argomento: IRES - Giurisprudenza
In linea con i più recenti indirizzi giurisprudenziali si è concluso che l’inerenza deve esprimere la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio imprenditoriale. La Corte di Cassazione evidenzia, nella decisione che si commenta, che la valorizzazione della congruenza e vantaggiosità del costo rapportato all’impresa, già in precedenza, comportava un giudizio di valore qualitativo della stessa spesa. I più recenti orientamenti della giurisprudenza non sembrano concretare ed avvalorare il carattere “innovativo” degli indici definitori e sostanziali dell’inerenza rispetto alle linee argomentative già sviluppate in passato. Dovrebbe, piuttosto, confermarsi, in definitiva, il marcato carattere qualitativo del principio di inerenza.
PAROLE CHIAVE: società - inerenza dei costi - esercizio imprenditoriale - carattere qualitativo - principio di inerenza
di Maria Gaballo
La sentenza della Suprema Corte n. 32254 del 2018 che si annota torna sul tema dell’inerenza dei costi sostenuti da una società e sulle regole giuridiche sull’onere della prova. La Corte considera, a tal riguardo, che il riconoscimento della sua sussistenza debba confermare il riferimento ad un criterio non meramente formale, ma sostanziale, e ciò a prescindere dai parametri guida (e vale a dire dal tradizionale nesso di colleganza ai criteri della vantaggiosità e della congruità della spesa o, piuttosto,dalla valorizzazione del criterio qualitativo collegabile al reddito d’impresa) da seguire nella definizione del principio de quo.
La nozione d’inerenza è volta a delimitare la sfera fiscale dell’impresa e ad imporre la deducibilità dei costi in ragione del loro rapporto con l’attività esercitata (Tinelli, Il principio di inerenza nella determinazione del reddito d’impresa, in Riv. Dir. Trib., 2002, I, 437; sul vincolo della deducibilità delle spese e degli altri elementi di costo unicamente nella misura in cui sono relativi all’attività d’impresa, Cass., 30 luglio 2007, n. 16826). La selezione dei costi consente di attribuire rilievo soltanto a quelli che hanno concorso alla produzione del reddito.
L’opinione prevalente in dottrina conferma che l’inerenza è espressione di un giudizio qualitativo e non quantitativo e di carattere oggettivo, che, poi, impone una valutazione variabile da impresa ad impresa (per questi aspetti, Fantozzi, Sindacabilità delle scelte imprenditoriali e funzione nomofilattica della Cassazione, in Riv. Dir. Trib., 2003, II, 552; Fantozzi – Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2014, 125, 128).
Il concetto di inerenza è esaminato dalla Corte, sostanzialmente,in conformità a due prospettive d’indagine: a) secondo l’interpretazione tradizionale, per la quale esso trova un riscontro normativo nell’ambito dell’art. 109 del D.P.R. n. 917 del 1986, ed in modo specifico ricondotto al rapporto tra costo ed impresa; b) per altro verso, viene, invece, abbandonato il criterio tradizionale (del rapporto tra costo e requisiti di congruità e vantaggiosità dello stesso), discostandosidal citato art. 109; in tema di imposte sui redditi delle società, con un più recente orientamento, la Corte di Cassazione ha affermato che il principio dell’inerenza dei costi deducibili si deve desumere dalla nozione di reddito d’impresa.
