argomento: Attuazione del tributo - Legislazione e prassi
Con la bozza di circolare pubblicata l’11 agosto 2021, l’Agenzia delle Entrate tenta di raccogliere a sistema le soluzioni interpretative degli ultimi anni per quanto attiene la riferibilità degli obblighi di monitoraggio fiscale ai diversi soggetti del trust (disponente, trustee, beneficiario, guardiano), adeguandole al mutato quadro normativo. Al tempo stesso, l’Agenzia introduce una inedita estensione soggettiva del concetto di titolare effettivo con riferimento ai beneficiari di trust opachi non residenti. Tale soluzione interpretativa appare fortemente criticabile e si auspica una modifica sul punto nel senso di riconoscere la posizione di titolare effettivo al solo beneficiario vested, nei trust residenti e non.
PAROLE CHIAVE: trust - monitoraggio fiscale - beneficiario effettivo
di Thomas Tassani
1. La recente pubblicazione (11.08.2021) in modalità di consultazione pubblica, della bozza di circolare dell’Agenzia delle Entrate in materia di “disciplina fiscale dei trust ai fini dell’imposizione diretta e indiretta”, offre l’occasione per riflettere in merito alla riferibilità degli obblighi di monitoraggio fiscale ai diversi soggetti della fattispecie negoziale trust (disponente, trustee, beneficiario, guardiano).
L’Agenzia delle Entrate, nel documento testé pubblicato, per un verso conferma e tenta adeguare ad un quadro normativo mutato nel tempo le pregresse impostazioni interpretative, per altro verso ipotizza una soluzione del tutto innovativa e per nulla condivisibile per quanto attiene l’identificazione del titolare effettivo nelle ipotesi di trust discrezionali esteri.
La bozza di circolare contiene ulteriori indicazioni interpretative di estremo interesse, che in questa sede non saranno esaminate, sui temi della tassazione diretta e nelle imposte sui trasferimenti (per quest’ultimo aspetto sia consentito rinviare a TASSANI, La (bozza di) circolare sulla tassazione dei trust: prime osservazioni, in www.fiscalitapatrimoniale.info, 11.08.21).
2. Il “monitoraggio fiscale” si sostanzia, come noto, nell’obbligo, posto in capo a determinati soggetti, di indicare nella propria dichiarazione dei redditi (in particolare, nel “quadro RW”) gli “investimenti all’estero” ovvero le “attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia” (art. 4, D.L. n. 167 del 28/6/1990).
In termini soggettivi, l’obbligo di monitoraggio è sicuramente riferibile al trust quale soggetto passivo d’imposta, ex art. 4, comma 1, D.L. n. 167/1990, in quanto ente non commerciale residente in Italia, con riferimento alle attività estere allo stesso intestate.
Si deve altresì considerare che, ai fini di tale obbligo, appare rilevante una relazione giuridica, tra il soggetto e l’attività estera, in termini di “detenzione”.
La “detenzione” è senz’altro integrata dalla titolarità diretta e formale del bene o dell’investimento estero “a titolo di proprietà o altro diritto reale” (Circ. Agenzia Entrate n. 38/E/2013), ma anche qualora vi siano soggetti che, pur non essendo titolari delle attività, ne abbiano “la disponibilità o la possibilità di movimentazione” (Corte Cass., n. 9320 del 11/6/2003; Corte Cass., nn. 17051-2 del 21/7/2010; Corte Cass., n. 10332 del 7/5/2007). Inoltre, si ha detenzione quando le attività sono possedute per il tramite di interposta persona, come in caso di entità giuridiche che siano semplici schermi formali.
La bozza di circolare richiama questo aspetto affermando, come già fatto in passato, che “ogni qualvolta il trust sia un semplice schermo formale e la disponibilità dei beni che ne costituiscono il patrimonio sia da attribuire ad altri soggetti, disponenti o beneficiari del trust, lo stesso deve essere considerato come un soggetto meramente interposto”.
In tale ipotesi è dunque la stessa persona fisica (disponente o beneficiario di un trust in realtà fittizio) a doversi considerare detentore delle attività estere (e dei redditi prodotti), avendone la disponibilità per fini propri.
