argomento: IRPEF - Legislazione e prassi
L’Irpef è certamente il più importante tributo presente nel sistema italiano eppure ha perso coerenza vivendo una profonda crisi. Il tributo ha subito centinaia di modifiche; le più recenti, hanno avuto una matrice politico -partitica, rispondendo a pulsioni elettoralistiche; il dibattito scientifico è stato travolto ed oscurato dalla politicizzazione e strumentalizzazione delle questioni di fondo. Tuttavia, nel pieno della XVIII legislatura è emersa una stagione di riflessione politica, che ha consentito di recuperare la dimensione istituzionale e scientifica del dibattito. La disciplina dell’Irpef risulta ormai frammentaria ed irrazionale; si presta a pratiche di arbitraggio fiscale ed a proficue opportunità di pianificazione fiscale. Su base scientifica è evidente che sia il modello della Comprehensive Income Tax, sia il modello della Dual Income Tax, sia infine il modello della Flat Tax hanno degli innegabili punti di forza e di debolezza, ma di certo l’Irpef italiana si discosta da qualsivoglia modello. Ci si trova ormai di fronte ad una disciplina materialmente incostituzionale. I lavori parlamentari svoltisi nella XVIII legislatura consentono di cogliere la dimensione della crisi dell’Irpef ed offrono punti di riferimento per il dibattito sulle riforme.
PAROLE CHIAVE: imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) - modelli teorici - disciplina legislativa - irrazionalità
di Lorenzo del Federico
Le iniziative sulle riforme dell’Irpef emergenti nella nuova legislatura, in occasione della legge di stabilità 2023, confermano il quadro sconfortante sulla tenuta dell’imposta personale, che si pone come pilastro dell’intero sistema tributario. Sono passati 50 anni dalla grande riforma tributaria del 1971-73 e ci troviamo costantemente coinvolti in un inconcludente e continuo dibattito sulla necessità di riformare l’Irpef, accompagnato da interventi legislativi improvvisati, usualmente approvati con le leggi di stabilità, nel ben noto contesto delle urgenze di fine anno, dei voti di fiducia, delle diposizioni omnibus ecc.
L’imposta sul reddito delle persone fisiche ha subito centinaia di modifiche, nei primi decenni orientate all’adeguamento della normativa ai mutati contesti socio economici, negli ultimi anni tendenti a scardinare la fisionomia del tributo e quindi tali da minarne l’impianto sistematico. La maggior parte delle riforme, soprattutto le più recenti, hanno avuto una matrice politico -partitica, rispondendo a pulsioni elettoralistiche; il dibattito scientifico è stato travolto ed oscurato dalla politicizzazione e strumentalizzazione delle questioni di fondo su cui ruota il sistema dell’Irpef, basti pensare alle narrazioni sulla c.d. flat tax.
Tuttavia, nel pieno della XVIII legislatura è emersa una stagione di riflessione politica, che ha consentito di recuperare la dimensione istituzionale e scientifica del tema.
La Commissione Finanze della Camera e la Commissione Finanze e Tesoro del Senato hanno deliberato di avviare una indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e su altri aspetti del sistema tributario; i Presidenti di Senato e Camera hanno promosso le opportune intese per consentire che le due Commissioni potessero procedere congiuntamente.
Come risulta dal Documento approvato dalla Commissione permanente Finanze e Tesoro, a conclusione dell’indagine conoscitiva, i lavori sono stati espletati nell’arco di sei mesi, nel corso dei quali si è proceduto allo svolgimento di ben 61 audizioni; è poi seguita una fase di discussione, al termine della quale tutti i gruppi parlamentari hanno depositato documenti, prendendo posizione sui risultati dell’indagine conoscitiva (Comm. perm. Finanze e Tesoro, 30 luglio 2021, “Sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e su altri aspetti del sistema tributario”, Relatore Sen. Luciano D’Alfonso).
Il Governo si era impegnato a realizzare la riforma entro il 31 luglio 2021, ed in data 29 ottobre ha presentato un disegno di legge avente ad oggetto “delega al Governo per la riforma fiscale” (Camera Deputati n. 3343), per il tramite del Ministro dell’Economia e delle Finanze, ma non se ne è fatto più nulla. Il progetto riformatore, già di per sé vago e contraddittorio, si è perso tra le convulsioni della crisi del Governo Draghi e la fine della legislatura. Giacché, dopo un iter lungo e altalenante, essenzialmente incentrato sui contrasti che hanno caratterizzato le ipotesi di riforma del catasto (art. 6 d.l.d.), il disegno di legge è stato approvato dalla Camera in data 22 giugno 2022 e poi trasmesso al Senato ove si è arenato a causa della caduta del governo Draghi e dello scioglimento delle Camere.
Comunque, come si avrà modo di evidenziare, anche le buone premesse da cui è partita l’iniziativa parlamentare sono state imbrigliate dalle prudentissime e bilanciatissime conclusioni formulate nel Documento che ha chiuso l’indagine conoscitiva e su cui si è basata l’elaborazione del disegno di legge delega di iniziativa governativa.
In ottica evolutiva il dato storico, dal quale prendere spunto è quello della profondità ed accuratezza dell’impianto riformatore del 70: basato su una articolata attività preparatoria, a partire dagli anni sessanta, che poi ha assunto dimensione legislativa, prima mediante un disegno di legge delega nel 1969, poi confluito nella legge delega 9 ottobre 1971, n. 825, ed infine con i decreti attuativi del 1972/73 (i lavori preparatori furono svolti dalla Commissione Cosciani; v. Sullo stato dei lavori della Commissione per lo studio della riforma tributaria, Milano 1964. La vicenda è descritta ed analizzata da B. BISEIS, Introduzione, in ID. (a cura di), Il progetto della riforma tributaria della Commisione Cosciani cinquant’anni dopo, Bologna, 2015, 7 ss).
Viceversa, tutte le riforme dell’Irpef realizzate negli ultimi venti anni sono state caratterizzate da interventi legislativi estemporanei e contingenti, privi di una adeguata fase di studio preliminare. Anche l’encomiabile sforzo parlamentare dell’Indagine conoscitiva rappresenta poca cosa rispetto alle esigenze istruttorie e scientifiche di una seria riforma dell’Irpef, ma resta il patrimonio di informazioni ed opinioni acquisito dalle 61 audizioni e qualche spunto ritraibile dal Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva e dal volenteroso disegno di legge delega, ormai dissoltosi (tutti i lavori, le proposte e le audizioni sono consultabili sul sito : https://www. senato.it/ 3518 indagine =1201).
La sensazione di fondo è che l’Irpef sia stata ormai devastata da interventi spesso demagogici (ovviamente di matrice politico - partitica), talvolta iper tecnicistici (di matrice burocratica- MEF ed Agenzia Entrate), manchino le sensibilità politiche per promuovere un recupero di razionalità del sistema, e soprattutto manchi una visione sui reali margini di manovra praticabili nell’imposizione sui redditi e sui modelli teorici di riferimento.
Di certo la politica non ha la forza per razionalizzare l’impianto dell’Irpef, trasformato ormai in un coacervo di regimi privilegiati disseminati in un inestricabile labirinto normativo, tecnico e burocratico. Basti considerare la vicenda del disegno di legge delega promosso dal Governo Draghi e la modestia della novella dell’Irpef realizzata mediante la Legge Bilancio 2022 (Legge 30 dicembre 2021 n. 234, art. 1 commi 1-3). Infatti, tale intervento, seppure palesato come anticipazione della Riforma, si è limitato a qualche ritocco delle aliquote, degli scaglioni e delle detrazioni (essenzialmente per tacitare le aspettative dell’Unione sull’attuazione delle riforme richieste dal PNRR).
Le iniziative di riforma dell’Irpef assunte nella prima fase della nuova legislatura confermano il trend negativo: interventi continui, poco meditati, guidati da logiche elettoralistiche e contingenti.
Al riguardo è opportuno chiarire che “c’è grande differenza tra una vera e propria “riforma” e una semplice “manovra” fiscale. Le riforme, per essere tali, devono infatti avere una “cifra” elevata. Una “cifra” elevata tanto in senso politico, quanto in senso economico. Per questo devono avere una forte e non casuale base di consenso, e un consenso non solo parlamentare, popolare…” (audizione G. TREMONTI).
Oggi c’è bisogno di una vera e propria Riforma e di un argine a fronte dei contingenti, alluvionali e confusi interventi legislativi che continuamente si abbattono sul sistema dell’Irpef, tanto da far emergere l’esigenza di una vera e propria “tregua normativa” (v. ad es. audizioni: Assonime, 10; D. STEVANATO, 2; M. BASILAVECCHIA, 3; L. CARPENTIERI, 5-7. G. MELIS, 78, è orientato a favore di interventi di riordino e razionalizzazione della disciplina vigente e palesa le difficoltà di una radicale riforma dell’Irpef, posizione questa su cui si colloca la maggior parte delle audizioni. Sono stati resi comunque taluni importanti contributi a favore di una generale e profonda riforma del sistema, v. ad es. l’audizione G. VEGAS).
Comunque, dalle audizioni svoltesi nel corso dell’indagine conoscitiva emerge che su alcuni dati economici e finanziari di base vi convergenza di vedute, ed è quindi utile assumerli come premessa per una riflessione centrata sulla coerenza ed equità del sistema di tassazione del reddito delle persone fisiche (per le fonti dei dati: Eurostat, 2018 e 2019; Documento Comm. Finanze e Tesoro cit., 5; audizioni Direttore Generale delle Finanze- MEF, Banca d’Italia ed ISTAT). Del resto, come evidenziato da alcune audizioni, dal «posizionamento del nostro Paese a livello europeo… ponendo a confronto i valori registrati dell’Italia con quelli “medi” dell’Europa a 27 Stati», risulta “come i valori dell’Italia siano sostanzialmente in linea con quelli medi europei, con l’eccezione della tassazione dei redditi da lavoro dipendente, sensibilmente più elevata in Italia rispetto alla media europea, e della quota del gettito fiscale derivante dalle imposte sul capitale” (G. MELIS cit., 3 ss, sulla base delle rilevazioni annualmente effettuate dalla Comm. UE, Taxation Trends in the European Union, Bruxelles, 2020).
La pressione fiscale complessiva in Italia si attesta al 42,3%; è il sesto valore più alto nel confronto con gli altri paesi dell’UE, e si colloca al di sopra della media europea di 2,2 punti percentuali.
La pressione fiscale sul lavoro risulta la più alta in assoluto nella UE, con un’aliquota implicita pari al 43,8%.
L’Irpef ha un ruolo centrale nel sistema tributario: il gettito è pari all’11,3 per cento del PIL, e contribuisce per il 40% delle entrate tributarie.
Con riferimento al 2018, la platea dei contribuenti Irpef è rappresentata da 41,4 milioni di soggetti, tra i quali, sulla base alla classificazione per reddito prevalente, 21,3 milioni sono lavoratori dipendenti, 13,5 milioni sono pensionati, 2,9 milioni sono imprenditori, autonomi o soci di società di persone.
Circa 1 milione di contribuenti sono soggetti ai regimi agevolati, ma il numero è in crescita notevole e costante.
I redditi da capitale sono per la quasi totalità soggetti a tassazione sostitutiva. Ma le forme di tassazione sostitutiva sono in continua espansione, coinvolgendo sempre più altre categorie di reddito.
L’Irpef è quindi oggi un’imposta pagata principalmente da lavoratori dipendenti e pensionati.
Per il 2018, l’Irpef è stata pari a 164 miliardi di euro, per l’85% attribuibile a queste due categorie di reddito, ed in particolare per il 55% ai lavoratori dipendenti e per il 30% ai pensionati (da lavoro dipendente, così come da lavoro autonomo). Secondo il Documento Comm. Finanze e Tesoro cit., «nel complesso, in Italia l’applicazione ai redditi di regimi sostitutivi proporzionali riduce la base imponibile dell’IRPEF di circa un decimo, effetto in gran parte riconducibile alla tassazione dei redditi finanziari, dei redditi d’impresa e dei redditi da lavoro autonomo» (11). Avviatasi la XIX legislatura il patrimonio conoscitivo acquisito inizia a disperdersi, risultando ignorato dal dibattito politico – istituzionale.
Un buon funzionamento dell’Irpef necessita di una coerenza di base della disciplina del tributo; di un impianto sistematico, funzionale agli obiettivi dati, basato su un modello armonico e razionale tassazione dei redditi; di una costante manutenzione normativa volta a recepire i mutamenti sociali, economici e giuridici che sopraggiungono nel corso del tempo (la maggior parte delle audizioni convergono sulla frammentarietà ed incoerenza sistematica dell’attuale disciplina dell’Irpef e sulla necessità di basarsi su un modello di riferimento, v. in particolare: Fondo monetario internazionale 1-3, 11-12; CNEL, 10 ss., D. STEVANATO, 3 ss; P. LIBERATI, 3 ss. 58; S. PELLEGRINO, 19; Ufficio parlamentare di bilancio; L. CARPENTIERI, 5-7; G. MELIS, 22-23; Associazione nazionale tributaristi italiani, 10 ss, 15 ss.; Confindustria; C. COTTARELLI, 3 ss.; Corte dei conti, 2 e 9; M. BRIDIGNON; M. LEO, 11; V. VISCO; Banca d’Italia, 2 ss.; Agenzia delle entrate, 4).
