argomento: Agevolazioni - Legislazione e prassi
La recente legge di Bilancio 2021 ha integrato la disciplina delle zone economiche speciali (ZES) prevedendo il dimezzamento delle imposte sui redditi. Le ZES assumono, ora, maggiore rilevanza fiscale rispetto al credito d’imposta per investimenti, già istituito, e offrono così l’occasione per elaborare alcune riflessioni in termini di compatibilità costituzionale ed europea.
PAROLE CHIAVE: zone economiche speciali - Zone franche - agevolazioni
di Paolo Barabino
La novità assume una particolare rilevanza in considerazione dell’integrazione della disciplina preesistente, la quale si contraddistingueva per un aiuto all’investimento, in ragione del credito d’imposta previsto sin dalla legge istitutiva originaria, per annunciare, ora, anche un aiuto al funzionamento.
Alcune osservazioni sui “presupposti” della disposizione in oggetto consentiranno di formulare degli spunti di riflessione per affinare la sistematicità e la compatibilità costituzionale ed europea della disciplina delle ZES.
Si osserva, dunque, una maggiore caratterizzazione fiscale della disciplina delle ZES nella quale, inizialmente, la rilevanza fiscale si manifestava per via indiretta secondo la disposizione sottrattiva attuata esclusivamente in fase di versamento attraverso la compensazione tra il debito d’imposta, ordinariamente autoliquidata, e il credito d’imposta ZES (cfr. Provvedimento del 9 agosto 2019, Agenzia delle Entrate).
Tuttavia, il presupposto soggettivo della nuova norma interviene esclusivamente a favore delle “nuove iniziative economiche” intraprese all’interno delle ZES (comma 173, art. 1, Legge di Bilancio 2021), escludendo, in attesa di chiarimenti, le attività già svolte da imprese preesistenti, mentre il credito d’imposta per gli investimenti già vigente era rivolto sia alle nuove che alle imprese già presenti su quel territorio (art. 5, comma 1, D.L. n. 91/2017, conv. L. n. 123/2017): un distinguo che rischia di creare una discriminazione in termini di eguaglianza fiscale (Principio elaborato dalla Corte Cost., sentt. n. 120/1972, n. 513/1990. Cfr., fra i tanti, G. Marongiu, Il principio di capacità contributiva nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Dir. prat. trib., n. 1/1985, p. 6 ss.) che mal si coniuga con il coerente coinvolgimento di tutti i soggetti imprenditori operativi in tale tipologia di zona franca.
La questione potrebbe essere risolta allargando l’ambito soggettivo della norma e comprendendovi anche le imprese pre-costituite alla istituzione della ZES.
Sul ruolo del credito d’imposta quale modalità per azionare la leva fiscale si nota una sorta di specularità tra la formazione “frazionata” della disciplina delle zone franche urbane (ZFU) e quella delle ZES: le prime, sono state inizialmente e formalmente qualificate alla stregua di una esenzione tributaria per poi addivenire alla concessione di un credito d’imposta da utilizzare in compensazione, mentre le seconde hanno seguito un iter “inverso” ovvero dal credito d’imposta alla riduzione del tributo. Detto diversamente, si è verificata un’alternanza tra aiuto all’investimento e al funzionamento che ha assunto le forme, rispettivamente, di credito d’imposta e di modifica della struttura del tributo sia nelle ZFU che nelle ZES: mentre in quelle urbane la soluzione prospettata è stata perseguita per esigenze di semplificazione nell’attuazione della misura agevolativa, in quelle economiche sembra di scorgere una coerenza con la funzione di sviluppo del territorio bisognoso, dapprima, di una rete di investimenti (da sostenere mediante il credito d’imposta) e successivamente di un aiuto al funzionamento (dimezzamento delle imposte sul reddito).
La nuova norma amplia, limitatamente al proprio ambito (ovvero al fine della riduzione delle imposte sul reddito), la condizione temporale per poter mantenere i benefici in oggetto: le imprese interessate devono svolgere la loro attività nella ZES per almeno dieci anni (lett. a), comma 174, art. 1, Legge di Bilancio 2021) mentre lo specifico credito d’imposta prevede che l’attività debba protrarsi per almeno sette anni dopo il completamento dell’investimento (lett. a), comma 3, art. 5 del D.L. n. 91/2017, conv. L. n. 123/2017).