3. L’art. 4, D.L. n. 167/1990 è stato più volte modificato, negli ultimi anni, per meglio adeguare la disciplina del monitoraggio fiscale alle nuove esigenze di contrasto ai fenomeni di elusione o evasione.
Con la legge 6 agosto 2013 è stato previsto l’obbligo di compilazione del quadro RW per il “titolare effettivo” dell’attività estera, in origine definito attraverso un rinvio all’art. 1, comma 2, lett. u) ed all’allegato tecnico del D.lgs. n. 231 del 21/11/2007. Con riferimento alle entità giuridiche diverse dalle società (quali fondazioni, trust ed altri istituti giuridici che amministrano e distribuiscono fondi) il titolare effettivo era individuato sulla base di taluni criteri: a) la condizione di beneficiario individuato, del 25% o più del patrimonio dell’entità giuridica; b) la categoria di persone nel cui interesse principale è istituita o agisce l’entità giuridica, in assenza di beneficiari determinati; c) il controllo sul 25% o più del patrimonio dell’entità giuridica.
In tale contesto normativo, l’Agenzia ebbe modo di circoscrivere in via interpretativa la titolarità effettiva del beneficiario sostanzialmente alle ipotesi di trust trasparenti, “quando cioè il reddito o il patrimonio sono direttamente riferibili a beneficiari individuati ossia a soggetti titolari del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione degli stessi” (Circ. Agenzia Entrate n. 38/E/2013).
Solo il beneficiario, residente in Italia, di un trust fiscalmente trasparente, sussistendo le ulteriori condizioni legislativamente previste (in particolare, il superamento della soglia del 25%), poteva quindi considerarsi obbligato al monitoraggio fiscale per le attività estere del trust.
Con il D.lgs. n. 90 del 25/5/2017 (e l’ulteriore modifica recata dal D.lgs. n. 125 del 4/10/2019) è stata ridefinita la nozione di titolare effettivo tramite un rinvio (compiuto dall’art. 4, d.l. 167/1990) agli artt. 1, comma 2, lett. pp) e 20, comma 1, D.lgs. n. 231/2007. L’art. 1, comma 2, lett. pp) individua il titolare effettivo nella “la persona fisica o le persone fisiche nell’interesse della quale o delle quali, in ultima istanza, il rapporto continuativo è instaurato, la prestazione professionale è resa o l’operazione è eseguita”. Secondo quanto disposto dall’art. 20, comma 1, D.lgs. n. 231/2007, “il titolare effettivo di clienti diversi dalle persone fisiche coincide con la persona fisica o le persone fisiche cui, in ultima istanza, è attribuibile la proprietà diretta o indiretta dell’ente ovvero il relativo controllo”. Infine, il comma 5 dell’art. 20 D.lgs. n. 231/2007 fissa criteri residuali in base ai quali, se non altrimenti individuato, “il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le persone fisiche titolari, conformemente ai rispettivi assetti organizzativi o statutari, di poteri di rappresentanza legale, amministrazione o direzione della società o del cliente comunque diverso dalla persona fisica”.
4. L’Agenzia, nella bozza di circolare, nota preliminarmente come la disciplina vigente in materia di monitoraggio fiscale faccia rinvio a disposizioni che “non si riferiscono esplicitamente ai trust, a differenza di quanto previsto prima della riforma del 2017”, ritenendo però che le stesse siano comunque “riferibili anche ai trust ed istituti aventi analogo contenuto”.
Tale considerazione generale risulta senza dubbio condivisibile, come lo è quella secondo cui, a seguito delle modifiche del 2017, sono “venuti meno i previgenti riferimenti alle percentuali di attribuzione del patrimonio o del controllo pari o superiore al 25 per cento dell’attività”.
Non appare invece corretto, a nostro avviso, il percorso ermeneutico dell’Agenzia nel momento in cui tenta di affermare un’ulteriore estensione soggettiva del concetto di titolare effettivo in relazione ai trust esteri.
Si legge nella bozza di circolare che qualora il trust non sia residente in Italia e non vi siano beneficiari di reddito individuati ai sensi del Tuir (e quindi si versi in una ipotesi di trust opaco), i beneficiari debbano essere comunque considerati quali titolari effettivi laddove “individuati o facilmente individuabili”.