L’imposta personale sul reddito delle persone fisiche può essere ricondotta a tre modelli principali di tassazione: il modello CIT, Comprehensive Income Tax, il modello DIT, Dual Income Tax ed il modello della Flat Tax. Sorprendente la scelta del Documento Comm. Finanze e Tesoro cit., 10-12, di non considerare affatto il modello della Flat Tax (pur evocato, seppure tal volta criticamente, da diverse audizioni: Fondo monetario internazionale, 8; CNEL, 5; Ufficio parlamentare di bilancio; D. STEVANATO, 7; N. ROSSI; C. FIORIO, 4 ss., 12 ss., S. PELLEGRINO, 11; UGL, 1; M. LEO, 6; Agenzia delle entrate, 16).
Il modello CIT prevede che la base imponibile dell’imposta includa tutte le fonti di reddito secondo tre definizioni: i) reddito-entrata che considera tutte le fonti di entrata in un anno, comprese le plusvalenze o capital gains; ii) reddito-prodotto in un anno che tiene conto soltanto delle remunerazioni dei fattori produttivi, lavoro, capitale, ma esclude le plusvalenze che fanno riferimento al reddito prodotto in anni precedenti e tutte le altre entrate di tipo straordinario o occasionale; iii) reddito-spesa che esclude dalla base imponibile tutte le forme di risparmio (il modello CIT è stato sviluppato prima da Schanz (1896) in Germania, poi da Haig (1921) e Simons (1938) negli Stati Uniti; il modello teorico CIT non è mai stato applicato in modo completo).
Il modello DIT, affermatosi soprattutto nei paesi del nord Europa, prevede, al contrario, una tassazione separata per le due principali fonti di reddito: i redditi da lavoro, che vengono assoggettati a tassazione progressiva; i redditi da capitale, reale e finanziario, che sono soggetti a tassazione proporzionale (per l’elaborazione del modello DIT v. Nielsen (1980), Sorensen (1994).
Il modello Flat Tax, diffuso in alcuni paesi in via di sviluppo e nell’Europa dell’est, si basa su una concezione dell’imposta personale a base imponibile ampia, ma con struttura estremamente semplificata ed aliquota unica proporzionale, con tendenziale esonero delle famiglie al di sotto di una data soglia di reddito, c.d. no tax area (gli iniziali spunti teorici risalgono a Friedman (1956); negli anni 80 il modello della Flat Tax, e le suggestioni della curva di Laffer (Arthur Betz Laffer), hanno ispirato le riforme tributarie negli USA e nel Regno Unito. Per quanto riguarda l’Italia un’eco di tali indirizzi si rinviene nel “Libro Bianco sulla Riforma fiscale” elaborato da Giulio Tremonti (Roma 1994), e nei principi e criteri direttivi della legge delega 07/04/2003 n. 80, per la riforma del sistema fiscale statale; v. inoltre l’antesignano contributo di G. TREMONTI, La crisi dell’imposizione personale progressiva e gli strumenti giuridici utilizzati ed utilizzabili (relazione al Convegno su La crisi dell’imposizione personale progressiva, Pavia, 28-29 ottobre 1983), in Riv. dir. fin., 1984, I, 92.; per i contributi recenti v. D. STEVANATO, Dalla crisi dell’Irpef alla flat tax. Prospettive per un a riforma dell’imposta sul reddito, Bologna, 2016, e N. ROSSI, Flat tax. Aliquota unica e minimo vitale per un fisco semplice ed equo, Venezia, 2018).
Ovviamente nella realtà non ci sono imposte personali sul reddito che riflettono perfettamente l’uno o l’altro di dei modelli di tassazione (audizioni Fondo monetario internazionale, 8, ed OCSE, 2-3.); i modelli vanno adattati alle situazioni sociali, economiche e giuridiche e si strutturano a seconda delle diverse esigenze, ma il meccanismo impositivo non può entrare in contraddizione, pena il suo malfunzionamento.
Nel sistema tributario italiano l’evoluzione dell’Irpef è stata caratterizzata nel corso degli ultimi venti anni da interventi improvvisati che hanno interessato le varie categorie di reddito, incidendo pesantemente sulla coerenza del tributo, soprattutto negli ultimi anni, tanto da spostare l’Irpef da un originario modello CIT imperfetto, prima verso un modello DIT imperfetto ed infine verso uno scenario di frammentazione dell’imposizione personale sui redditi, caratterizzato da pulsioni estemporanee, verso la flat tax, in cui il sistema ha perso qualsivoglia fisionomia, non è più riconducibile ad alcun modello ed è giunto a risultare intrinsecamente irrazionale e contraddittorio.
Le attuali caratteristiche dell’Irpef configurano infatti forme di tassazione ibride, frammentarie e condizionate dalle peculiarità delle diverse categorie reddituali; le diverse fonti comportano forme di di tassazione dei relativi redditi molto differenziate: capitale, fabbricati, agricoltura, lavoro dipendente, lavoro autonomo, impresa.
Il sistema dell’Irpef risulta astrattamente centrato sulla progressività, con aliquote progressive a scaglioni, che vanno dal 23% al 43%, ma sussistono molteplici e frammentari regimi sostitutivi in cui si applicano aliquote proporzionali, particolarmente basse.
Spiccano i regimi sostitutivi sui redditi da capitale finanziario dal 12.5% al 26%; seguono i redditi da fabbricati soggetti a cedolare secca e tassati con aliquota sostitutiva al 10% o al 21%; ma la frammentazione risulta ancor più significativa ed estesa, laddove l’imposizione sostitutiva trova applicazioni eccentriche anche in tema di redditi di lavoro dipendente, pensioni e lavoro autonomo.
L’eterogeneità delle aliquote proporzionali applicabili ai redditi sottratti alla progressività frustra una importante caratteristica del modello duale che, dovrebbe assoggettare tutti i redditi da capitale finanziario e immobiliare a un’aliquota sostitutiva uniforme e corrispondente all’aliquota più bassa della tassazione progressiva sui redditi da lavoro.