Pertanto, si apprezza un rafforzamento della condizione di permanenza (che prolunga tale obbligo per un triennio successivo al periodo nel quale avviene la riduzione del tributo) e di effettivo svolgimento dell’attività d’impresa all’interno della ZES a tutto vantaggio della efficienza dello leva fiscale, finalizzata alla crescita economica del territorio. Effettività desumibile in ragione della condizione di “normalità” fissata dal legislatore, ovverosia uno status che escluda la liquidazione o lo scioglimento, per usufruire sia del dimezzamento delle imposte sui redditi (lett. b) , comma 174, art. 1, Legge di Bilancio 2021) che del credito d’imposta sugli investimenti (lett. b), comma 3, art. 5, del D.L. n. 91/2017, conv. L. n. 123/2017).
Ulteriore vincolo da rispettare per usufruire del dimezzamento delle imposte sui redditi, riconducibile alla valorizzazione della componente soggettiva del regime fiscale, è costituita da un “blocco dei licenziamenti”, ovverosia dalla conservazione dei posti di lavoro creati nell’ambito dell’attività avviata nella ZES, per un periodo pari ad almeno 10 anni (lett. b), comma 174, art. 1, Legge di Bilancio 2021). Una peculiarità che, se da un lato limita la discrezionalità dell’imprenditore nell’esercitare le proprie scelte (per di più su una componente del bilancio particolarmente gravosa come quella del costo del personale), dall’altro risulta coerente con la funzione economica e sociale delle ZES. Detto diversamente, l’attuazione del programma imprenditoriale (nella sua dimensione temporale, cfr. V. Ficari, Reddito di impresa e programma imprenditoriale, Padova, 2004, p. 10 e ss.) è necessariamente condizionata dall’esercizio dell’opzione (facoltà) per il regime fiscale in oggetto secondo un bilanciamento che vede l’intervento dello Stato sulle scelte imprenditoriali condizionate positivamente e “compensate” dal risparmio lecito d’imposta (la riduzione del prelievo).
Infine, il presupposto territoriale non viene alterato e resta contraddistinto da zone geografiche delimitate, anche non adiacenti, ma che includano almeno un’area portuale: una condizione essenziale per la loro istituzione è l’esistenza di un nesso economico funzionale da esplicitare ed articolare in un piano strategico su base regionale (art. 4, comma 2, D.L. n. 91/2017, conv. in L. n. 123/2017).
La disciplina delle ZES nel suo complesso risulta costituzionalmente legittima in quanto riproduce un regime ordinario differenziato [su tale interpretazione del principio della capacità contributiva cfr. G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, 2008, p. 155. Come a voler richiamare il concetto della discriminazione qualitativa dei redditi: questione evidenziata da A. Giovannini, Equità impositiva e progressività, in Dir. prat. trib., n. 5/2015, p. 10675 ss., il quale, ricordando che la distinzione ha antiche origini (gli averi dell’art. 25 St. Albertino), porta quale esempio di equità orizzontale i diversi trattamenti tra redditi d’impresa normale e quelli d’impresa cooperativa. Sulla differenziazione qualitativa dell’imposta vedasi, diffusamente, L. Antonini, Dovere tributario, interesse fiscale e diritti costituzionali, Milano, 1996; P. Boria, L’interesse fiscale, Torino, 2002; A. Fedele, La funzione fiscale e la capacità contributiva, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di L. Perrone, C. Berliri, Napoli, 2006; F. Moschetti, Il principio di capacità contributiva, espressione di un sistema di valori che informa il rapporto tra singolo e comunità, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di L. Perrone, C. Berliri, Napoli, 2006; G. Falsitta, Giustizia tributaria e tirannia fiscale, Milano, 2008; F. Gallo, Le ragioni del Fisco, Bologna, 2007] modulato su differenti manifestazioni di capacità contributiva riconducibili allo svolgimento dell’attività d’impresa in un determinato e limitato territorio “sottosviluppato”.
In tal senso avviene, dunque, un richiamo al principio di territorialità del tributo interpretato quale collegamento tra il presupposto e il territorio che deve mostrarsi in un’ottica di ragionevolezza e congruità territoriale (Cfr. R. Baggio, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Milano, 2009, p. 41 ss.; G. Fransoni, La territorialità nel diritto tributario, Milano, 2004, p. 314 ss.): il collegamento tra presupposto e territorio assume i caratteri della ragionevolezza in virtù della differenziazione di quella parte del territorio oggettivamente arretrato (quali le regioni del sud dell’Obiettivo convergenza) rispetto alla media del territorio nazionale. Ed ecco che la durata limitata del regime fiscale (pari a 10 anni per il dimezzamento delle imposte sui redditi e a 7 anni per il credito d’imposta da investimento) assume i caratteri della ragionevolezza e della coerenza con i suddetti regimi fiscali differenziati, in quanto essi sono destinati a compensare uno svantaggio che viene meno una volta raggiunto, teoricamente, il livello medio di capacità economica della zona agevolata, nel rispetto dei principi di proporzionalità ed eguaglianza tributaria (similmente a quanto osservato con riferimento alle ZFU sulle condizioni di produttività nei territori colpiti da eventi calamitosi; sul punto cfr. F. Fichera, Calamità naturali, principi costituzionali e agevolazioni fiscali, in AA.VV., Interventi finanziari e tributari per le aree colpite da calamità tra norme interne e principi europei, a cura di M. Basilavecchia, L. Del Federico, A. Pace, C. Verrigni, Torino, 2016, p. 37 e ss.).
Difatti, la spiccata caratterizzazione territoriale delle ZES era stata tenuta in considerazione dal legislatore istitutivo delle ZES limitando la loro “nascita” esclusivamente in quelle Regioni meno sviluppate, cogliendo le opportunità elaborate dall’art. 107 TFUE sul sistema sovranazionale degli aiuti di Stato (al suo interno sono presenti degli aiuti di Stato leciti ed altri vietati; cfr. G. Fransoni, Profili fiscali della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, Pisa, 2007, p. 92 ss.), quali la Campania, la Puglia, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia, ammissibili alle deroghe previste dall'art. 107, par. 3, lett. a) TFUE e il Molise, la Sardegna e l’Abruzzo, in ragione delle deroghe previste dall’art. 107, par. 3, lett. c) FTUE, come individuate dalla Carta degli aiuti a finalità regionale 2014-2020.
In sostanza, mentre il credito d’imposta per gli investimenti effettuati nelle ZES per beni strumentali nuovi diviene immediatamente compatibile (alla luce del combinato disposto dai commi 2 e 4 dell’art. 5, del D.L. n. 91/2017, conv. L. n. 123/2017) in forza del “solco” tracciato dall’art. 14 sugli aiuti a finalità regionale agli investimenti del Regolamento generale di esenzione per categoria (RGEC, Reg. UE n. 651/2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 TFUE), la riduzione delle imposte sui redditi sfrutta la compatibilità tipica degli aiuti de minimis: sarebbe invece auspicabile elevare la “dignità” di tale aiuto al funzionamento al rango di una misura rilevante, anch’essa rispettosa dei principi sovranazionale in ragione di specifica autorizzazione della Commissione europea o, meglio, dell’attuazione delle opportunità offerte dal RGEC.
La disciplina delle ZES si espone, però, ad una frammentazione che meriterebbe, invece, una riorganizzazione sistemica al fine di garantire certezza e immediatezza a tali norme fiscali.
Il “potenziamento” della natura fiscale delle ZES è presumibilmente rivolto a rendere maggiormente appetibile l’istituzione di simili tipologie di zone franche, incrementando la capacità attrattiva di imprese nel territorio individuato.
Parrebbe, invece, irrisolta la problematica che vede rallentare l’effettiva istituzione e attuazione delle ZES in alcune Regioni del Sud Italia, legata alla complessità e alla burocrazia delle suddette fasi, sicuramente bisognose di ulteriori norme di semplificazione.
D’altronde, tale necessità è imprescindibile per logicità con il percorso europeo raffigurato dal RGEC, finalizzato a ridurre i tempi di istituzione delle ZES, in ragione della automatica compatibilità sovranazionale, dando vita a forme lecite di concorrenza leale a disposizione degli Stati membri, limitando quanto più possibile la discrepanza tra le stringenti esigenze economiche-sociali del territorio e i lunghi tempi dell’attività legislativa e amministrativa.