Per questi aspetti della questione, in linea con i più recenti indirizzi giurisprudenziali, si è, in particolare, concluso che l’inerenza deve esprimere la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio imprenditoriale. Questo,ancora, in ragione dell’osservazione, evidenziata da questa giurisprudenza, e per la quale può asserirsi che è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico, senza che per questi profili assuma rilevanza la congruità delle spese, poiché il giudizio sull’inerenza è di tipo qualitativo e non, invece, quantitativo (Cass., Sez. Trib., Ord. 11 gennaio 2018, n. 450, indirizzo consolidato, un'altra volta, dalla Cassazione nell’ordinanza n. 3170 del 9 febbraio 2018, cfr., altresì, Cass., Sez. Trib., 17 luglio 2018, n. 18904; Cass., Sez. Trib., 31 ottobre 2018, n. 27786; tra le altre pronunce si rinvia a Cass., Sez. V, Sent. 6 giugno 2018, n. 14579; Cass., Ord. del 26 settembre 2018, n. 22938). Con l’ordinanza n. 450 del 2018 la Corte ha affermato che il principio di inerenza dei costi deducibili si desume dalla nozione di reddito d’impresa e rivela l’esigenza di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, riallineando, così, la nozione fiscale di inerenza al fenomeno economico peculiare all’esercizio dell’attività d’impresa [G. Fransoni, Una bella sorpresa: la nouvelle vague della Corte di Cassazione in tema di inerenza (Commento a Cass. civ., Sez. V, 11 gennaio 2018, n. 450), in Riv. Dir. Trib., Supplemento online, 19 marzo 2018, sull’esistenza di due differenti profili di valutazione dei costi, “qualitativo” e “quantitativo” e sulla conseguente esclusione di ogni commistione fra la nozione di inerenza e di congruità; in tema si rinvia, altresì, a Id., Il sindacato dell’amministrazione sulla “congruità” dei costi (Commento a Cass., Sez. V, Sent. del 30 novembre 2016, n. 24379), in Riv. Dir. Trib., Supplemento online, 9 dicembre 2016; Id., La Cassazione e le perduranti incertezze sulla nozione di inerenza, (Commento a Cass. civ., Sez. Trib., Sent. del 10 marzo 2017, n. 6185), in Riv. Dir. Trib., Supplemento online, 16 marzo 2017].
Questa diversa impostazione rispetto ad un orientamento giurisprudenziale maggioritario (ed in contrasto con l’ordinanza n. 450 del 2018, così cfr., tra le altre, Cass., Sez. V, Sent. 30 maggio 2018, n. 13596; Cass., Sez. V, Sent. 30 maggio 2018, n. 13588) si discosta, quindi,fermamente dalla definizione di inerenza che viene identificata con il principio di correlazione tra i costi deducibili ed i ricavi tassabili sulla base di quanto statuito dall’art. 109, co. 5, del TUIR. La nozione di inerenza accolta dall’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimitàe fondata sulla centralità dell’art. 109 citato comporta che devono considerarsi inerenti i costi che procurano direttamente o indirettamente utilità all’attività d’impresa e ciò anche solo in termini di potenzialità.
L’ordinanza n. 450 del 2018 rimarca le criticità dell’indirizzo interpretativo giurisprudenziale dominante (per la giurisprudenza in linea con l’ordinanza citata, cfr., ancora, Cass., Sez. V, Ord. del 31 maggio 2018, n. 13882; ed in corrispondenza di quest’ultima, Cass., Ord. del 14 marzo 2018, n. 6288; e,al contrario, deve affermarsi che non sono inerenti, sulla base del medesimo giudizio qualitativo, le operazioni che comportano costi che siano o non appaiano idonee a portare un vantaggio; in tal senso, con peculiari precisazioni, Cass., Sez. V, Sent. n. 27786 del 2018). In tal senso essa rileva che il concetto aziendalistico e quello civilistico di spesa non sono inevitabilmente connessi all’utilità. Può, infatti, anche sostenersi che il costo sia configurabile,altresì, con ciò che non apporta un vantaggio all’esercizio dell’attività d’impresa. La pronuncia si colloca, così, in termini dialettici ed in consapevole conflitto con l’orientamento manifestato dalla Corte (indirizzo che risalta, invece, il giudizio quantitativo che implica la sussistenza della congruità, con l’esclusione della deducibilità di costi eccessivi, considerati quindi non inerenti).
