argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
L’esimente di cui all’art. 6, 3° comma, del d. lgs. n. 472 del 1997 impone, da un lato, un coordinamento razionale col principio generale di colpevolezza di cui all’art. 5, 1° comma, e, dall’altro lato, l’esclusiva violazione di obblighi non formali, consistenti nel mancato pagamento del tributo.
PAROLE CHIAVE: causa di non punibilità - esimente - fatto del terzo - colpevolezza - onere della prova
di Nicolò Zanotti
1.Con l’ordinanza 7 novembre 2018, n. 28359, la Cassazione ha precisato l’ambito applicativo dell’esimente di cui al comma 3 dell’art. 6,D.Lgs. n. 472/1997, che riconosce una causa di non punibilità se il contribuente dimostra che l’inadempimento o, più propriamente, il mancato pagamento del tributo è stato determinato “esclusivamente” dal fatto del terzo denunziato all’autorità giudiziaria. In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto che la corretta applicazione della norma imponga, da un lato,un coordinamento razionale con il comma 1 dell’art. 5,D.Lgs. n. 472/1997 e, dall’altro lato, l’esclusiva violazione di obblighi non formali ovvero il mancato pagamento del tributo.
A parere dei giudici di legittimità, quindi, l’applicazione dell’esimenteavrebbe richiesto la prova da parte del contribuente dell’insussistenza di una sua negligenza, che può anche assumerele forme di unaculpa in vigilando, in quanto l’inadempimento deve essereimputabile in via esclusiva all’intermediario. Nel caso di specie, tuttavia, il ricorso dell’Ufficio è stato accoltoanche perché le sanzioni applicate non concernevano il mancato pagamento di tributi ma obblighi di natura formale e, in particolare, l’omessa presentazione della dichiarazione e la mancata emissione e registrazione delle fatture.
2.Per verificare la correttezza del principio di diritto espresso dalla pronuncia in commento occorremantenere ben distinti due piani: da un lato, si pone, infatti, la necessità di definire la portataapplicativa della causa di non punibilità di cui al comma 3 dell’art. 6,D.Lgs., n. 472/1997; dall’altro lato, per le ipotesi ad essa non riconducibili,occorre accertare i limiti entro i quali è possibile razionalmente giustificare l’applicazione della regola generale di cui al comma 1 dell’art. 5, a mente del quale ciascuno risponde della propria azione cosciente e volontaria purché dolosa o colposa.
3.Con riferimento alla prima questione, il comma 3 dell’art. 6disciplina un fenomeno giuridico che appartiene alle cosiddette cause di non punibilità; per questo, in forza dei principi generali del diritto penale, tale categoria comprende tutte le cause che inibiscono l’applicazione della sanzione, in quanto, a seguito dell’accertamento della tipicità del fatto,occorre valutare se esistonosituazioni esterne alla condotta illecita checonsentono disalvaguardareun comportamentoaltrimenti rilevante (per tutti, cfr. Vassalli, voce Cause di non punibilità, in Enc. dir., VI, 1960, 635; Cocco, La punibilità quarto elemento del reato, Padova, 2017, 95).
La norma rappresenta un’eccezione alla regola generale e, pertanto, non può essere interpretataestensivamente; qualora ricorrano gli elementi espressamente richiesti dalla fattispecie legale, essa esclude l’applicazione della sanzione amministrativa, ponendosi su un piano diverso ed ulteriore anche rispetto alla più stringente previsione di cui all’art. 1 della legge 11 ottobre 1995, n. 423. Quest’ultima, infatti,tutela il contribuente truffato solo nel caso in cui l’omesso o il ritardato versamento sia dipeso da una condotta penalmente rilevante di un professionista iscritto in uno degli albi espressamente indicati.
Deve escludersi, quindi, che per l’attuazione del citato art. 6, comma 3, debbano ricorrere le ulteriori condizioni previstedalla distinta fattispecie di cuiall’art. 1,legge n. 423/1995, in quantoessa «opera sul diverso piano della riscossione e della commutazione del ruolo in capo al professionista responsabile», come risulta ormai pacificamente dalla giurisprudenza (cfr. Cass. n. 26848/2007, in Corr. trib., 2008, 6, p. 471, con notadi Batistoni Ferrara, e Cass., n. 25136/2009, in Corr. trib., 2010, 2, p. 156, con nota di Fanelli).
