argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
Con la sentenza 29 ottobre 2021, n. 30785, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’applicazione al caso di indebito rimborso delle sanzioni amministrativo-tributarie previste per il mancato o tardivo versamento dell’IVA. La decisione della Suprema Corte, che nega l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 13 del D.lgs. n. 471/1997, si inserisce all’interno di un dibattito giurisprudenziale che vede contrapporsi pronunce di segno opposto tra loro. All’interno di tale contrasto si inseriscono le modifiche - operate dal D.Lgs. n. 158/2015 - degli articoli 5, comma 5, e 13, comma 4, del D.Lgs. n. 471/1997, che, a partire dal gennaio 2016, sanzionano, rispettivamente, la richiesta di rimborso delle eccedenze IVA in assenza dei presupposti dettati dalla legge e l’utilizzo di eccedenze o crediti d’imposta in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalla legge.
» visualizza: il documento (Corte di Cassazione, 29 ottobre 2021, n. 30785)PAROLE CHIAVE: sanzioni - IVA - rimborso
di Matteo Clò
1. La sentenza 29 ottobre 2021, n. 30785, della Corte di Cassazione ha ad oggetto l’impugnazione di avvisi di irrogazione di sanzioni emessi in riferimento ad un caso di indebito rimborso IVA. In particolare, il contribuente aveva richiesto, ed ottenuto, il rimborso dell’IVA versata relativamente alle spese per la ristrutturazione di un immobile detenuto in locazione ed adibito a sede della propria impresa. L’Amministrazione finanziaria aveva successivamente ritenuto il rimborso non spettante per mancanza dei presupposti di cui all’art. 30, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, agendo per la restituzione degli importi indebitamente rimborsati ed irrogando al contribuente le sanzioni di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, previste per il caso di ritardato od omesso versamento d’imposta.
La questione è già stata oggetto di alcune pronunce della Corte di Cassazione, nelle quali, come si vedrà nel prosieguo, i giudici di legittimità sono giunti a conclusioni di segno opposto. Da un lato si pongono le sentenze, tra cui quella in commento, in cui la Suprema Corte ha escluso l’applicabilità delle sanzioni previste per il tardivo o l’omesso versamento ai casi di indebito rimborso IVA (Cass., 6 luglio 2010, n. 15938; Id., 4 novembre 2020, n. 24517; Id., 29 ottobre 2021, n. 30785). Dall’altro quelle in cui la Corte le ha invece ritenute applicabili (Cass., 28 febbraio 2014, n. 4793; Id., 19 luglio 2021, n. 20585).
Nell’ambito del delineato contrasto giurisprudenziale si inseriscono le novità apportate dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, con il quale il legislatore ha modificato sia l’art. 5 del D.Lgs. n. 471/1997, in tema di sanzioni in materia di imposta sul valore aggiunto, sia il successivo art. 13, in tema di ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione. Tali modifiche legislative, tuttavia, non sono state prese in considerazione - quantomeno ai fini decisionali - dai giudici di legittimità; ciò in quanto le controversie da cui sono scaturite le sentenze della Corte di Cassazione hanno ad oggetto atti emessi relativamente ad anni precedenti la riforma delle sanzioni tributarie amministrative. Evidenti appaiono pertanto le incertezze che caratterizzano il tema in esame. Pur nell’obbiettiva difficoltà di trovare una soluzione uniforme alle problematiche concernenti l’applicazione delle sanzioni amministrativo-tributarie ai casi di indebito rimborso IVA, la finalità che deve essere perseguita – anche mediante un auspicabile intervento delle Sezioni Unite – dovrebbe essere quella di garantire ai contribuenti un sufficiente grado di certezza e prevedibilità, specie relativamente ad un aspetto, quale quello delle sanzioni, in cui il principio di legalità (in una delle sue declinazioni: il principio di tassatività-determinatezza) svolge un ruolo fondamentale.
2. In base all’art. 30 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, se dalla dichiarazione annuale risulta che l’ammontare dell’IVA detraibile e dei versamenti effettuati in corso d’anno supera il debito d’imposta, ovvero emerga un’eccedenza d’imposta, il contribuente può utilizzare tale credito operando una compensazione con debiti relativi ad imposte diverse dall’IVA (c.d. compensazione esterna o orizzontale), riportandolo a nuovo, per essere compensato con le situazioni debitorie degli anni successivi (c.d. compensazione interna o verticale), o, infine, chiedendolo a rimborso (TESAURO, Istituzioni di diritto tributario. Vol. II. Parte speciale, Milano, 2019, p. 256).