Si potrebbe, allora, convenire ammettendo che, in tale prospettiva, i criteri interpretativi sull’inerenza siano del tutto cambiati rispetto al passato, in termini sostanziali e definitori dello stesso principio, ma non sembra, poi, possa concludersi così.Una molteplicità di fattori e parametri, in realtà, non consente di risolvere per un’impostazione che sia lontana da quanto rilevato in precedenza per queste tematiche. La stessa Corte (così, cfr. Cass., Sent. n. 14579 del 2018), in una delle prime decisioni successive alle ordinanze nn. 450 e 3170 del 2018, ha considerato proprio quello che si è, in questo momento, evidenziato.L’indirizzo da ultimo seguito dai Giudici di legittimità, con l’abbandono del criterio della congruità in ragione della caratterizzazione in termini qualitativi dell’inerenza, non si discosta, poi, più di tanto dalla tradizionale interpretazione rispetto ad una prima lettura di tale orientamento che, invece, porterebbe a concludere in modo del tutto opposto (privilegiando, nello specifico, una concreta inversione di rotta nell’indirizzo interpretativo, che, invece, si attesta solo inizialmente).
In dottrina si è da sempre sostenuto che per il principio di inerenza dovesse valorizzarsi il rapporto tra la spesa e la sua riferibilità, immediata o mediata, alla produzione del reddito. Per altri aspetti ora viene,piuttosto, maggiormente rafforzato il rapporto tra spesa e reddito di impresa. L’abbandono dei requisiti della vantaggiosità e congruità del costo non può, tuttavia, tradursi nella loro esclusione dal giudizio di valore cui resta, in ogni caso, sottoposta la spesa al fine del suo riconoscimento della sua inerenza e dei presupposti per la sua deducibilità. Ne consegue, poi, che la necessità di buone regole di gestione dell’attività d’impresa non può, di fatto, contemperare delle spese svantaggiose, incongrue e sproporzionate. I Giudici di legittimità nel recente ed “innovativo” orientamento affermano che l’antieconomicità e l’incongruità della spesa sono indici che palesano la mancanza di inerenza, nonostante non possano,tout court, indentificarsi con essa. E, d'altronde, proprio sulla valutazione dell’economicità dei fatti gestionali, in linea di principio, la dottrina si è espressa riscontrando come, in effetti, possa dirsi criticabile la tendenza della giurisprudenza ad ascrivere l’inerenza nell’ambito di una considerazione di tal genere.
La Cassazione evidenzia, nella decisione che si commenta,che la valorizzazione della congruenza e vantaggiosità del costo rapportato all’impresa, già in precedenza all’indirizzo interpretativo ora espresso,comportava un giudizio di valore qualitativo della stessa spesa.
Viene, peraltro,sottolineato dalla giurisprudenza che, in realtà, la valutazione del principio in esame attesta due diversi indici di approfondimento, distinguendo l’onere probatorio in materia di imposte sui redditi ed in materia di IVA. La Suprema Corte conclude, infatti, su quest’ultimo aspetto, che l’onere dell’Amministrazione finanziaria, che voglia contestare l’assenza di inerenza delle operazioni compiute e fatturate dal contribuente, è accentuato, poiché non assume rilievo, di per sé, la mera sproporzione o l’incongruenza tra il costo ed il valore del bene o del servizio, se non quando tale antieconomicità si attesti come macroscopica e,vale a dire, del tutto evidente, implicando la non correlazione all’attività d’impresa (Cass., n. 18904 del 2018). Per quest’ultima giurisprudenza vanno affermati più principi di diritto tra i quali si segnalano i seguenti:
Un ulteriore ed ultimo aspetto riguardante il principio di inerenza, e richiamato nella sentenza che si annota, attiene all’onere della prova.La decisione della Corte concorre a riconoscere gli ordinari criteri già in linea con i precedenti orientamenti giurisprudenziali e che abilitano l’Amministrazione finanziaria a riconoscere tale onere assolto dal contribuente, a norma dell’art. 2697 c.c., con la produzione di una documentazione di supporto dalla quale possa ricavarsi, oltre che l’importo, la ragione stessa e la sua coerenza economica.
Negli elementi interpretativi in materia di ricostruzione della portata del principio dell’inerenza nell’ambito della determinazione del reddito d’impresa è, quindi, opportuno distinguere i temi che afferiscono alla base giuridica ed alla struttura del principio de quo, da quelli che, invece, attengono alla ripartizione dell’onere della prova.
Da ciò e dall’indagine sui principali indirizzi giurisprudenziali e della dottrina sembra possa concludersi che: