argomento: Principi generali e fonti - Legislazione e prassi
PAROLE CHIAVE: sovranità fiscale - globalizzazione - capacità contributiva
di Valeria Mastroiacovo
Il volume “Le sovranità nell'era della post globalizzazione” (Pacini, Pisa, 2019) nasce dall’esperienza di un gruppo di ricerca interdisciplinare del Dipartimento di Giurisprudenza di Foggia, finanziato dall’Ateneo, sul tema Ricchezze senza Stato nell’era della post globalizzazione.
Già il progetto originario, muovendo dalla letteratura consolidata sulle interrelazioni tra nazioni e ricchezze, intendeva, da un lato, attribuire un peculiare risalto all’analisi diacronica a fini sistematici e ricostruttivi, dall’altro, fissare nella stagione della post-globalizzazione il punto di verifica degli obiettivi della ricerca. In altri termini, si è inteso rimarcare la peculiarità del momento storico attuale, che supera l’epoca della globalizzazione (databile agli anni Novanta) almeno sotto due profili: l’avanzata delle multinazionali cd. Over the top; l’accelerazione del mutamento di alcuni fattori connessi alla sovranità degli Stati anche in conseguenza del dominio dei dati (in particolare i cd. big data) attraverso nuove tecnologie (in particolare la cd. intelligenza artificiale). Si è tentato di prefigurare in che modo questi macro-fenomeni possano incidere sull’evoluzione della sovranità, specialmente nei quadranti del Diritto tributario (dove è cruciale la prospettiva dell’equità nelle opzioni di distribuzione delle ricchezze) e del Diritto penale (con riferimento ai rapporti internazionali).
Strutturare un’attività di ricerca su un tema ampiamente dibattuto e di grande attualità è sovente rischioso nell’alternativa tra un panorama asfittico (privo di nuovi spazi di riflessione) ed eccessivamente mutevole (inidoneo a considerazioni di sistema).
Proprio in ragione delle continue sollecitazioni derivanti da un’amplissima letteratura e dal prorompente confronto politico nazionale e internazionale (in particolare in materia di immigrazione e di tassazione del “reddito mondiale”) all’interno del gruppo di ricerca è iniziato a maturare il confronto sulla validità o meno dell’ipotesi ricostruttiva originaria circa una nuova prospettiva di sovranità con riferimento a “ricchezze senza Stato”.
La sfida è consistita nell’aprirsi alla Comunità scientifica e raccogliere intorno a un tema cosí fluido studiosi affermati e giovani ricercatori, che – a diversi livelli di maturazione della propria esperienza – ne avessero già indagato determinati profili. Le rispettive riflessioni sono state poste a confronto soprattutto nel Convegno tenutosi a Foggia il 1° marzo 2019, nel quale si è provato a trasformare le sfaccettature del prisma della sovranità in una tendenziale rotondità delle forme: se non in termini di compiutezza, quanto meno in termini di complessità ed eterogeneità dei punti di vista.
Da qui la struttura del volume in tre parti: le relazioni al Convegno, gli interventi alla tavola rotonda e le comunicazioni pervenute successivamente dai partecipanti al gruppo di ricerca.
La pluralità delle angolazioni emerge sin dal titolo dell’evento: Le sovranità nell’era della post globalizzazione. La scelta – suggerita da Francesco Silla – di utilizzare l’identità del morfema singolare/plurale del termine sovranità, corredandolo dell’articolo plurale, ha consentito di sottintendere una molteplicità di espressioni altrimenti complesse precedentemente ipotizzate e financo un eventuale punto interrogativo. Ogni questione emersa nel dibattito interno al gruppo di ricerca è stata debitamente esplicitata in una lettera di invito ai relatori, che ha contribuito a delineare una piattaforma condivisa. Si è altresì puntualizzato il contesto temporale della “post globalizzazione” rispetto al quale verificare le prospettive del piano della ricerca, anche al fine di ipotizzare strategie “di composizione” del crescente divario tra le possibili alternative future che la letteratura ha lapidariamente lasciato sul tappeto: democrazia globale, sovranità nazionale e iper-globalizzazione (cd. paradosso di D. Rodrik).
