Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

03/12/2018 - Intervento adesivo dipendente: la corte di cassazione ci ripensa

argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza

la sezione tributaria della Corte di Cassazione ritorna sui suoi passi ed esclude l’ammissibilità dell’intervento adesivo dipendente e, più in generale, della partecipazione al processo di soggetti che non siano parti del rapporto tributario.

PAROLE CHIAVE: processo - intervento adesivo - diritto di difesa - litisconsorzio - rapporto tributario


di Brunella Bellč

 Con l’ordinanza n. 30371, in data 23 novembre 2018, la Corte di Cassazione, riscopre il proprio passato orientamento (da lei stessa, rievocato) volto ad escludere l’ammissibilità nel giudizio tributario dell’intervento adesivo dipendente e, più in generale, della partecipazione al processo di soggetti che non siano parti del rapporto tributario, ritenendo, di fatto, tale possibilità preclusa dalla formulazione dell’art. 14,D.Lgs.n. 546/1992.

Afferma, infatti, la Suprema Corte, che anche l’intervento in giudizio dei soggetti che sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario ai sensi dell’art. 14, comma 3, deve essere inteso come riferito ai soli litisconsorti necessari e, dunque, ai soli debitori in solido dell’unico rapporto tributario, sottintendendo, quindi, che, in mancanza di altre previsioni, nessun’altra forma di intervento possa essere ammessa nel nostro processo.

 

  1. La pronuncia, peraltro non particolarmente motivata, si pone in aperto contrasto con precedenti decisioni con le quali gli stessi Ermellini, al contrario, avevano ammesso l’intervento adesivo dipendente di soggetti titolari di situazioni soggettive connesse o dipendenti da quella dedotta in giudizio, affermando, per esempio, che “è compatibile con la struttura impugnatoria del processo tributario l'intervento adesivo dipendente del soggetto potenzialmente inciso dal tributo perché destinatario di rivalsa e quindi titolare dell'interesse ad impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi le conseguenze dannose derivanti dagli effetti riflessi o indiretti del giudicato” (Cass., sent. 19 aprile 2013, n. 9567); ovvero «in ipotesi di lite sul rimborso Iva richiesto dal cedente all'Amministrazione finanziaria, poiché il cessionario è titolare di un interesse giuridicamente rilevante e qualificato, determinato dalla necessità di impedire il verificarsi di conseguenze dannose derivanti dal giudicato» (Cass., sent. 27 gennaio 2014, n. 1577).

 

  1. Il “ripensamento” della Corte a mio parere non può essere condiviso e deve essere salutato come una discutibile regressione verso un orientamento assolutamente minoritario, ritenuto, oramai superato anche dalla migliore dottrina (cfr. per tutti Tesauro, Manuale del processo tributario, IV ed., Torino, 2017, p. 51 ss.).

È del tutto evidente, infatti, come con quest’ultima ordinanza la giurisprudenza di legittimità torni a sposare un’interpretazione meramente letterale dell’art. 14, dimenticando l’evoluzione della giurisprudenza in materia ed in spregio ad una lettura costituzionalmente orientata della disposizione in esame. Lettura che, diversamente da quanto affermato dai supremi giudici, non solo consente, ma addirittura a mio parere, impone, che possa intevenire in giudizio anche chi, pur non essendo parte del rapporto, può trarre vantaggio dalla vittoria di una delle parti in causa.

 

  1. Com’è noto, legittimato ad intervenire adesivamente è colui che ha interesse (purché non di mero fatto) a sostenere le ragioni di una delle parti in quanto il contenuto di un suo diritto soggettivo o la sua esistenza (o concreta attuazione, in virtù delle norme che lo disciplinano) è in tutto o in parte condizionata da un altro rapporto giuridico. Scopo di chi interviene è, dunque, sostenere le ragioni di una delle parti al fine di giovarsi della sentenza che sarà pronunciata tra le stesse; non solo in quanto titolare di una situazione soggettiva connessa o dipendente (Cass., sent. 12 gennaio 2012, n. 255, in Giur. it., 2012, 1931) ma anche in ragione della possibilità di essere inciso dagli effetti del rapporto principale come nel caso in esame.

Ora, se è vero che siffatta possibilità (resa in termini plastici nel codice di rito dall’art. 105, comma 2), come osserva incidentalmente la Corte, non trova riscontro nell’art. 14, comma 3, (che invece richiama espressamente coloro che sono destinatari dell’atto o parti del rapporto tributario controverso), non altrettanto può dirsi con riferimento al comma 6 della medesima disposizione, che, al contrario, sembra ammettere, ancorché in termini non espliciti, un for­ma di intervento certamente riconducibile nella sostanza alla fattispecie richiamata nella formulazione del secondo comma della previsione del codice di rito.

La norma, rievocando l’intervento di chi è ormai decaduto dal promuovere un’azione autonoma, sottintende evidentemente che l’interventore agisca, di fatto, per il conseguimento di una sentenza favorevole dei cui effetti si possa avvalere. Diversamente, non si potrebbe certamente comprendere a quali parti diverse da coloro che non possono più impugnare autonomamente l’atto il legislatore abbia inteso fare riferimento.

 

  1. Richiamato in questi termini anche dal decreto che disciplina il processo tributario l’interesse sotteso alla norma del codice di rito, non sembra dunque ragionevole avanzare (come, invece, prospetta la Corte), un’interpretazione inutilmente restrittiva, malamente ancorata al dato letterale ed in forza della quale si finirebbe per ammettere la possibilità di esperire l’intervento ad adiuvandumin ipotesi del tutto residuali, escludendo tutti i casi in cui non vi è “coincidenza” tra la situazione giuridica sostanziale difesa da una delle parti e quella riferibile al soggetto che interviene e, altresì, in tutti i casi in cui si riscontra pregiudizialità-dipendenza.

Così facendo, infatti, si finirebbe con l’impedire alle parti in causa di attivare la migliore difesa possibile dei propri interessi e ciò malgrado nessuna valida ragione processuale o sostanziale sembri potersi legittimamente opporre a questo obiettivo. Al contempo, ed irragionevolmente, si eleverebbe ad interesse giuridicamente tutelato, quello della controparte a che la difesa non possa essere svolta nel modo più efficace possibile anche in virtù degli argomenti opposti dall’interventore.. Del resto, la stessa Circolare Min. 98/1996 nel com­mentare il sesto comma dell’art. 14, richiama espressamente l’intervento adesivo dipendente come definito dalla elaborazione della dottrina processuale civile nell’accezione più ampia possibile.

Non resta, quindi, che augurarsi un revirement della Suprema Corte rispetto al principio affermato con quest’ultima ordinanza la quale, come ho detto, interrompe il lento ma costante processo di affermazione di valori che, negli anni, hanno consentito di vedere applicati anche nella nostra materia gli istituti tipici del giudizio con pluralità di parti intesi quale espressione dell’art. 24 della nostra Costituzione.