Per quanto concerne l’IVA, la modalità ordinaria di utilizzo dell’eccedenza annuale d’imposta a credito è costituita dal riporto, potendo il contribuente sempre optare – ad eccezione del caso di cessazione dell’attività – per il computo di detta eccedenza in detrazione nelle liquidazioni periodiche successive (ORTOLEVA, Art. 30, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Versamento di conguaglio e rimborso dell’eccedenza, in FALSITTA – FANTOZZI – MARONGIU – MOSCHETTI (diretto da), Commentario breve alle leggi tributarie, a cura di MARONGIU, Tomo IV, Milano, 2011, p. 307). La richiesta di rimborso costituisce invece un’eccezione alla regola generale di utilizzo delle eccedenze IVA, potendo il contribuente chiedere il rimborso solo nei casi tassativamente previsti nel comma 3 dell’art. 30, D.P.R. n. 633/1972 (FREGNI, Rimborso dei tributi, in Dig. disc. priv. Sez. comm., 2000, in banca dati Leggi d’Italia), ovvero:
- quando il contribuente pone in essere esclusivamente o prevalentemente operazioni soggette ad imposta con aliquote inferiori a quelle dell’imposta relativa agli acquisti ed alle importazioni;
- quando il contribuente effettua operazioni non imponibili di cui agli artt. 8, 8 bis e 9 per un ammontare superiore al 25% complessivo di tutte le operazioni effettuate;
- limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche;
- quando il contribuente effettua prevalentemente operazioni non soggette ad imposta per carenza del requisito di territorialità (artt. da 7 a 7 septies);
- quando il contribuente si trova nelle condizioni di cui all’art. 17, comma 3, in tema di soggetti non residenti.
A ciò si aggiunga la possibilità di chiedere, anche fuori dai casi previsti nel comma 3, il rimborso dell’eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione annuale sia nell’ipotesi in cui dalle dichiarazioni dei due anni precedenti risultino eccedenze detraibili, sia nel caso di cessazione dell’attività.
Analoghi requisiti, pur se con alcune peculiarità, sono richiesti dal successivo art. 38 bis del D.P.R. n. 633/1972 per il rimborso infra-annuale dell’IVA a credito (sul quale si rimanda a PACE, I rimborsi, in TESAURO (diretto da), L’imposta sul valore aggiunto, in Giurisprudenza sistematica di diritto tributario, Torino, 2001, p. 742 ss.).
Nei casi delineati, il contribuente può chiedere il rimborso dell’eccedenza di IVA a credito. Qualora la richiesta venga accettata, l’Amministrazione effettua il rimborso, corrispondendo al contribuente quanto dovuto. Qualora, dopo l’esecuzione del rimborso, emerga che il contribuente non aveva diritto a richiederlo, l’Amministrazione agisce mediante la notifica di un avviso di rettifica o di accertamento, come si evince dall’art. 38 bis, comma 9, ai sensi del quale “se successivamente al rimborso […] viene notificato avviso di rettifica o accertamento il contribuente, entro sessanta giorni, versa all’ufficio le somme che in base all’avviso stesso risultano indebitamente rimborsate, oltre gli interessi del 2 per cento annuo dalla data del rimborso […], a meno che non presti la garanzia prevista nel comma 5 [cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, fideiussione rilasciata da una banca o da un’impresa commerciale, o polizza fideiussoria rilasciata da un’impresa di assicurazione] fino a quando l’accertamento sia divenuto definitivo”.
3. Nella fattispecie generale di omesso o tardivo versamento di somme dovute in base alla dichiarazione, disciplinata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, il legislatore ha fatto ricadere le ipotesi che si concretizzano nella mancata effettuazione di versamenti dovuti sulla base di avvisi di liquidazione, di autoliquidazione o di dichiarazioni (BAGAROTTO, Le violazioni nei tributi indiretti sui trasferimenti, in DI MARTINO – MARZADURI (a cura di), Trattato di diritto sanzionatorio tributario, diretto da GIOVANNINI, Vol. II, Milano, 2016, p. 1799).
