argomento: IRAP e tributi locali - Giurisprudenza
La Corte di Cassazione ammette la cumulabilità delle agevolazioni fiscali IMU previste per i fabbricati di interesse storico o artistico con quelle relative agli immobili dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 8 luglio 2020, n. 14279)PAROLE CHIAVE: tributi locali - agevolazioni - immobili
di Lucrezia Valentina Caramia
In entrambi i gradi di giudizio i giudici hanno ritenuto le agevolazioni in contestazione non cumulabili, sul presupposto delle finalità analoghe asseritamente perseguite da entrambe le norme e della loro natura eccezionale. Di converso, la Corte, con la pronuncia in epigrafe, ha accolto la censura del ricorrente riconoscendo la cumulabilità delle agevolazioni de quibus sulla scorta di una “differente finalità perseguita”.
Secondo la concezione tradizionale, infatti, il carattere qualificante l’agevolazione fiscale si rinviene nella deroga ai principi di generalità e di progressività dell’imposizione, ossia, al principio di capacità contributiva (F. Batistoni Ferrara, Agevolazioni ed esenzioni fiscali, in Diz. Dir. Pub., I, 2006, p. 177), disciplinando in maniera diversa situazioni analoghe sotto il profilo del concorso alle spese pubbliche (Corte Cost., 159/1985, 120/2020; A. Fantozzi, Diritto tributario, Torino, 1991, p. 136; come è noto, lo studio classico del fenomeno agevolativo coincide essenzialmente con la qualificazione e la definizione della figura delle esenzioni, che costituisce una sola delle sue possibili manifestazioni, e tradizionalmente definite come eccezioni rispetto alla regola “e più precisamente come deroghe per eccezione rispetto alla disciplina normale del tributo”. ((F. Fichera, Le agevolazioni fiscali, Padova, 1992, p. 2.)) Le esenzioni vengono anzitutto distinte dalle esclusioni, con le quali condividono il carattere della “non tassazione”, ossia dell’insussistenza dell’an debeatur. La categoria generale delle agevolazioni comprenderebbe, tuttavia, ogni forma di attenuazione della tassazione “che conduce o ad una diminuzione sostanziale dell’entità del prelievo, o quanto meno all’applicazione di modalità e schemi semplificati di attuazione del tributo”. Cfr. M. Basilavecchia, Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni (diritto tributario), in Rass. Trib., 2, 2002, p. 241; E. De Mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2002, p. 20; P. Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 1994, p. 120; N. D’amati, Fondamento giuridico delle agevolazioni tributarie per l’industrializzazione del Mezzogiorno, in Dir. Prat. Trib., I, 1968, p. 465).
Del resto, per giungere ad una definizione giuridico-sistematica di agevolazione la dottrina è solita riferirsi a comuni caratteristiche, quali il ricorso al concetto di fattispecie ‘derogatorie’ e, in quanto tali, dettate da esigenze e finalità - solitamente extrafiscali - estranee alla struttura dei prelievi, e la giustificazione costituzionale rinvenibile nel principio di capacità contributiva quale espressione del principio di uguaglianza sostanziale in materia tributaria ex art. 3, c. 2, Cost (Cfr. S. La Rosa, Esenzioni e agevolazioni tributarie, in Enc. Giur. Trec., XIV, 1989, p. 1). A ben vedere, dunque, quello di agevolazione tributaria è un concetto ‘relativo’: ciò che appare “deroga nella logica del singolo tributo, può costituire invece regime del tutto ordinario se riferito ad un complesso più vasto – al sistema tributario o all’intero ordinamento giuridico – o, addirittura, ai principi costituzionali” (R. Zennaro, Agevolazioni fiscali. I. Tipi agevolativi e problemi procedurali, in Dig. Disc. Priv. (sez. comm.), I, 1987, p. 64).
Il sistema delle agevolazioni tributarie appare dunque caratterizzato dalla compresenza di una pluralità di valori costituzionalmente riconosciuti che possiamo definire principi promozionali involgenti un perpetuo bilanciamento con i principi propri del sistema impositivo ordinario e con gli interessi e le aspettative ad essi sottesi (P. Boria, Principi e valori del sistema delle agevolazioni tributarie, in AA.VV, Studi in onore di Enrico De Mita, I, Napoli, 2012, p. 96, il quale, del resto, specifica che i principi promozionali “si pongono evidentemente a fondamento della misura di vantaggio fiscale e della capacità contributiva, ordinariamente coinvolti nelle norme tributarie”).