Il prevalente coinvolgimento di giuristi, senza tuttavia tralasciare la voce della filosofia politica, evidenzia chiaramente la predilezione per un’analisi volta a indagare percorsi di legittimazione di ciò che può definirsi sovranità. È infatti innegabile il decisivo contributo della cultura giuridica alla conformazione “formale ed effettiva” dell’organizzazione del potere, anche a fronte del progresso tecnologico che costantemente altera la percezione del “tempo” e dello “spazio”, ridisegnando i confini e gli spostamenti delle persone e delle cose. L’interrogativo cruciale – rimasto utilmente irrisolto nelle eterogenee posizioni degli Autori – è se e in che termini le ricchezze di singoli privati, laddove eventualmente superiori a quelle degli Stati, consentano di addivenire a una nuova concezione di sovranità. Da ultimo, la questione si correda dell’ulteriore riflessione circa la reale identificazione della ricchezza, se cioè vada intesa come tale anche la “capacità di dominio dei dati” ovverosia la conoscenza di dati che possano incidere – seppure a livello aggregato – sull’economia e, in sostanza, sulla produzione della ricchezza (costituendo eventualmente, i dati stessi, una “nuova ricchezza”).
Gli Autori individuano intensi percorsi argomentativi per rappresentare la complessità dei fenomeni della sovranità nell’attuale panorama politico nazionale e internazionale, con le sue insite contraddizioni, talvolta contingenti.
A questi elementi fatalmente congiunturali fanno da contrappeso i contributi di analisi filosofica, storica e politica, i quali consentono di allungare lo sguardo e di inserire la stretta attualità entro un’ottica di lunga durata.
D’altro canto, nel contesto dell’opera, la “rotondità”, così raggiunta in via sistematica, viene di nuovo messa in crisi dalla specifica trattazione di alcuni aspetti peculiari (ci si riferisce ad esempio alla riflessione sul Consiglio d’Europa e sulla giurisprudenza comunitaria nella prospettiva del diritto penale) che evidenziano la compenetrazione dei piani di indagine, in particolare sul piano dei rapporti che esorbitano i confini nazionali.
Resta costantemente sullo sfondo il tema della “ricchezza” e delle possibili prospettive per un’equa (re)distribuzione della stessa, in particolare mediante sistemi di tassazione ragionevole, efficiente e “giusta”. Il ventaglio delle idee si apre fino a innovative prospettive solidaristiche che facciano leva su una condivisione “etica e morale” di priorità condivise a livello mondiale. Scenario ottimistico, che lascia immaginare ampie stanze e lunghi tavoli di concertazioni, il vociare di lingue molteplici ma concordi sul piano dei valori, tanto da porre in dubbio la legittimazione ‘sovrana’ del potere nazionale e la stessa necessità di un fisco ‘statuale’. Una sorta di Torre di Babele di Pieter Bruegel (1563), rispetto alla quale, però, manca un dettaglio: la presenza in basso, a sinistra del dipinto, del Re che ordina, nella specie, l’ostinata continuazione della costruzione destinata con certezza a crollare.
L’attuale panorama – finanche rispetto all’evidenza di dati “oggettivi” su temi di carattere scientifico (clima, ambiente, ecc.) – non incoraggia, certo a reperire un sovrano sovranazionale in grado di operare la sintesi e ricomporre in modo assoluto le diverse sovranità.
Senza dubbio sono innumerevoli e cospicue le cessioni di sovranità a cui nel tempo gli Stati si sono esplicitamente assoggettati (e gli effetti giuridici indiretti ad essi conseguenziali – ad esempio l’efficacia della giurisprudenza comunitaria e della CEDU), ma occorre ancora intessere la maglia della “legittimazione” ordinata e istituzionale della sovranità perché questa via risulti efficace e percorribile. Gli strumenti di riforma adottati nella prospettiva di una sovranità tributaria globale (sia essa limitata alle imposte sui redditi in senso tecnico o ad altri tipi di imposizione che facciano riferimento alla ricchezza attraverso indici indiretti) sembrano ad oggi impotenti e destinati al fallimento proprio per effetto della concorrenza fiscale degli Stati (“sollecitati” dalla forza delle Over the top), che non sembra destinata ad attenuarsi in modo significativo al di là di un importante lavoro ricostruttivo e programmatico di tavoli di lavoro a livello europeo e tentativi in ambito internazionale. Lo stesso contenimento della spesa e della politica finanziaria degli Stati in ambito europeo ha condotto ad esiti probabilmente differenti da quelli in origine ipotizzati e costituisce, oggi, uno dei principali temi di riflessione nella cd. Agenda politica degli Stati.
Sono del resto evidenti e significativi alcuni segnali anche recenti che costituiscono reazioni a dette cessioni di sovranità quale programma istituzionale precedentemente condiviso (essenzialmente collocabili nel panorama occidentale, quali la Gran Bretagna e la Spagna, senza tralasciare gli Stati Uniti d’America e l’Italia per quanto concerne in particolare la politica migratoria e una disciplina nazionale della cd. web tax), che si potrebbero genericamente definire di retroguardia, nella prospettiva del nazionalismo e del protezionismo.
Tra gli esempi di attualità merita d’esser menzionata la vicenda Brexit, se non altro per l’intima contraddizione che oggi pare manifestarsi in termini di legittimazione del potere. A fronte della dichiarazione per cui “Brexit Vote is about the Sovereignty of Parliament and Nothing Else” (A. Evens-Pritchard, in Daily Telegrafh, 13 giugno 2016), dopo l’esito del referendum, il governo conservatore aveva ritenuto definitiva la decisione popolare, ritenendo il Parlamento esautorato da una decisione difforme. Come è noto, successivamente la Corte suprema, in opposizione all’orientamento del governo, ha deciso che il risultato del referendum non implicava una delegittimazione del Parlamento, cui anzi spettava esprimersi sull’adesione o meno all’accordo finale stipulato con la UE. In seno al Parlamento si è tentato, a più riprese ma, al momento, senza esito, di procedere nelle diverse possibili soluzioni (Brexit/no Brexit; no deal/anti no deal) attraverso i percorsi della politica rappresentativa. In questo contesto di esercizio istituzionale di sovranità, è di pochi giorni fa la notizia che la Regina (sovrana) ha straordinariamente accordato la proroga della chiusura del Parlamento, chiesta dal governo, per impedire la calendarizzazione di una legge “anti no deal”. A tali scenari, non del tutto tranquillizzanti per la democrazia, fanno tuttavia da contrappeso le dimissioni di appartenenti al gruppo dei Tory per delegittimare il governo e consentire la messa in votazione della proposta, mentre la popolazione si riversa nelle piazze a manifestare.
La complessità della vicenda conferma, che, in un quadro di sovranità ordinata, la popolarità di un’idea è cosa ben distinta dalle dinamiche del potere istituzionale.
La recente dinamica parlamentare italiana ne offre, del resto, ulteriori riprove.
Certo è sempre astrattamente possibile, seppur come ipotesi di scuola, una discontinuità “rivoluzionaria” finalizzata a nuove forme di legittimazione della sovranità, tuttavia, nello specifico panorama occidentale – attualmente “anestetizzato” –, gli esempi più significativi risalgono nel tempo.
All’esito di una precedente ricerca (condotta specificamente in ambito tributario nella prospettiva dell’orientamento universitario), è emerso che i momenti di rottura dell’equilibrio istituzionale della sovranità (in qualsiasi forma tradizionalmente intesa) sono stati molto spesso intimamente connessi a ragioni di carattere fiscale (dalla Magna Charta di Giovanni senza terra pretesa dai baroni inglesi; allo Shipmoney di Carlo I d’Inghilterra che conduce alla Grande Rimostranza aprendo alle guerre civili fino all’epilogo nel Bill of Right; all’esasperazione fiscale che attraversa l’Europa dalla metà del Cinquecento per un intero secolo, e che trova sintomatico episodio in Italia con Masaniello e la rivolta dei lazzari, ma anche alla mirata politica fiscale prussiana finalizzata mediante “erosione della base imponibile” a contrapporre il ceto borghese agli altri al fine di accelerare il mutamento del quadro politico nazionale; nonché al cd. Boston Tea Party o ancora alla Rivoluzione francese, ecc.). Il fisco è dunque un elemento cardine nei mutamenti di legittimazione del sovrano e ciò sembra restare valido, a mio avviso, sia in una prospettiva classica della sovranità e sia a voler attribuire alla sovranità un significato più ampio che involga anche effetti – in verità – riflessi dei soggetti istituzionali. Nel prossimo futuro non si escludono “rivoluzioni fiscali” che si manifestino attraverso il boicottaggio di prodotti o servizi da parte di Stati (in un certo senso può essere letta in questa prospettiva la riforma Trump) o da parte degli stessi consumatori (si pensi, ad esempio all’incidenza – seppure probabilmente solo simbolica – dei boicottaggi nei confronti di alcuni marchi, ad esempio Starbucks o Dolce e Gabbana, a seguito delle vicende di evasione fiscale).
Del resto la storia ci mostra come la stessa esclusione da imposta non è genericamente percepita come privilegio fino a che viene condivisa la ratio della differenziazione (sia sul piano oggettivo che soggettivo). D’altra parte sembra doveroso constatare che proprio l’attenzione sulle differenziazioni di tassazioni – ritenute non più ragionevoli (come, ad esempio, sta accadendo con riferimento all’applicazione dei tradizionali canoni di individuazione di stabile organizzazione) – comporta quasi necessariamente l’individuazione di nuovi indici di capacità contributiva, probabilmente più complessi di una ricchezza semplicemente intesa quale reddito o patrimonio e comunque idonei a valutare, in termini comparativi, le posizioni economiche di vantaggio.
La letteratura insegna che superaneus era, in epoca medievale, colui che si collocava in una posizione di preminenza relativa in un contesto gerarchicamente organizzato; solo dopo i conflitti europei del XVI e XVII secolo si pervenne a teorizzare una sovranità assoluta e originaria, alla quale si reagí con la costruzione dello Stato di diritto. In Occidente il principale limite al potere si è storicamente incarnato nelle Costituzioni, la cui forza dormiente si risveglia nelle criticità e nel momento in cui la sovranità ‘definita’, l’ordo iuris, paiono vacillare.
Concentrando lo sguardo all’ambito nazionale, la nostra Carta fin da principio ci ricorda che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Una prima riflessione conclusiva non può quindi che muovere da quel che ci appartiene, sollecitando il popolo alla consapevolezza di questa sovranità (e di ciò che ne residua in ambito nazionale) al fine di non sperperare questo tesoro prezioso conquistato duramente e per nulla scontato.
L’accelerazione tecnologica e l’implementazione dei servizi attraverso l’intelligenza artificiale sembra prospettarci un panorama apocalittico in cui la forza lavoro potrebbe trovarsi in serie difficoltà, con elevatissimi costi di riqualificazione, che nel breve periodo incrementeranno il divario delle diseguaglianze. La “sopravvivenza” lavorativa sembra infatti oscillare tra la totale globalizzazione della prestazione (flessibile a qualsiasi contesto) e la assoluta specificità della prestazione (attraverso un prodotto o un servizio unico e irripetibile anche in termini di geolocalizzazione). Colpisce allora che la Regina Elisabetta nel suo discorso di fine anno, dopo aver con soddisfazione constatato la posizione di preminenza della Gran Bretagna, nel quadro internazionale, circa la ricerca e l’implementazione dell’intelligenza artificiale, abbia poi sollecitato i bambini e i giovani a concentrarsi sullo sviluppo di attività che richiedano la creatività e la fantasia e rendano essenziale la componente emozionale della persona.
Nell’era della post globalizzazione si deve tentare di uscire dal cennato paradosso: sembrerebbe impossibile tornare indietro (anche se alcuni Stati innalzano muri, introducono dazi, ecc.), sembrerebbe folle procedere alla medesima velocità (riconoscendo implicitamente il dominio – solo virtuale e non reale – del mercato sulla politica e sulla legittimazione ordinata della sovranità), sembrerebbe prematuro confidare in una democrazia allargata e condivisa in un secolo che soffre di “identità perdute”.
A me sembra che una prospettiva possibile sia ripartire dall’individuo, dal suo senso di appartenenza a una Comunità organizzata, che si manifesta anche attraverso la partecipazione alle pubbliche spese, laddove il tributo non è il prezzo da corrispondere al sovrano per la sua protezione, ma il frutto della conquista della sovranità da parte del singolo. È attraverso tale finanziamento delle pubbliche spese che si costruisce la Comunità di appartenenza, con i suoi poteri, compresi quelli che legittimano l’assise in consessi internazionali e quelli che consentono di vigilare sulla tutela della libertà delle forme e dei diritti nell’esplicarsi delle dinamiche contrattuali e commerciali, pur nello sfumarsi dei confini nazionali.