Ad eccezione delle maggiori sanzioni previste dal comma 5 in tema di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti, che qui tuttavia non interessano, la sanzione generalmente prevista dall’art. 13 è pari al 30% dell’imposta non versata. Essa, si applica:
- a “chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione” (comma 1);
- nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi degli artt. 36 bis e 36 ter del D.P.R. n. 600/1973 e 54 bis del D.P.R. n. 633/1972 (comma 2);
- “fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, […] in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto” (comma 3);
- “nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti” (comma 4).
Tralasciando al momento la questione relativa all’applicabilità del comma 4 alle ipotesi di rimborso non spettante, su cui si tornerà nel prosieguo, occorre tentare di dare risposta all’interrogativo oggetto della sentenza in commento, ovvero se la mancata restituzione, nel termine di 60 giorni di cui all’art. 38 bis, comma 9, D.P.R. n. 633/1972, delle somme che in base all’avviso di rettifica o di accertamento risultano indebitamente rimborsate, possa costituire un’ipotesi di omesso o tardivo versamento sanzionabile ai sensi dell’art. 13.
Come anticipato, le risposte fornite dalla Corte di Cassazione sono di segno opposto tra loro. Con una prima pronuncia (Cass., 6 luglio 2010, n. 15938), a cui ha fatto seguito la sentenza 4 novembre 2020, n. 24517, la Suprema Corte ha escluso l’applicabilità delle sanzioni previste per il tardivo od omesso pagamento all’ipotesi di un rimborso IVA non spettante per mancanza dei presupposti di legge. Ciò in quanto “il principio di stretta legalità che informa il sistema delle sanzioni in materia tributaria (sancito dall’art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997) preclude all’amministrazione finanziaria la possibilità di applicare la sanzione prevista per il caso di omesso versamento dell’imposta all’ipotesi in cui il contribuente ottenga un rimborso non dovuto, per l’evidente diversità delle due fattispecie e quindi per la palese impossibilità di individuare una medesima ratio sanzionatoria nei due casi, apparendo sufficiente al riguardo riflettere sulla circostanza che il fatto che sarebbe sanzionato appare riconducibile non già ad un comportamento proprio del contribuente, bensì ad un errore dell’amministrazione finanziaria, che avrebbe dovuto verificare con più attenzione la spettanza del rimborso e quindi negarlo se non dovuto”.
Con altre sentenze, la Corte ha invece ritenuto che le sanzioni previste dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997 “trovino applicazione anche nel caso in cui il contribuente ottenga, dopo aver eseguito il versamento dell’imposta dovuta, un rimborso della stessa che si rivela successivamente indebito” (così Cass., 28 febbraio 2014, n. 4793, confermata da Id., 19 luglio 2021, n. 20585). Tale decisione viene giustificata, da un lato, assimilando – dal punto di vista sanzionatorio – il rimborso non spettante all’indebita compensazione, alla quale sono applicabili le sanzioni di cui all’art. 13; dall’altro, ritenendo che nel caso in esame, come accade nel caso di omesso versamento del tributo, si verifichi “un ritardo per l’Erario nell’incasso delle somme spettanti, per effetto dell’errata restituzione di quanto in precedenza versato, la quale di per sé determina quell’ammanco nelle casse del fisco, che la previsione della sanzione amministrativa mira evidentemente a reprimere”.
La sentenza in commento si pone in continuità con il primo orientamento. Essa, in particolare, ritiene che l’applicazione delle sanzioni ai casi di indebito rimborso debba essere esclusa in quanto, pur essendo illegittima la condotta del contribuente che, invece di restituire l’importo indebitamente rimborsato e portare l’eccedenza IVA in detrazione l’anno successivo, ometta di restituire quanto ricevuto, tale illegittimità è legata al ritardo nella restituzione di un indebito e non alla diversa ipotesi dell’omesso versamento di imposta; ritenendo la Corte significativo “il fatto che l’art. 38 bis, del D.P.R. n. 633/1972, non prevede alcuna sanziona amministrativa nel caso di inosservanza del termine di sessanta giorni per la restituzione dell’indebito: a dimostrazione che, in questo caso, deve essere l’amministrazione finanziaria a prestare la massima prudenza”.