Pertanto, l’analisi si sposta sul versante dei fini e della ratio promozionale delle agevolazioni: come condiviso da autorevole dottrina l’interesse da esse tutelato “viene assunto a valore meritevole di autonoma tutela, come conseguenza dell’incidenza di interessi estranei a quelli sui quali operano le norme impositive ed ai quali l’ordinamento accorda una protezione positiva, anche se indiretta” (S. La rosa, Eguaglianza tributaria ed esenzioni fiscali, Milano, 1968, p. 159; F. Fichera, Le agevolazioni fiscali, Padova, 1992, p. 21).
La prospettiva privilegiata dalla Corte involge, dunque, la teoria della finanza funzionale che attribuisce alle agevolazioni fiscali la qualifica di tax expenditures, ovverosia di spese del tutto assimilabili alle sovvenzioni che lo Stato concede per il perseguimento di importanti “interessi economici e sociali di rilievo costituzionale, i quali, però, se realizzano la ragionevole discriminazione dei contribuenti, che sta alla base della capacità contributiva individuale (…) attengono pur sempre al riparto delle spese pubbliche, ossia alla sfera delle entrate pubbliche, e quindi non danno vita ad agevolazioni fiscali, le quali invece sono spese, più esattamente ‘spese fiscali’” (Sul tema, ex multis, N. Bobbio, Dalla struttura alla funzione, Milano, 1977; S. La rosa, Eguaglianza tributaria ed esenzioni fiscali, cit., p. 25; F. Fichera, Le agevolazioni fiscali, cit., p. 2; F. Fichera, Agevolazioni fiscali, bilancio delle tax expenditures e politica tributaria: il caso italiano, in Rass. Trib., 4, 2012; M. Aulenta, Tax expenditures nelle imposte erariali, in A. F. Uricchio – M. Aulenta – G. Selicato, a cura di, La dimensione promozionale del fisco, Bari, 2015, p. 33).
Tale modello risponde alle esigenze e ai valori ai quali si informa lo Stato sociale che inizia ad utilizzare, sul finire del XIX secolo, la leva tributaria quale strumento di politica economica e sociale (v. S. La Rosa, Eguaglianza tributaria ed esenzioni, cit., p 25; S. Donatelli, Dovere fiscale e tributi extrafiscali, in Rass. Trib., 2019, p. 312): il riferimento è ad un’ampia serie di istituti volti a ridurre o a posporre il prelievo per specifiche categorie di contribuenti o di attività economiche. La dottrina ha altresì specificato che la qualifica di ‘spesa fiscale’ è attribuibile esclusivamente a quel trattamento di favore che risulta essere derogatorio rispetto al trattamento ordinario, più favorevole rispetto alla norma derogata, ispirata a principi propri promozionali (Cfr. F. Fichera, Le agevolazioni fiscali, cit. p. 66).
Proprio su tali basi, condivisibilmente, la suprema Corte si sofferma sulle (differenti) finalità – extrafiscali - perseguite da ciascuna delle menzionate riduzioni fiscali.
In ordine all’agevolazione IMU sugli immobili di interesse storico o artistico, la Corte si rifà al consolidato orientamento secondo cui tale misura persegue l’obiettivo di apprezzare, sul versante dell’effettivo concorso alle spese pubbliche, le maggiori spese di manutenzione e conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili vincolati la cui tutela e valorizzazione converge su un interesse pubblico diffuso (Cass. 6636/2019, 4244/2016, 11794/2010). Pertanto, la ratio della agevolazione "va individuata in una esigenza di equità fiscale, derivante dalla considerazione della minore utilità economica che presentano i beni immobili di interesse storico o artistico in conseguenza del complesso di vincoli e limiti cui la loro proprietà è sottoposta" (Corte Cost., 345/2003).