Sul piano storico evolutivo va evidenziato che il sistema italiano con la grande riforma degli anni 70 si era caratterizzato come modello CIT imperfetto, in quanto a fronte di un sistema decisamente incentrato sulla progressività (ex art. 53 Cost.), presentava importanti deroghe per i redditi da capitale (v. i vari contributi editi in AA.VV., Il progetto della riforma tributaria della Commissione Cosciani cinquant’anni dopo cit., e specificamente R. RINALDI, Contributo allo studio dei redditi da capitale, Milano 1989, 74 ss.).
Dopo 25 anni di interventi frammentari che hanno indebolito il modello CIT ed attenuato la progressività si è poi tentata una razionalizzazione mediante l’introduzione di una Dual Incom Tax. Riforma Visco, 1996/1997. Al riguardo si rammenta che nell’ambito della Roforma Visco del 1996/1997 il D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 466, recante il “riordino delle imposte sui redditi al fine di favorire la capitalizzazione delle imprese” aveva inserito nella legislazione italiana lo strumento della Dual Income Tax che puntava ad agevolare, dal punto di vista impositivo, l’impiego del capitale proprio (la DIT italiana è stata poi abrogata nel 2003). Tuttavia, a differenza delle esperienze maturate nei Paesi nord Europei, il cui scopo era di affinare una forma di prelievo sulle imprese quanto più neutrale possibile, la DIT italiana mirava a orientare le scelte degli operatori. Tale finalità era chiaramente esplicitata nella delega normativa di cui all’art. 3, comma 162, della Legge 23 dicembre 1996, n. 662. Il beneficio fiscale, infatti, era riconosciuto alle sole imprese che avessero incrementato il capitale proprio investito, a decorrere dal 1996. Per quanto atteneva alla struttura delle aliquote, la DIT prevedeva un’aliquota agevolata pari al 19% sulla remunerazione normale del capitale e un’aliquota al 37% sul restante sovraprofitto, aliquota ordinaria IRPEG (per un inquadramento teorico e storico evolutivo del principio di progressività v. L. CARPENTIERI, L’illusione della progressività, Roma, 2013).
A partire dal 2003, abolita la DIT, la disgregazione del sistema di tassazione dei redditi è stata lenta, ma inesorabile; sono state introdotte molteplici forme di tassazione cedolare, è stata attenuata la progressività, sono state accentuate le peculiarità dei redditi di categoria rispetto al reddito complessivo ecc.; nell’ultimo decennio -come si avrà modo di evidenziare- la frammentazione dell’imposizione personale sui redditi ha privato il sistema di qualsivoglia coerenza sistematica. Per cogliere la dimensione dei regimi sostitutivi si considerino anche: l’imposta sostitutiva sui concorsi pronostici e sulle scommesse; l’imposta sostitutiva sui proventi derivanti da attività di noleggio occasionale di imbarcazioni e navi da diporto; il regime sostitutivo per i docenti che effettuano lezioni private; l’imposta sostitutiva per la raccolta occasionale di funghi; il regime sostitutivo per le vendite infra quinquennali di immobili; le molteplici e variegate imposte sostitutive per la rivalutazione di terreni, fabbricati e partecipazioni.
I fenomeni distorsivi più gravi verranno evidenziati contrapponendo la tassazione ordinaria, secondo la classica progressività, e la tassazione sostitutiva di favore, secondo aliquote proporzionali, con l’obiettivo di dimostrare l’irrazionalità del sistema, sul quale è ormai indispensabile intervenire per recuperare coerenza ed equità.
Si condividono appieno le osservazioni, alquanto ricorrenti nel ventaglio delle 61 audizioni, secondo cui «non vi sono dubbi che la tassazione diretta sia oggi particolarmente disorganica e appaia criticabile sia sul piano dell’efficienza che su quello dell’equità. Come è stato sottolineato più volte, gran parte delle criticità sono riconducibili alla sottrazione alla progressività dell’Irpef di significative componenti reddituali attraverso il proliferare di regimi di esenzione, di agevolazione o di tassazione sostitutiva. Un tema prioritario da affrontare in un percorso di riforma è quindi stabilire quali redditi debbano essere ricondotti nell’ambito della progressività e quali invece debbano restarne esclusi. Credo sia opportuno sottolineare come questa questione debba essere affrontata qualsiasi siano le forme e il grado della progressività dell’Irpef. Anche nel caso di una flat tax ad aliquota unica, l’imposta dovrà essere resa progressiva attraverso l’utilizzo di deduzioni o detrazioni» (ARACHI, 1).
Ed invero anche la Commissione parlamentare riconosce la crisi dell’Irpef dovuta ad una elevata frammentazione delle tipologie di reddito che sono sottoposte a diversi regimi sostitutivi quasi mai tra di loro correlati, con una molteplicità di trattamenti fiscali soggetti ad aliquota proporzionale, tutti differenti tra loro, accanto a un’imposta progressiva sui redditi di lavoro (soprattutto dipendente) e sulle pensioni. Questa situazione è una delle principali fonti d’incertezza e complessità del nostro sistema tributario, determinandone la natura sostanzialmente ibrida rispetto ai modelli teorici d’imposizione sul reddito e alimentando asistematicità e precarietà del quadro complessivo, disuguaglianza, inefficienza, disincentivi al lavoro e ostacoli alla produzione. La crescente estensione dei regimi di tassazione sostitutiva infatti determina un carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito, generando una violazione del principio di equità orizzontale e incidendo negativamente sulla capacità redistributiva dell’imposta, anche in considerazione della mancata applicazione a tali redditi delle addizionali comunali e regionali (così il Documento Comm. Finanze e Tesoro cit., 11; in senso analogo: Assonime cit., 1-4, 10-11; CNEL cit., 2 ss.; D. STEVANATO cit., 3 ss; L. CARPENTIERI cit., 5-7; Associazione nazionale tributaristi italiani cit., 18 ss,; Al riguardo la dottrina risulta alquanto univoca, v. ad es. da L. CARPENTIERI, L’illusione della progressività cit, a F. FARRI, Spunti di riflessione in tema di riforma dell’imposizione personale sul reddito e principi costituzionali, in Riv. tel. Dir. Trib., 2021, 21 maggio 2021, 1 ss.).
Germania, Francia e Polonia applicano una tassazione sostitutiva con aliquote rispettivamente del 30,5%, del 30% e del 19%). In Spagna si applica una tassazione sostitutiva progressiva, ma con un meccanismo di progressività più contenuta, dal 19% al 23%. Nel Regno Unito i redditi da interessi confluiscono nell’imposta personale sul reddito, mentre ai dividendi si applica un’imposta sostitutiva progressiva.
In Italia, nel 2020 il gettito totale dell’imposta sostitutiva del 26% sui redditi di natura finanziaria, ovvero dei redditi di capitale e redditi diversi originati dall’investimento in strumenti finanziari, è stato di circa 11,3 miliardi di euro15.
La base imponibile corrispondente, sottratta alla progressività dell’Irpef è stata di circa 43 miliardi di euro.
Si tratta di dati ufficiali (Direttore Generale delle Finanze- MEF cit., 15), che non considerano le entrate derivanti dall’imposta sostitutiva sui titoli di stato e sui buoni fruttiferi postali e quelle derivanti dall’imposta sostitutiva applicata al risultato netto maturato dei fondi pensione che hanno aliquote diverse (12,5% sui titoli di stato, 20% sul risultato netto di gestione dei fondi pensione).
Comunque, tutti i redditi da capitale cui si è fatto riferimento sono sottoposti a forme di tassazione sostitutiva proporzionale e sono sottratti al sistema del redito complessivo Irpef tassato con aliquota progressiva.
In generale, l’aliquota implicita di tassazione sul capitale è in Italia il 29,2%, contro la media europea del 23% (Documento Comm. Finanze e Tesoro cit., 5. Anche nelle audizioni di G. CORASANITI cit., 22 ss., Assogestioni, M. LEO cit., 13 e G. MELIS cit., 3 e 29, si evidenziano molteplici profili tali da rendere meno significativo di quanto appaia il favor per la tassazione dei redditi di capitale).
A fronte di tale quadro generale, dai lavori della Commissione parlamentare emerge la consapevolezza che le «decisioni relative alla tassazione dei redditi di natura finanziaria sono cruciali per la crescita economica» (Documento Comm. Finanze e Tesoro cit., 17; sul piano teorico v. R. RINALDI, Contributo allo studio dei redditi da capitale cit., 10 ss.; G. CORASANITI, Diritto tributario delle attività finanziarie cit.; A. MARINELLO, Redditi di capitale e redditi diversi di natura finanziaria cit.).
La Commissione, sulla base delle audizioni svolte, ha poi ben percepito che “mentre i redditi da capitale sono tassati al lordo (sia delle spese sia delle minusvalenze), i redditi diversi di natura finanziaria sono tassati al netto di entrambe le componenti... Questa situazione genera notevoli distorsioni che pregiudicano l’efficienza del mercato dei capitali e non sono coerenti con un’impostazione pro crescita.. si corre il rischio d’incentivare comportamenti elusivi, come l’utilizzo di derivati, per trasformare i redditi da capitale in plusvalenze, a cui il contribuente può applicare minusvalenze, pagando così meno tasse di quanto avrebbe altrimenti fatto. Infine, la situazione vigente incentiva implicitamente gli investimenti privi di rischio (quelli che proteggono il capitale da possibili minusvalenze ma che lo remunerano con un interesse modesto ma ragionevolmente sicuro), quando invece un’impostazione pro-crescita dovrebbe quantomeno essere neutrale rispetto a investimenti maggiormente in grado di convogliare il risparmio privato nell’economia reale” (per le audizioni v. in particolare: Assonime cit., 6; G. CORASANITI cit.; Assogestioni cit.; Consiglio nazionale dottori commercialisti ed esperti contabili cit., ed All. 1; M. BASILAVECCHIA cit., 5).
La Commissione ritiene quindi che “sia importante considerare un pacchetto organico che includa i seguenti interventi: – l’accorpamento delle categorie «redditi da capitale» e «redditi diversi» in un’unica categoria denominata «redditi finanziari», prevedendo contestualmente gli opportuni presidi per evitare elusioni attraverso la realizzazione strumentale di minusvalenze (Documento Comm. Finanze e Tesoro cit., 18-19).
Viceversa la Commissione ha escluso a priori ogni possibile percorso per il recupero della tassazione progressiva di tali redditi secondo il modello della CIT, propugnando con estrema convinzione l’opzione per il modello duale (sul recupero della progressività nella tassazione dei redditi di capitale, sia pure in forma leggera e graduale, v l’audizione OCSE, 1, 7 – 8; V. VISCO cit.; per la dottrina, da ultimo, v. F. FARRI, Spunti di riflessione in tema di riforma dell’imposizione personale sul reddito cit., 5.).
L’aliquota è pari al 15% (5% per i primi cinque anni di attività); inoltre non si applicano Irap, Iva e addizionali Irpef.
Complessivamente risulta interessato circa un milione di contribuenti e la base imponibile dei regimi di vantaggio sottratta all’Irpef ordinaria nel 2018 è di circa 9,7 miliardi di euro. A partire dal 2019, con l’aumento a 65.000 euro della soglia massima di ricavi, il numero dei soggetti che aderiranno al regime di vantaggio e i redditi sottratti all’imposizione Irpef sono destinati ad aumentare significativamente.
Nell’audizione del Direttore Generale delle Finanze- MEF il regime forfettario in questione viene riferito al reddito di lavoro autonomo, privilegiandosi un approccio economico che giustifica l’accorpamento dei redditi delle piccole imprese ai redditi di lavoro autonomo, laddove invece, sul piano giuridico la distinzione risulta importante e va quindi evidenziata l’applicabilità del regime in questione anche nel settore del reddito d’impresa (come risulta dalle audizioni del Fondo Monetario Internazionale e dell’OCSE che, al contrario, tendono a ricondurre il tutto all’area della piccole e medie imprese- SME).
A prescindere dai più generali profili critici sul piano della compatibilità Unionale e della legittimità costituzionale, ai nostri fini la sottrazione alla progressività dell’imposta è assai discutibile sul piano dell’equità orizzontale, considerando che soggetti che percepiscono redditi dello stesso ammontare e di altra natura, quali lavoro dipendente o pensione, subiscono un livello di tassazione superiore.
Il regime è stato introdotto principalmente al fine di incentivare le attività produttive mediante la semplificazione degli adempimenti fiscali, tenendo conto che assorbe anche Irap e Iva e addizionali Irpef.
Tuttavia gli effetti perversi e distorsivi di tale regime forfettario sono molteplici e rilevanti:
-non si applica ai redditi d’impresa e di lavoro autonomo derivanti dalla partecipazione in società, associazioni ecc.; quindi svantaggia le forme aggregative, indebolisce l’evoluzione strutturale ed organizzativa, accentua la polverizzazione del tessuto produttivo italiano.
-è caratterizzato da rigide norme antielusive, che ad es. in presenza di titolarità di quote societarie, preclude l’accesso al regime di favore, ancorché vi sia un reddito ammissibile dal punto di vista quantitativo e riferibile all’attività individualmente svolta dal contribuente;
-crea una disparità sul piano concorrenziale con le altre attività produttive sottoposte a regime ordinario, laddove si spinge addirittura ad esonerare i contribuenti beneficiati anche dall’applicazione dell’Irap e delle addizionali;
-crea distorsioni della concorrenza anche di dubbia legittimità dal punto di vista dell’esonero da IVA, soprattutto ove si consideri l’alterazione delle regole nel mercato unico europeo;
-disincentiva lo sviluppo delle attività produttive oltre i limiti quantitativi beneficiati, in quanto il superamento non comporta la tassazione ordinaria pro – quota, ma il venir meno del regime tout court (sia pure nell’anno successivo);
-favorisce, per le stesse, ragioni, la frammentazione delle attività produttive;
-disincentiva ai fini della regolarità fiscale dei costi di acquisizione di beni e servizi strumentali, stante appunto la forfettizzazione;
-favorisce la precarizzazione, nelle forme del lavoro autonomo, dell’artigiano o del piccolo imprenditore, rispetto alla stabilizzazione del rapporto di lavoro dipendente presso entità più strutturate;
-non costituisce affatto un esempio di Irpef strutturata quale flat tax (che dovrebbe riguardare tutti i redditi, di ogni categoria), ma un mero regime forfettario riservato ad alcune categorie di reddito, con ricadute demagogiche tali da impantanare il dibattito scientifico sulla vera flat tax in una confusa narrazione e polemica politica (per la dimensione scientifica del tema v. D. STEVANATO, Dalla crisi dell’Irpef alla flat tax e N. ROSSI, Flat tax. Aliquota unica e minimo vitale per un fisco semplice ed equo cit.).
In via di estrema sintesi regimi sostitutivi del genere «derogano in modo clamoroso l’equità orizzontale dell’Irpef, favorendo il sottodimensionamento delle attività economiche (il c.d. “nanismo”) e la propensione all’evasione» (Assonime cit., 3; per una critica di fondo v. per tutti AA.VV., Il sistema tributario ai tempi della flat tax, a cura di C. Buzzacchi, Milano 2020).
Quasi tutte le audizioni risultano estremamente critiche al riguardo, sia pure con motivazioni variegate (v. ad es.: Direttore Generale delle Finanze- MEF; Fondo Monetario Internazionale cit., 8-9, 11; OCSE, 7; Assonime cit., 1, 3; CNEL cit., 24-24; D. STEVANATO cit., 5, 8 12; L. CARPENTIERI cit., 5-7, 12; Associazione nazionale tributaristi italiani cit., 15 ss.; Consiglio nazionale dottori commercialisti ed esperti contabili cit., 6 ed All. 1 e 2; Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro cit. 27 ss.; ARACHI cit., 8; S. PELLEGRINO cit., 11; Confindustria cit., 6 ss.; C. COTTARELLI cit., 4 ss.; Agenzia delle entrate cit., 16). Viceversa, alcuni tendono a giustificare il regime in base ad una valutazione complessiva e sostanziale del meccanismo di tassazione forfettaria sotto il profilo delle componenti negative, delle deduzioni e delle detrazioni (G. MELIS cit., 31 ss.); ed altri si esprimono decisamente a favore della misura, proponendone l’estensione ai redditi di lavoro autonomo prodotti in forma associata (M. LEO cit., 12; profilo critico evidenziato anche nelle audizioni del Consiglio nazionale dottori commercialisti ed esperti contabili e del Consiglio nazionale dell'ordine dei consulenti del lavoro).
Nonostante l’iniquità di tale regime e gli indirizzi avversi emergenti dalle audizioni, il Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva, evidenzia che «la Commissione ritiene opportuno che il sistema fiscale italiano conservi un regime agevolato e semplificato per le piccolissime imprese e i lavoratori autonomi…»; tuttavia lo stesso Documento riconoscere poi che «l’attuale assetto del regime forfettario finisce con l’inibire la crescita dimensionale delle piccole imprese, il che contrasta con l’obiettivo fondamentale della riforma, vale a dire la promozione della crescita economica», giungendo infine ad evocare «l’introduzione di un regime transitorio che accompagni il contribuente verso la transizione al regime ordinario di tassazione» (Documento Comm. Finanze e Tesoro cit., 15, e più in generale 11).
Gli interventi di riforma collocati nella legge di stabilità 2023 confermano ed aggravano il quadro preesistente, essendo ispirati da una logica di fondo di rafforzamento ed estensione dei regimi sostitutivi.
Si pensi alla tassazione sostitutiva al 10%, entro certi limiti di importo e di reddito, dei premi di produttività aziendale erogati ai lavoratori dipendenti.
Per l’anno d’imposta 2018 la quota di retribuzione sottratta all’ordinaria applicazione dell’Irpef rappresentata dai premi di produttività ha interessato circa 2,2 milioni di soggetti (+2,9% rispetto al 2017) per un ammontare di circa 2,9 miliardi di euro (+8,4% rispetto al 2017), di cui circa 237 milioni di euro erogati sotto forma di benefit e di welfare aziendale (Direttore Generale delle Finanze- MEF cit., 21).
L’importo complessivo relativo al mancato gettito stimato per il 2021 è di circa 580 milioni di euro (Commissione per le spese fiscali MEF- Rapporto annuale sulle spese fiscali, 2020)
Ma il settore che contempla regimi di favore più dirompenti è quello dei neo residenti.
Un primo regime riguarda i neo residenti ad alta redditualità di cui all’art. 24 bis del TUIR.
Costoro hanno diritto all’applicazione di un’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero, di qualunque categoria, calcolata in via forfetaria nella misura di 100.000 euro per ciascun periodo d’imposta in cui risulta valida l’opzione, di norma decennale; i redditi prodotti in Italia restano tuttavia tassabili in via ordinaria.
Nel 2018, sono stati 226 i soggetti che hanno aderito a tale regime, versando circa 21 milioni di euro. Complessivamente l’importo del mancato gettito stimato per il 2021, relativamente alle misure concernenti i trasferimenti dall’estero, è di 278 milioni di euro (Rapporto annuale sulle spese fiscali cit.).