Le conclusioni cui è pervenuta la Corte di Cassazione nella sentenza in commento (e nelle precedenti pronunce n. 15938/2010 e n. 24517/2020) paiono condivisibili.
Relativamente al diritto sanzionatorio, occorre infatti tenere ben presenti il principio di legalità, in particolare in una delle sue declinazioni, ovvero il principio di tassatività-determinatezza, da un lato, ed il divieto di analogia, dall’altro. In assenza di una norma specifica che commini una sanzione ai casi di indebito rimborso, o comunque di omessa o tardiva restituzione di quanto indebitamente rimborsato, si deve pertanto escludere un’applicazione estensiva o analogica delle norme in tema di omesso o tardivo versamento, così come di quelle in materia di indebita compensazione; fattispecie, quest’ultima, che peraltro presenta caratteristiche differenti ed è regolata da norme sanzionatorie ad hoc.
L’applicabilità delle sanzioni di cui all’art. 13 sembra inoltre da escludersi in ragione del fatto che lo stesso legislatore nell’art. 38 bis, comma 9, del D.P.R. n. 633/1972, prevede la possibilità che, alternativamente alla restituzione, nel termine di 60 giorni, di quanto “indebitamente” ottenuto a rimborso, il contribuente presti idonea garanzia. Ciò induce a ritenere che il versamento di quanto precedentemente ricevuto nel termine di 60 giorni non costituisca un adempimento necessario per il contribuente, il quale può optare per la prestazione di apposita garanzia.
Le sanzioni previste dall’art. 13 in tema di tardivo od omesso versamento non paiono applicabili ai casi di indebito rimborso nemmeno in seguito alle novità apportate dal D.Lgs. n. 158/2015, in quanto il disposto dei primi 3 commi di tale articolo non pare essere stato sostanzialmente modificato dalla riforma delle sanzioni amministrativo-tributarie.
4. Come anticipato, rispetto alla versione applicata ratione temporis dalla Suprema Corte, l’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997 si compone ora di 7 commi, tra cui il numero 4, il quale sanziona l’utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti. È dunque necessario interrogarsi sulla possibilità che nell’ipotesi di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta in violazione delle modalità previste dalla legge, di cui all’art. 13, comma 4, possa rientrare anche la richiesta di rimborso di un credito IVA in mancanza di uno dei requisiti previsti dall’art. 30, comma 3, D.P.R. n. 633/1972. Ciò in quanto il comma 4 dell’art. 13, a differenza del successivo comma 5, non fa espresso riferimento ai soli casi di compensazione, ma sanziona il più generale “utilizzo” di eccedenze o crediti d’imposta.
Il tenore letterale della disposizione in esame non sembra fornire una risposta univoca a tale interrogativo. Tuttavia, il fatto che tale disposizione trovi collocazione nel Titolo II del D.Lgs. n. 471/1997, contenente la disciplina delle sanzioni in materia di riscossione, ed in particolare, nell’art. 13, in tema di ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione (violazioni queste ultime finalizzate a contrastare ipotesi in cui, tramite l’indebita compensazione, si omettano, in tutto o in parte, i dovuti versamenti d’imposta), parrebbe sufficiente ad escludere l’applicabilità ai casi di indebito rimborso della sanzione per l’utilizzo di eccedenze o crediti d’imposta in violazione delle modalità previste dalla legge. Ciò in quanto il comma 4 riguarderebbe solo fattispecie (come quella dell’indebita compensazione) in cui dall’utilizzo di un credito o di un’eccedenza derivi un omesso un versamento. È evidente come nel caso di richiesta di un rimborso non spettante non si ometta alcun versamento, ma, tutt’al più, si ottenga la restituzione di una somma mai precedentemente versata all’Erario (o, nel caso in cui manchino solamente i requisiti di cui all’art. 30, si ottenga il rimborso di un credito che avrebbe potuto comunque essere portato in detrazione o in compensazione negli anni di imposta successivi). Il contribuente, in altri termini, otterrebbe la soddisfazione di un proprio credito prima del dovuto, ovvero in sede di detrazione.