Tuttavia, per quanto diverse, entrambe le norme attengono esclusivamente all’inadempimento nel pagamento del tributo e non comprendono gli illeciti relativi alla presentazione della dichiarazione o alla determinazione delle imposte. In questi casi, infatti, in applicazione del citato comma 1 dell’art. 5, grava sul privato l’onere di dimostrare di aver agito con diligenza, in quanto la leggedispone una presunzione di colpevolezzanei suoi confronti.
4.La seconda questione impone di apprezzare la diversità delle violazioni contestate in ragione degli effetti sulla ripartizione dell’onere della prova. Infatti, nel caso in cui il contribuente oppongal’esistenza dei presupposti per l’applicazione del comma 3 dell’art. 6, dimostrando di essersi avvalso dell’opera di un professionista e di avergli consegnato le somme necessarie al pagamento delle imposte, dovrà essere l’Ufficioa valutare l’esistenza di eventuali profili di corresponsabilità. Se, pertanto, gli elementi di prova avanzati dal contribuente escludono univocamente il suo concorso con l’autore materiale dell’illecito, egli resterà indenne dalla sanzione, salvo che l’Amministrazione finanziaria non dimostri, ad esempio, che il mandato è stato conferito ad un soggetto inaffidabile secondo i criteri dell’ordinaria diligenza oppure, più genericamente, che sia incorso nella culpa in eligendo.
Il comma 1 dell’art. 5, rubricato “colpevolezza”, subordina, invece, la responsabilità al comportamento almeno colposo e, pertanto, per le violazioni diverse da quelle riconducibili al comma 3 dell’art. 6 (ad esempio, l’omessa presentazione della dichiarazione oppure l’omessa registrazione delle operazioni imponibili),la prova dell’incolpevolezza ricade sul contribuente; egli, pertanto, dovrà dimostrare che l’evento non si è verificato a causa di negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline in base all’art. 43 c.p. ed in questa prospettiva non è sufficiente la prova di aver delegato un professionista abilitato all’esecuzione degli obblighi fiscali, ma occorre altresì dimostrare di aver vigilato sul suo operato (seppur infruttuosamente) e che il consulente abbia agito con artifizi e raggiri ovvero, più genericamente, con modalità volte a non rendere manifesto e riconoscibile il proprio inadempimento.
Razionalmente, in questi casi l’intensità della prova potrà essere variabile in relazione alle singole fattispecie concrete ed alle caratteristiche soggettive del contribuente, non potendosi richiedere uguale diligenza ad una società di capitali di grandi dimensioni dotata di adeguate professionalità, piuttosto che ad un anziano pensionato, che ha affidato tutti i compiti relativi alla gestione della propria situazione fiscale ad un professionista abilitato; in sostanza, egli dovrà provare di non essere incorso in una ipotesi diculpa in eligendooin vigilandocon modalità che saranno tanto più rigorose, quanto maggiori sono le sue competenze professionali (cfr. Cass.n. 11433/2015, n. 13068/2011 e n. 6930/2017).
5.Tanto brevemente premesso, la fattispecie esaminata dalla pronuncia in commento riguarda il caso di una s.r.l. che ha affidato la tenuta della contabilità ad un professionista e che,esclusivamente in base a tale circostanza,ha invocato il proprio difetto di responsabilità,a fronte degli illeciti contestati dall’Amministrazione finanziaria diversi dal mancato pagamento del tributo e, perciò, non rientranti nell’ambito di applicazione del comma 3 dell’art. 6. Pertanto, per invocare la mancata applicazione delle sanzioni,lasocietàavrebbe dovuto fornire la prova di aver esercitato un’attività di sorveglianzasull’esecuzione delle prestazioni del consulente nel rispetto dell’art. 5 e, poiché nei gradi di merito l’attenzione è stata indirizzata solo sull’inadempimento dell’intermediario, correttamente la Suprema Corte non ha accolto la richiesta in merito alla mancata applicazione della sanzione.
6.La conclusione cui è pervenuta la Suprema Corte è dunque ampiamente condivisibile, ma solleva una profonda perplessità per quanto riguarda il principio di diritto nella parte in cui si legge «non essendoci i presupposti per l’applicazione dell’esimente di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 3»; infatti, sembra essere sovrapposto il principiogenerale di colpevolezza di cui al comma 1 dell’art. 5 con l’ipotesi eccezionale di cui al comma 3 dell’art. 6, in merito alle cause di esclusione della punibilità, con la conseguenza di non adeguare razionalmente il relativo onere probatorio a carico del contribuente.