Un secondo regime è stato introdotto originariamente per il c.d. rientro dei cervelli, ma è stato poi ampliato a dismisura in modo tale da favorire genericamente i neo residenti.
Sulla base di norme speciali, non collocate all’interno del TUIR, i contribuenti che decidono di trasferire la propria residenza in Italia possono accedere principalmente a due diversi regimi di tassazione agevolata: quello c.d. per “docenti e ricercatori”, vigente dal 2017, e quello c.d. per “impatriati”, apparentemente relativo a coloro che rientrano in Italia, ma in realtà applicabile in modo estremamente ampio, al di là dei limiti inizialmente previsti (v. ad es. art. 44, D. L. 31 maggio 2010, n. 78, conv. L. 30 luglio 2010, n. 122; art. 16, D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 147).
I regimi sono estremamente complessi e dettagliati, ma di massima i beneficiari possono contare su una tassazione ridotta del reddito imponibile, variabile dal 50% sino al massimo della riduzione al 10% del reddito effettivo, con le normali aliquote progressive dell’Irpef, per un periodo variabile da 5 a 10 anni (a seconda della composizione dei nuclei familiari, della localizzazione della residenza in specifiche aree ecc.).
Per quanto riguarda il 2018 il regime “dei docenti e ricercatori”, i soggetti interessati sono stati oltre 1.646 per un ammontare di 196 milioni di euro, (per un reddito lordo medio di 119.053 euro), mentre il regime dei c.d. impatriati ha interessato oltre 6.945 soggetti per un ammontare di 801 milioni di euro (Direttore Generale delle Finanze- MEF cit., 21).
Queste agevolazioni sono state introdotte per superare un deficit strutturale del nostro Paese, incapace di creare un ambiente favorevole allo svolgimento ottimale delle attività di ricerca scientifica e in generale delle attività utili allo sviluppo delle conoscenze, e riguardavano, inizialmente, solo le “eccellenze” del mondo del lavoro, con benefici limitati nel tempo.
Peraltro, i successivi interventi normativi hanno finito per agevolare qualsiasi genere di contribuente, anche non qualificato. La circostanza più dirompente rispetto alla coerenza sistematica dell’Irpef è che il regime di favore dei c.d. impatriati è stato reso applicabile alle persone fisiche esercenti attività d’impresa, di lavoro autonomo e di lavoro dipendente.
Infine, la legge di bilancio per il 2019 ha introdotto nel TUIR, art. 24 ter, una tassazione sostitutiva, per cinque anni, al 7% dei redditi di fonte estera, di qualsiasi categoria, in favore dei pensionati che avevano la residenza fuori dall’Italia negli ultimi 5 anni e che decidono di riportare la residenza in un piccolo comune del Sud (con meno di 20.000 abitanti); i redditi prodotti in Italia restano tuttavia tassabili in via ordinaria.
A prescindere dai più generali profili critici sul piano della compatibilità Unionale e della legittimità costituzionale, dal punto di vista della coerenza complessiva dell’Irpef, questi regimi agevolativi contribuiscono a complicare il sistema, aggiungendo eccezioni, riducono la portata redistributiva dell’Irpef e frustrano l’equità orizzontale in quanto soggetti con livelli di reddito uguali sono tassati ad aliquote differenti (v. criticamente D. STEVANATO, Il regime fiscale dei “neo-residenti” come agevolazione selettiva in conflitto con principi costituzionali e regole europee, in Nov. Fiscali, 2020, 435; L. PEVERINI, Sulla legittimità costituzionale dell’art. 24 bis Tuir e sulla possibilità di differenziare il concorso alle spese pubbliche da parte dei residenti in funzione del grado di collegamento con il territorio, in Riv. dir. trib., 2019, 683; F. FARRI, Spunti di riflessione in tema di riforma dell’imposizione personale sul reddito cit., 6.).
Quasi tutte le audizioni risultano estremamente critiche al riguardo, sia pure con motivazioni variegate (v. ad es.: Direttore Generale delle Finanze- MEF; D. STEVANATO cit., 8, 12; L. CARPENTIERI cit., 12; degna di nota la dissonante audizione di G. MELIS cit, 31 ss, laddove questi regimi vengono criticati sul piano dell’equità e della neutralità dell’imposta, ma in definitiva risultano pienamente giustificati sul piano agevolativo e della concorrenza fiscale tra Stati).
Purtroppo, la Commissione parlamentare ha evitato di prendere specifica posizione in merito.
La rilevanza figurativa dei valori catastali ed il mancato aggiornamento del catasto, secondo criteri di effettività, hanno gradualmente trasformato la tassazione dei redditi fondiari in un regime sostanzialmente e marcatamente di favore.
Rispetto alle altre categorie reddituali, per i redditi fondiari l’imponibile assoggettato a tassazione non è il reddito effettivamente prodotto, bensì – il reddito medio ordinario, forfettario e figurativo.
Le tipologie economicamente più significative dei redditi dei fabbricati sarebbero in astratto sottoposte a tassazione secondo il criterio dell’imponibile effettivo, ma godono ormai da tempo del peculiare beneficio della c.d. cedolare (v. infra).
I redditi derivanti dall’esercizio dell’agricoltura, in quanto riferibili alle persone fisiche, danno tradizionalmente luogo a reddito agrario tassabile secondo criteri medi ordinari, forfettari e figurativi e non su base effettiva ed analitica. Ma ormai da tempo tale beneficio è stato esteso anche alle varie forme di società di persone, alle società a responsabilità limitata ed alle società cooperative che, ove rivestono la qualifica di società agricola, possono optare per la tassazione su base catastale in alternativa al regime analitico del reddito d’impresa (art. 1, comma 1093, legge 27 dicembre 2006, n. 296).
Pertanto tutto il sistema dei redditi fondiari risulta sostanzialmente sottratto al modello CIT, godendo di fatto di un regime di notevole favore (non adeguatamente percepito nel Documento Comm. Finanze e Tesoro cit.; quanto alle audizioni v. invece gli spunti critici di: M. BASILAVECCHIA, cit. 7; Assonime cit., 5; L. CARPENTIERI cit. 25; P. LIBERATI cit. 14-15; presta attenzione al reddito agrario anche M. LEO cit., 14, ma non in ottica critica, bensì di ampliamento della categoria; l’eccesso di favor è reso palese dalla nota vicenda della previsione del regime catastale di determinazione del reddito agrario alla panificazione da parte degli imprenditori agricoli: il TAR Lazio, con sentenza 19 marzo 2021, n. 4916, ha dichiarato illegittimi i D.M. 5 agosto 2010 e 17 giugno 2011, che avevano esteso la determinazione catastale, in violazione della normativa interna ed Unionale – v. C. LOLLIO, Il regime fiscale dell’attività di panificazione dell’imprenditore agricolo al vaglio del giudice amministrativo, in Riv. Dir. Trib. Int., 2022, 122).