L’inapplicabilità delle sanzioni previste dall’art. 13, sia relativamente all’omesso o al tardivo versamento, sia all’utilizzo di eccedenze o crediti d’imposta, è confermata dal fatto che, con il medesimo testo di legge – il D.Lgs. n. 158/2015 – che ha innovato l’art. 13, il legislatore abbia introdotto nell’art. 5, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, una sanzione espressamente riferita ai casi in cui venga chiesta a rimborso l’eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione IVA in assenza dei presupposti di cui all’art. 30 del D.P.R. n. 633/1972.
Sebbene la modifica dell’art. 5, comma 5, sembri aver definitivamente risolto – quantomeno per quanto riguarda l’IVA – la questione relativa all’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 13 ai casi di non spettanza del rimborso chiesto, ed ottenuto, dal contribuente in assenza dei requisiti previsti dalla legge, permangono perplessità in riferimento alla generale applicazione delle sanzioni amministrativo-tributarie ai casi di indebito rimborso.
Per ottenere il rimborso di un’eccedenza o di un credito d’imposta è infatti necessario che l’Amministrazione finanziaria non solo presti il suo consenso, giudicando positivamente la richiesta avanzata dal contribuente, ma provveda materialmente all’esecuzione del rimborso, restituendo al contribuente quanto dovuto. Tale circostanza non può non essere presa in considerazione, così come non può essere trascurato – quantomeno ai fini dell’applicazione delle sanzioni – l’affidamento riposto dal contribuente nell’autorizzazione del rimborso da parte dell’Amministrazione finanziaria. Ciò, da un lato, potrebbe essere ritenuto idoneo ad escludere totalmente l’applicazione delle sanzioni previste per l’indebito rimborso (ad esclusione delle ipotesi in cui dopo l’esecuzione del rimborso emergano fatti o circostanze nuovi, o che l’Amministrazione non avrebbe potuto conoscere al momento della concessione del rimborso, o nei casi in cui il contribuente abbia dolosamente posto in essere una condotta volta a celare la non spettanza del rimborso richiesto, in relazione ai quali si rende necessaria un’attività di accertamento che non può, per ovvie ragioni, essere svolta nell’ambito del procedimento di rimborso). Dall’altro lato, il fatto che l’Amministrazione abbia autorizzato ed eseguito il rimborso pur in assenza dei requisiti di cui all’art. 30 del D.P.R. n. 633/1972 potrebbe essere considerato al fine di una ipotetica riduzione delle sanzioni comminate dalla legge. Potrebbe infatti dubitarsi della legittimità (per difetto di ragionevolezza) di una sanzione pari al 30% (peraltro identica a quella prevista per i casi di tardivo od omesso versamento) applicata al contribuente che, magari in presenza di oggettiva incertezza circa la presenza di uno dei requisiti previsti dalla legge chieda, ed ottenga, il rimborso di un credito IVA, per poi successivamente vedersi contestare (dalla stessa Amministrazione che gli ha concesso il rimborso) la non spettanza dello stesso.
Ulteriore difetto di ragionevolezza parrebbe emergere anche in relazione ad un altro profilo, concernente il grado di offensività della violazione posta in essere dal contribuente nella fattispecie in esame. Se è vero - come è vero - che ottenendo il rimborso pur in assenza dei requisiti di cui all’art. 30, il contribuente non compie alcun omesso o ritardato versamento, ma ottiene il rimborso di un credito che comunque avrebbe potuto portare in detrazione (o utilizzare in compensazione) nei successivi anni d’imposta, potrebbe dubitarsi del fatto che egli debba essere tenuto, nel caso in cui il rimborso sia giudicato non spettante, al pagamento di sanzioni amministrative del medesimo ammontare di quelle generalmente previste dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997. Nessuna lesione (o concreto pericolo) agli interessi patrimoniali dell’Erario parrebbe infatti derivare dalla condotta del contribuente, ad eccezione di quella relativa all’anticipata restituzione di somme (di cui comunque il contribuente era creditore nei confronti del Fisco), la quale sembra tuttavia essere pienamente compensata dalla corresponsione degli interessi, che, ai sensi dell’art. 38 bis del D.P.R. n. 633/1972, sono dovuti, a partire dalla data d’esecuzione del rimborso, nella misura del 2% annuo.