Diversamente, con la previsione dell’agevolazione concernente i fabbricati inagibili o inabitabili si intende affievolire le conseguenze dell’applicazione di un tributo di carattere patrimoniale a fronte di immobili che risultano oggettivamente non utilizzabili e per il solo periodo di tempo in cui tale preclusione sussiste. Sull’argomento i giudici di legittimità hanno avuto ripetute occasioni di soffermarsi, anzitutto, sull’irrilevanza ai fini impositivi dell’idoneità dell’immobile a produrre reddito; infatti, in materia di ICI, la sua iscrizione nel catasto edilizio costituisce presupposto sufficiente affinché l'unità immobiliare sia soggetta a prelievo (Cass. 17773/2019; 3436/2019). D’altra parte, ove l’immobile sia dichiarato inagibile, l’agevolazione deve essere riconosciuta anche in assenza di espressa richiesta del contribuente poiché il fatto impeditivo dell’utilizzo dell’immobile è già noto all’ente locale: l'inagibilità o l’inabitabilità dell’immobile, del resto, è accertata proprio dall'ufficio tecnico comunale, con perizia a carico del proprietario (Cass. 28921/2017; 12015/15).
La suprema Corte ha anche precisato che, nei casi in cui il legislatore ha inteso escludere la cumulabilità di benefici fiscali, lo ha sempre fatto espressamente. È del resto risalente la tesi avversa all’esistenza “di un principio generale nel senso della esclusione della cumulabilità di benefici fiscali analoghi fruiti in tempi diversi, e ciò in quanto le misure di agevolazione fiscale rispondono ad esigenze finanziarie contingenti, apprezzate di volta in volta dal legislatore in rapporto alle mutevoli esigenze”. Del resto, proprio nella successione nel tempo dei benefici fiscali relativi al medesimo tributo, il legislatore si rivela generalmente “attento a regolare la concorrenza delle diverse agevolazioni, pur diversamente – volta a volta – disciplinandola” (Cass., 4309/1999).
In questa prospettiva, l’art. 53 Cost. non viene considerato un valore da tutelare in via assoluta (F. Moschetti, Agevolazioni fiscali. Problemi di legittimità costituzionale e principi interpretativi, in Dig. Disc. Priv. (sez. comm.), I, Torino, 1987, p. 75) ma alla stregua di una norma che si inserisce in un organico “insieme di disposizioni che si integrano e si limitano vicendevolmente e che pongono a loro volta per il legislatore vincoli dotati di autonoma efficacia precettiva, ulteriori rispetto a quello sulla capacità contributiva” (G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Milano, 2017, p. 166).
Sulla scorta di tale ermeneutica, la corte di Cassazione stabilisce un principio di diritto particolarmente interessante, anche per l’originalità dello stesso: “in tema di determinazione dell’IMU, la base imponibile, costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’art. 5, commi 1, 3, 5 e 6, del d.lgs. n. 504/1992 e dell’art. 13, commi 4 e 5, del d.l. n. 201/2011, è ridotta del 50% per i fabbricati di interesse storico o artistico e di un ulteriore 50% (con conseguente riduzione dell’aliquota al 25%) per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, essendo le due agevolazioni fiscali cumulabili, data la differente finalità che perseguono.”
Così facendo, si accede ad un’inedita valorizzazione, nella disciplina dell’IMU, del principio di capacità contributiva in senso ‘sostanziale’, con un approccio riverente al dato legislativo che non esclude affatto il cumulo di agevolazioni riferite a distinti presupposti. Ciò appare in linea con l’impostazione teorica più risalente della capacità contributiva che non può essere considerata qualità obiettiva e immutabile, costituendo il risultato di una valutazione intorno alla posizione del soggetto e alla sua idoneità a concorrere ai carichi pubblici (F. Batistoni Ferrara, Capacità contributiva, Enc. Dir., Agg. III, Varese, 1999, p. 345). Nel caso di specie, le agevolazioni raffrontate rispondono a differenti finalità equamente rilevanti nella distribuzione del carico fiscale e che l’interprete non può ignorare: l’accertamento della minore capacità contributiva in capo ai proprietari di immobili di interesse storico ed anche inagibili è stato già effettuato dal legislatore, al precipuo scopo di correggere lo squilibrio economico derivante dalla sperequata posizione in cui si trovano. Difatti, se è vero che la misura del prelievo costituisce il frutto di una valutazione discrezionale del legislatore, censurabile solo per palese arbitrarietà o irrazionalità, è altrettanto vero che la capacità contributiva debba essere obiettiva e legata alla struttura dell’imposta, “nel senso che la base imponibile deve essere incorporata nella fattispecie legale come valutazione dell’elemento di ricchezza” (E. De Mita, Principi di diritto tributario, op. cit., p. 81).