Indipendentemente dalla struttura del trust, e dalla specifica configurazione delle posizioni giuridiche dei beneficiari, la mera possibilità di identificare (nell’atto di trust o in altra documentazione) le persone fisiche beneficiarie (anche in via potenziale e anche quando variabili) farebbe sorgere in capo a queste l’obbligo di compilazione del quadro RW.
La “perfetta” o “facile” individuazione di tali soggetti può riguardare anche una categoria di soggetti (la circolare fa l’esempio dei “discendenti in linea retta del disponente”), mentre non potrebbe riguardare i “titolari di interessi successivi”, ossia coloro che potrebbero subentrare ai primi beneficiari (“sempreché non sussistano clausole statutarie o altri atti del trust tali per cui essi possano essere anche solo potenzialmente destinatari di reddito o attribuzioni patrimoniali”).
Sono diversi i motivi che inducono a non poter accettare una simile soluzione interpretativa.
In primo luogo, perché l’Agenzia introduce una distinzione tra trust residenti e trust non residenti che non trova riscontro sul piano normativo. Per i primi, il titolare effettivo sarebbe solo il beneficiario vested di un trust trasparente, mentre per i secondi, il titolare effettivo sarebbe anche il beneficiario non vested di un trust opaco.
La motivazione che ha spinto l’Agenzia ad estendere la nozione di titolare effettivo anche oltre l’ambito dei beneficiari di trust fiscalmente trasparenti, con riferimento ai soli trust (opachi) esteri è facilmente intelliggibile: mentre nel caso di trust opaco residente è lo stesso trust ad essere obbligato alla compilazione del quadro RW, in ipotesi di trust opaco non residente il solo modo per acquisire, tramite monitoraggio fiscale, i dati delle attività estere risulta essere quello di obbligare alla compilazione i beneficiari residenti, ancorché non titolari di situazioni giuridiche vested.
È bene rilevare, però, che si tratta di una valutazione che solo potrebbe, eventualmente, condurre il legislatore, non già l’interprete, a distinguere gli obblighi di monitoraggio nelle due fattispecie. Dato il quadro normativo vigente, ipotizzare una diversa estensione del concetto di titolare effettivo in funzione della residenza, italiana o non, del trust, significa forzare oltre l’ambito del consentito la lettera (e la ratio) delle disposizioni legislative.
A tutto ciò si aggiunga che una simile distinzione finirebbe per penalizzare taluni soggetti giuridici in funzione della residenza non italiana, in modo allora non compatibile con i principi europei.
Rilevanti dubbi si pongono poi dal punto di vista della proporzionalità di siffatta misura, visto che l’ordinamento, nazionale ed internazionale, già prevede specifici strumenti per monitorare anche le attività estere di trust esteri con beneficiari residenti (in primis il Common Reporting Standard).
In secondo luogo, la scelta interpretativa dell’Agenzia risulta non coerente con la natura formale e strumentale dell’obbligo di monitoraggio fiscale, cui sono ricollegate sanzioni amministrative particolarmente gravose (art. 5, d.l. n. 167/1990).
Il beneficiario di un trust discrezionale – e quindi fiscalmente opaco - sia esso residente o non residente, non è per definizione titolare di situazioni di diritto soggettivo nei confronti del trustee e del trust fund. Se questo è vero, significa anche che tale soggetto neppure ha (almeno nella normalità dei casi) il diritto di pretendere che il trustee gli fornisca informazioni dettagliate e complete circa la composizione del trust fund. Ci si deve allora chiedere come sia possibile applicare una sanzione amministrativa (per mancata o incompleta compilazione del quadro RW) nei confronti di un soggetto (il beneficiario non vested) che non è nelle condizioni giuridiche di acquisire e conoscere quegli stessi dati ed informazioni che dovrebbero essere oggetto del monitoraggio.
Vi è una evidente contraddittorietà in un simile ragionamento, oltre ad una palese violazione dei principi di personalità e colpevolezza che reggono il sistema sanzionatorio tributario.
A poco vale l’osservazione, contenuta nella bozza di circolare, per cui il trustee sarebbe tenuto a comunicare ai titolari effettivi “i dati utili per la compilazione del quadro RW”.
