Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

09/07/2020 - Lo strano ibrido delle società tra professionisti che svolgono attività professionale ma producono reddito d’impresa

argomento: IRPEF - Legislazione e prassi

L’Amministrazione finanziaria, dopo alcune incertezze, ha recentemente affermato che le società tra professionisti (STP) producono reddito d’impresa, facendo prevalere l’elemento soggettivo connesso allo strumento societario rispetto alla valutazione oggettiva dell’attività svolta. Ciò, da un lato, elimina le ritenute sui relativi redditi, ma dall’altro impone il principio di competenza. Si tratta di una interpretazione che, nell’attuale momento di crisi finanziaria, potrebbe nuocere alle STP di fronte alla platea di possibili assistiti insolventi, penalizzando ulteriormente questo strumento societario.

PAROLE CHIAVE: - liberi professionisti - societa - reddito di impresa - reddito di lavoro autonomo


di Emiliano Covino

  1. La riforma dei modelli di gestione dell'attività professionale, avvenuta a seguito della generalizzazione dello strumento delle società tra professionisti (STP) ad opera della Legge 12 novembre 2011, n. 183, sembrerebbe aver creato un nuovo modello di società che rappresenta un ibrido tra l’elemento soggettivo, causa di attrazione al reddito d’impresa, e l’oggetto economico, ossia l’attività professionale quale fonte di reddito di lavoro autonomo.

Le caratteristiche essenziali delle società tra professionisti sono contenute nella Legge 12 novembre 2011, n. 183, con cui è stata improntata una disciplina generale dell’istituto; tale impianto normativo è stato poi esteso dalla legge 4 agosto 2017, n. 124, con alcune differenze minori, anche ad altre categorie professionali prima escluse, come quella forense per la quale lo schema societario è ora disciplinato dal nuovo art. 4-bis della legge professionale forense n. 247/2012 (istitutivo delle società tra avvocati - STA), oppure per i farmacisti, in base alle modifiche (apportate sempre legge n. 124) alla legge regolatrice della professione (L. n.  362/1991).

Di base, i requisiti minimi per la costituzione di società tra professionisti sono pressoché identici per tutte le professioni: è consentita la costituzione di società di persone, di capitali o cooperative, iscritte in apposita sezione speciale dell’albo professionale, nel rispetto delle seguenti condizioni: a) i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere professionisti iscritti all’albo; b) la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci iscritti all’albo; c) i componenti dell’organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale, i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori.

Ciò premesso, le questioni interpretative di maggior rilievo sono sorte con riferimento alla qualificazione giuridica del reddito prodotto da questa tipologia di società (cfr. Ferranti G., Società tra professionisti: per la qualificazione del reddito si attende la soluzione normativa”, in Corr. Trib., n. 46/2013, pag. 3603).

 

  1. Per molto tempo si è posto il dubbio, ai fini dell'inquadramento della natura di reddito prodotto dalle STP, tra la prevalenza dell'elemento soggettivo, connesso dello strumento societario, ovvero di quello oggettivo relativo alle caratteristiche dell'attività professionale, le quali sono strutturalmente aderenti al reddito di lavoro autonomo. In questo ambito, la riconduzione dell’attività svolta nell'ambito del reddito d'impresa, o in quello del reddito di lavoro autonomo, comporta evidenti ricadute sistematiche, prima fra tutte l'obbligo di sottoporre o meno a ritenuta d'acconto i compresi percepiti da sostituti d'imposta; non meno importante è anche il passaggio del principio di imputazione per cassa, tipico dei lavoratori autonomi, al principio di competenza economica per le società in contabilità ordinaria (ossia tutte quelle con personalità giuridica), da cui derivano tutte le problematiche relative a prestazioni professionali concluse ma non ancora saldate (cfr. Zappi A., STP, reddito professionale da “improntare” alla competenza, in Ipsoa Quotidiano del 08/05/2018). Tale questione è stata mitigata, almeno in parte, per le società tra professionisti in forma di società di persone ammesse alla tenuta della contabilità semplificata, poiché possono applicare il nuovo criterio di imputazione temporale “misto” di cassa e competenza ai fini dell’IRPEF e dell’IRAP, nato con l’estensione del principio di cassa anche alle società di persone (cfr. Ferranti G., Le società commerciali tra professionisti dichiarano reddito d’impresa, in Il Fisco n. 26/2018, pag. 2521). Tuttavia, come confermato dalla circolare Agenzia delle entrate 8E/2017, par. 8, l’applicazione del nuovo regime di cassa anche per il reddito d’impresa non comporta tout court l’abbandono del principio di competenza, ciò in quanto il sistema normativo impone la competenza economica per alcune voci di costo o ricavo che richiedono fisiologicamente questa modalità di imputazione, anche nel caso di società tra professionisti in contabilità semplificata. Pertanto, anche dopo il passaggio al criterio di imputazione misto, per la STP il principio di cassa avrebbe evitato anticipi di tassazione su compensi non percepiti, mentre l’attrazione al regime d’impresa comporterebbe la necessità di tassare anche le prestazioni non ancora saldate ai sensi lettera b) del comma 2 dell’articolo 109.

