’immobile non può essere riconosciuta alcuna relazione giuridica qualificata con la fonte del reddito trattandosi di un rapporto di fatto insta