Ancora una volta, dobbiamo sottolineare che l’Agenzia non può, in sede di circolare, farsi legislatore ed introdurre in via interpretativa un obbligo fiscale che l’ordinamento non prevede, oppure addirittura immaginare una nuova fattispecie sanzionatoria per il trustee.
5. La soluzione dell’Agenzia delle Entrate non può essere seguita, oltre che per i motivi poc’anzi evidenziati, anche e soprattutto perché l’attuale sistema normativo non consente in alcun modo una estensione della categoria dei titolari effettivi a tutti i beneficiari per il solo fatto di essere “individuati o facilmente individuabili” ed indipendentemente dalla loro specifica posizione giuridica nei confronti del trust fund,
Da un punto di vista della interpretazione letterale, si deve notare come l’unica disposizione (art. 22, comma 5, D.lgs. n. 231/2007) che, ai fini degli obblighi di antiriciclaggio, dispone un notevole ampliamento soggettivo per tutti i soggetti che intervengono, a vario titolo, nella vicenda trust (disponenti, trustee, guardiani, beneficiari e classe di beneficiari) non risulta rilevante ai fini del monitoraggio fiscale non essendo richiamata, né direttamente né indirettamente, dall’art. 4, D.L. n. 167/1990
Inoltre, il riferimento ai beneficiari “individuati o facilmente individuabili” è compiuto dall’art. 20, D.lgs. n. 231/2007 (norma invece richiamata dall’art. 4 citato) in relazione alle sole persone giuridiche (ed i trust hanno la soggettività ma non la personalità giuridica, come noto), peraltro cumulativamente con i fondatori ed i titolari di poteri di rappresentanza, direzione ed amministrazione.
In definitiva, l’unico principio rilevante per determinare la titolarità effettiva in ipotesi di trust, ai sensi della normativa vigente, è quello contenuto nel primo comma dell’art. 20 che fa riferimento alla persona fisica cui è attribuibile, in ultima istanza, “la proprietà diretta o indiretta dell’ente”.
La lettera della disposizione risulta, in questo senso, coerente con la ratio della disciplina del monitoraggio fiscale, che si conferma essere quella di individuare un collegamento di tipo sostanziale, inerente l’assolvimento degli obblighi impositivi, con il soggetto avente la sostanziale disponibilità del bene o dell’investimento.
La stessa bozza di circolare ricorda che la ratio del monitoraggio fiscale è quella di “garantire il corretto adempimento degli obblighi tributari in relazione ai redditi derivanti da investimenti all’estero e da attività estere di natura finanziaria da parte di taluni soggetti residenti” (sul tema, MESSINA, Il monitoraggio fiscale, in CORASANITI, Diritto delle attività finanziarie, Milano, 2012, p. 787 ss.; STEVANATO, L’efficacia dei controlli fiscali giustifica le restrizioni ai movimenti di capitali con paesi terzi, in Corr.trib., 2008, p. 556; TURRI, Quadro RW: la disciplina del monitoraggio fiscale, in Dir.prat.trib., 2017, p. 1991 ss.).
A parte l’eliminazione delle soglie partecipative, le modifiche del 2017 non hanno dunque portato ad una diversa definizione del titolare effettivo che può essere riconosciuto esclusivamente nel beneficiario che vanta posizione giuridiche vested, ossia, per dirla con la stessa Agenzia, in colui che ha il ”diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione” del reddito o del patrimonio.
Secondo il diritto dei trust (Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, Padova, 2020, p. 138-9), le posizioni beneficiarie quesite (vested interest), in forza delle quali il soggetto è titolare di diritti soggettivi verso il trustee, aventi ad oggetto il reddito o il patrimonio, si distinguono a seconda che siano esercitabili immediatamente (interest in possession) oppure solo in conseguenza di un evento futuro (vested in interest).