 

  1. Sul tema, l’interpretazione fornita dall’Amministrazione Finanziaria e da altri organi consultivi di categoria non è stata univoca. Anzi, l’evoluzione dell'interpretazione fornita dagli strumenti di prassi è partita da un iniziale prevalenza del requisito oggettivo, riferito alla tipologia di attività svolta, con annessa qualificazione del reddito lavoro autonomo per le STP; si è passati, poi, all’attuale interpretazione fornita con la risoluzione ris. n. 35/2018 (l’ultima in ordine di tempo sul tema), in cui Agenzia delle entrate ha, invece, affermato la prevalenza dell’elemento soggettivo societario, riconducendo quindi all’interno del reddito d'impresa l’attività prodotta dalle società tra avvocati previste dal suddetto art. 4bis; infatti, l’Amministrazione finanziaria si è espressa sullo specifico tema delle STA, oggetto della richiesta di interpello da cui è scaturita la risoluzione citata, ma di fatto ha fornito un principio ermeneutico applicabile in via analogia a tutte le società per professionisti.

Ripercorrendo brevemente i principali passaggi di questo cambio interpretativo, si deve ricordare che, in senso favorevole alla qualificazione come reddito di lavoro autonomo in capo alla STP, si era espresso anche il IRDCEC, con la circolare n. 34/IR/2013, con cui era stata sottolineata la specificità dell’oggetto sociale e il contenuto prettamente intellettuale dell’attività, rispetto al quale i supporti organizzativi e strumentali (soggettivi) assumono un ruolo del tutto secondario. Inoltre, in tale circolare si è anche sottolineata l’importanza  dell’esercizio in esclusiva di attività professionali regolamentate dal sistema ordinistico, come elemento qualificante del reddito prodotto nel senso di riconducibilità al lavoro autonomo.

Per avvallare la validità del ragionamento esposto, la circolare dell'istituto di ricerca dei dottori commercialisti faceva espressamente riferimento ad una precedente risoluzione n. 118/2003 dell'Agenzia delle entrate, che tempo addietro si era espressa in senso conforme alla produzione del reddito di lavoro autonomo da parte di alcune STP, prendendo posizione - anche all’epoca – su quelle tra avvocati. Infatti, nel documento di prassi del 2003, l’Agenzia aveva preso per la prima volta posizione in merito alla tipologia di reddito delle precedenti società tra avvocati istituite ai sensi del D.lgs. n. 96/2001 (tipologia societaria forense ad hoc poi abrogata e sostituita con il modello generale disciplinato dalla legge n. 124/2017); anche il quel caso, sebbene l’argomento fosse circoscritto alle società di ambito legale, interpretazione è stata subito ritenuta applicabile a tutte le società tra professionisti istituite dalle legge 12 novembre 2011, n. 183.

Proprio per non far collidere l’interpretazione fornita allora, favorevole alla qualificazione di lavoro autonomo da parte delle società forensi, con quella diametralmente opposta contenuta nella ris. n. 35/2018, in quest’ultimo documento l’Agenzia delle entrate ha ritenuto opportuno specificare che le conclusioni della risoluzione n. 118/2003 erano legale  all’introduzione di un nuovo modello societario assoggettato ad una autonoma disciplina dettata dal D.lgs. n. 96/2001; al contrario, il modello previsto ora dalla legge n. 124/2017 fa riferimento agli ordinari schemi societari previsti dalla disciplina civilistica. Per tale ragione, alle “nuove” società forensi è obbligatorio applicare l’attrazione soggettiva al reddito d’impresa connessa alla presunzione assoluta di cui agli artt. 6 e 81 del T.U.I.R., inapplicabile invece alle STA previste nel 2001 perché costituendo un genere autonomo di società extracodicistico (cfr. Ficari V., Le società tra avvocati nell’imposizione sul reddito: spunti per una discussione, in Rass. Trib. n. 2002, pag. 891  - Fico D., Profili civilistici e fiscali della società tra avvocati, in Dir e Prat. Soc. n. 7/2002, pag. 34, Forte N., Le società tra avvocati producono redditi di lavoro autonomo, in Corriere Tributario n. 2003 pag. 2333).

Sulla scorta di quest’ultima specificazione (più vicina ad una “excusatio non petita” attuale che alla creazione allora di un nuovo modello societario teorizzato dal D.lgs. n. 96/2001), l’Agenzia delle Entrate concludeva che, ai fini della qualificazione dei redditi delle STP, non assume alcuna rilevanza l’esercizio dell’attività professionale, per il fatto che solo le “nuove” società appartengono alle categorie regolate dal Codice civile e, come tali, sono soggette integralmente alla disciplina legale del modello societario prescelto.

Ciò rimane valido sia per le società forensi composte anche da soci non avvocati, per le quali la portata innovativa della riforma del 2017 è evidente (essendo prima vietata la partecipazione di soci non avvocati, come verrà esplicitato al punto successivo), sia per le società di soli professionisti. Proprio a causa dell’incertezza normativa, dovuta ad una sovrapposizione di disposizioni non coordinate, sono dovute intervenire le SS.UU. della Cassazione (sent. del 19/07/2018 n. 19282) che hanno interpretato sistematicamente questa produzione legislativa in parte caotica, dichiarando abrogato il modello di società tra avvocati creato con il D.lgs. n. 96/2001, confermando comunque la validità delle società costituite prima della legge n. 124/2017, ma solo in caso di compatibilità tra le vecchie STA del 2001 con lo ius superveniens del 2017 (cfr. Avagliano M., La “nuova” società tra avvocati alla luce della legge 4 agosto 2017, n. 124 e della Cassazione a Sezioni Unite 19 luglio 2018, n. 19282, in Riv. dir. comm. 2019, Fasc. 1, pag. 47.

 

  1. L’ultima interpretazione dell’Agenzia delle entrate, fornita con la risoluzione del 2018, non sembra però esente da critiche, prima fra tutte quella relativa al parallelismo tra le STP e le tipiche figure societarie previste dal codice civile. Tale ragionamento era stato posto per valorizzare la qualificazione come reddito d’impresa dell’attività svolta dalle STP, ma di ciò non sembrava esserne del tutto convita neanche la stessa risoluzione, tanto da far comunque rilevare le peculiarità delle società tra avvocati (ma, in generale, di tutte le società tra professionisti) rispetto alle altre tipologie societarie; la risoluzione, infatti, precisava come lo schermo societario non potesse escludere “il principio della personalità della prestazione professionale” oppure il fatto che “la responsabilità della società e quella dei soci” non limitasse “la responsabilità del professionista che ha eseguito la specifica prestazione”, in chiara deroga agli ordinari principi di limitazione della responsabilità delle società di capitali.

Sempre in quest’ottica di identificazione tra socio professionista e STP, l’Agenzia delle Entrate (con ris. n. 23/E del 14 aprile 2016) aveva evidenziato che non sussistono preclusioni al rilascio del visto di conformità (ex art. 35 Dlgs n. 241/97 per la validazione dei documenti esibiti in sede dichiarativa dal contribuente assistito), da parte del socio professionista di STP, utilizzando la partita Iva di quest’ultima, a riprova della  “immedesimazione” tra l’attività del professionista  (sicuramente definibile di lavoro autonomo) e quella della relativa società, inesistente nel diritto societario ordinario.

In ogni caso, questa prevalenza della forma societaria sulla sostanza dell'attività professionale svolta dalle STP, da cui trae origine il relativo reddito d’impresa, si presta – almeno in parte - ad alcuni vantaggi, come il fatto che i compensi conseguiti da tali società non sono assoggettabili alla ritenuta d’acconto di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973 (applicabile  solo per lavoro autonomo professionale e occasionale). Tuttavia, come accennato in premessa, accanto a quest’ultima facilitazione finanziaria (ma comunque ininfluente dal punto di vista economico), rimane da chiedersi quanto il principio di competenza, in luogo di quello di cassa, possa danneggiare la fruizione di questa forma di società professionale, già prima messa a dura prova dall’estensione del regime forfettario (che ha portato alla scissione di molte associazioni professionali al fine di moltiplicare la soglia di fatturato per ogni singolo associato professionista) ed ora in procinto di confrontarsi con un rischio di insolvenza dei clienti sicuramente esasperato dalla crisi sanitaria. Creando in questo caso un danno economico (tassazione di compensi non percepiti) e non meramente finanziario.

In ogni caso, rimane da evidenziare la portata piuttosto limitata del fenomeno delle STP sin dalla sua istituzione, non particolarmente incrementata neanche a seguito delle riforme con 2017, poiché sono quantificabili in solo 2.322 unità le STP esistenti nel 2018, contro le 1.246 iscritte alla camera di commercio del 2016 (cfr. Busani, Melis, Lo studio cresce con la formula STP, in Il Sole - 24 Ore del 18 giugno 2018, pag. 7.) e le 939 esistenti nel 2016 (cfr. De Cesari, Società tra professionisti, il capitale è al minimo, in Il Sole - 24 Ore del 29 Febbraio 2016)

Ciò conferma che le suddette incertezze interpretative sulla tipologia di reddito prodotto abbiano sicuramente limitato l’appeal dell’istituto, che probabilmente non è stato in grado di esprimere tutte le proprie potenzialità, almeno secondo le intenzioni del legislatore dell’epoca (cfr. cfr. Ferranti G., Le società commerciali tra professionisti dichiarano reddito d’impresa, cit.). Allo stato attuale, si potrebbero  valorizzare alcuni punti di sicuro interesse delle STP, come la possibilità di inserimento di soci finanziatori non professionisti, che possono rappresentare fino ad 1/3 delle quote societarie (pur dovendo comunque possedere i requisiti di onorabilità/incensuratezza/non cancellazione disciplinare dall’ordine).

Sempre in quell’ottica di miglioramento della qualità dei servizi, si potrebbe anche potenziare le possibili sinergie interprofessionali, giacché le STP possono essere costituite (ex art. 10, co. 8, L. 183/2011)  anche in forma multidisciplinare, ossia costituite per l’esercizio di più attività professionali simultaneamente (tranne quelle escluse espressamente dalla normativa istitutiva delle società professionali, come per i notai). Ciò vale anche per le società forensi, che dal 2017 possono anche assumere la forma di STP multidisciplinari, poiché lo specifico divieto  previsto dall’art. 5 legge 247/2012 deve considerarsi abrogato dal nuovo art. 4bis della legge professionale forense (come confermano le SS.UU. nella suddetta sent. n. 19282/2018). Ciò potrebbe riportare nuova ninfa allo strumento societario, nell’ottica di riorganizzazione del sistema delle professioni, fortemente in crisi negli ultimi anni.