Peraltro, la soluzione cui giunge la prevalente dottrina, nel mutato quadro normativo, è quella di considerare quale titolare effettivo solo il beneficiario che possa pretendere dal trustee l’assegnazione del reddito prodotto dal trust o vantare un diritto di credito certo ed attuale sul trust fund. Viceversa, continuerebbero ad essere esclusi dagli obblighi di monitoraggio fiscale i beneficiari di trust discrezionali, titolari di mere aspettative giuridiche, in quanto privi del diritto attuale all’assegnazione del reddito e/o del patrimonio in trust (MARVULLI, Il titolare effettivo: dalla procedura KYC/AML al monitoraggio fiscale, in Gest.str.impr., 4/2020; VIAL, La compilazione del quadro RW in ipotesi di trust, in Gest.str.impr., 2/2020; MISTRETTA, Trust e titolare effettivo ai fini del monitoraggio fiscale, dopo la riforma di cui al D.lgs. n. 90/2017, in Riv.dir.trib.online, 24/5/2019; MONTANARI, Il nuovo titolare effettivo, in Trusts, 2017, 614 ss.).
6. L’interpretazione contenuta nella bozza di circolare, rispetto al monitoraggio fiscale dei trust esteri, non risulta neppure in linea con i precedenti della stessa Amministrazione finanziaria.
Esaminando il caso del presidente e del direttore generale di un ente non commerciale, nella Ris. n. 53/E/2019, l’Agenzia ha escluso la titolarità effettiva, affermando che questa deve circoscritta a coloro che hanno “la disponibilità o la possibilità di movimentazione” delle attività detenute all’estero.
Medesima soluzione è stata adottata, in relazione al guardiano del trust, dalla Ris. n. 506 del 30/10/2020, che ha ribadito la necessità di ravvisare “una relazione giuridica (intestazione) o di fatto (possesso o detenzione) tra il soggetto e le attività estere oggetto di dichiarazione” (TASSANI, Monitoraggio fiscale per trustee, guardiani e soggetti con poteri amministrativi e di rappresentanza, in Corr.trib., 3, 2020, 268 ss.; PASSAGNOLI, Nessun obbligo di monitoraggio fiscale per il guardiano del trust, in questa Rivista, 29.07.21).
Anche la bozza di circolare conferma l’esclusione dall’obbligo di monitoraggio per il trustee, per il guardiano e per il disponente, salvo le ipotesi patologiche.
Si evidenzia, quindi, una grave distonia interpretativa nel momento in cui il concetto di titolare effettivo è circoscritto, per taluni soggetti, avendo riguardo alla specifica relazione giuridica con il trust fund (disponente, guardiano e trustee), mentre per altri (beneficiari dei soli trust esteri) si prescinde totalmente da questo aspetto, introducendo una sorta di presunzione assoluta di titolarità effettiva.
7. In termini conclusivi, è quindi possibile rilevare come, sul tema del monitoraggio fiscale, la bozza di circolare contenga diversi passaggi assolutamente apprezzabili, che hanno il merito di sistematizzare le soluzioni interpretative in questi anni adottate nelle fattispecie di trust.
Importante la conferma, da parte dell’Agenzia, dell’approccio teorico secondo cui la nozione di titolare effettivo, nonostante i rinvii normativi, non può essere direttamente desunta dalla disciplina dell’antiriciclaggio, dovendo invece essere interpretata ed adattata alla luce delle specifiche finalità fiscali.
In modo coerente con le prevalenti soluzioni dottrinali e con i propri precedenti, nella bozza di circolare si esclude l’obbligo di monitoraggio per trustee, guardiani e disponenti, in ragione dell’assenza di ogni relazione di titolarità, detenzione o possesso. Così come si afferma la necessità di superare il velo della legittimazione e titolarità formale nelle ipotesi di trust fittizi o interposti.
Sullo specifico punto dell’identificazione del titolare effettivo con il beneficiario “facilmente individuabile” di trust estero, la soluzione proposta dall’Agenzia non è, invece, in alcun modo condivisibile.
Su questo aspetto, auspichiamo dunque una revisione della soluzione ipotizzata, nel senso di uniformare il trattamento tra trust residenti e trust non residenti, riconoscendo la condizione di titolare effettivo al beneficiario che abbia il diritto di pretendere dal trustee l’attribuzione del patrimonio o del reddito.
Solo la configurazione di una posizione giuridica di questo tipo può, infatti, consentire di attribuire agli stessi “la proprietà diretta o indiretta dell’ente” secondo l’attuale definizione dell’art. 20, comma 1, D.lgs. n. 231/2007.