Purtroppo, la Commissione parlamentare ha evitato di prendere specifica posizione sull’eccesso di favor per i redditi fondiari.
E’ opportuno chiarire che l’art. 6 dell’abortito disegno di legge delega per la riforma fiscale, recante princìpi e criteri direttivi specifici finalizzati alla modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e alla revisione del catasto dei fabbricati, risultava del tutto avulso dai temi tributari qui criticamente considerati.
Al riguardo è interessante riprendere la Relazione del Ministro Franco laddove delinea le direttrici della delega: -la modifica della disciplina relativa al sistema di rilevazione catastale degli immobili, prevedendo strumenti da porre a disposizione dei comuni e all’Agenzia delle Entrate per facilitare e accelerare l’individuazione degli immobili non censiti o che non rispettano l’effettiva e reale consistenza o la relativa destinazione d’uso e degli immobili abusivi; -l’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati, in tutto il territorio nazionale, da rendere disponibile a decorrere dal 1° gennaio 2026. Anche i princìpi e criteri direttivi da seguire nell’esercizio della delega risultavano centrati sui soli profili tecnico catastali, ed addirittura erano espliciti nell’evitare qualsivoglia ricaduta tributaria, contemplando: a) la previsione che le informazioni rilevate secondo i princìpi sopra indicati non siano utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali e, comunque, per finalità fiscali; b) l’attribuzione, per ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, del relativo valore patrimoniale e della rendita attualizzata sulla base, ove possibile, dei valori normali di mercato; c) la previsione di meccanismi di adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alle modificazioni delle condizioni di mercato di riferimento e comunque non al di sopra del valore di mercato; d) la previsione di adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario per le unità immobiliari riconosciute di particolare interesse storico e artistico, in considerazione dei particolari e più gravosi oneri di manutenzione e conservazione nonché dei complessi vincoli legislativi alla destinazione, all’utilizzo, alla circolazione giuridica e al restauro (sul tema v. per tutti G. SELCATO – A. PARENTE, La “riforma del catasto fabbricati” nella recente proposta di delega per la revisione del sistema fiscale: linee di sviluppo e criticità, in Riv. tel. Dir. Trib., 16 dicembre 2021).
Si tratta di un’imposta sostitutiva dell’Irpef, opzionale ed applicabile ai redditi da fabbricati ad uso abitativo dati in locazione, con aliquote del 21% e del 10%.
Come evidenziato dal MEF, nel 2018 l’agevolazione ha interessato 2,6 milioni di soggetti, la quota di reddito sottratta all’Irpef ordinaria è risultata pari a 15,7 miliardi di euro, (+9% rispetto al 2017) e l’imposta sostitutiva ha generato un gettito di 2,8 miliardi di euro (Direttore Generale delle Finanze- MEF cit., 18.).
Per il triennio 2021-2023, le minori entrate Irpef riconducibili a questa agevolazione sono stimate in misura pari a 5,1 miliardi di euro, con un effetto negativo complessivo, calcolato al netto del gettito dell’imposta sostitutiva, pari a 2,3 miliardi di euro su base annua (Rapporto annuale sulle spese fiscali cit.).
L’esclusione dei redditi da fabbricati ad uso abitativo dalla progressività dell’Irpef determina una diminuzione della portata redistributiva dell’imposta ed effetti negativi sull’equità orizzontale, in quanto redditi di uguale ammontare ma di altra natura, quali il reddito da lavoro dipendente e le pensioni, inclusi nella base imponibile Irpef, sono assoggettati ad aliquota progressiva superiore (Direttore Generale delle Finanze- MEF cit., 19).
Sul piano delle politiche economiche alla base della tassazione cedolare, in luogo di quella progressiva, vi era il duplice obiettivo di indurre l’emersione di una base imponibile largamente evasa e di calmierare i canoni di locazione nei comuni ad alta intensità abitativa, riducendo il cuneo fiscale; la ratio teorica dell’introduzione della cedolare era più in generale fondata sulla relazione positiva tra aliquota d’imposta ed evasione fiscale.
Tuttavia, nel complesso, alla luce dei risultati, è stato evidenziato che l’effetto positivo dell’introduzione della cedolare in termini di emersione non è stato sufficiente a compensare gli effetti negativi riconducibili alla riduzione del gettito Irpef, alla mancata applicazione delle addizionali locali e all’esenzione dal pagamento delle imposte indirette sugli affari (Direttore Generale delle Finanze- MEF cit., 19; conf. C. FIORIO cit. 16 ss.; CNEL cit., 14 ss;, 7; sul favor per la fiscalità immobiliare v. altresì criticamente Assonime cit., 5; L. CARPENTIERI cit., 25; S. PELLEGRINO cit., 11; Confindustria cit., 6 ss.; C. COTTARELLI cit., 5 ss.; più tenuamente ARACHI cit. 7; degne di nota le diverse posizioni di G. MELIS cit. 27 ss, e M. LEO cit., 14, sulla cedolare; v. infine lo specifico e settoriale punto di vista di Confedilizia cit.).
Purtroppo, la Commissione parlamentare ha evitato di prendere specifica posizione in merito. Inoltre nel dibattito politico – istituzionale che sta caratterizzando l’esordio della XIX legislatura emerge la tendenza ad ampliare l’ambito di applicazione della cedolare secca.
E’ utile riflettere su alcuni aspetti di fondo, che presentano profili di interesse ed attualità anche nella prospettiva della XIX legislatura, soprattutto dal punto di vista scientifico ed istituzionale dell’evoluzione dell’Irpef, considerando il patrimonio di conoscenze ed opinioni delle 61 audizioni parlamentari e del Documento elaborato dalla Commissione parlamentare.
Gli obiettivi fondamentali della delega erano: -la crescita dell’economia, attraverso l’aumento dell’efficienza della struttura delle imposte e la riduzione del carico fiscale sui redditi derivanti dall’impiego dei fattori di produzione; -la razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario, preservandone la progressività, da attuare anche attraverso la riduzione degli adempimenti a carico dei contribuenti e l’eliminazione dei cosiddetti micro-tributi, con gettito trascurabile per l’Erario; -la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale (art. 1, comma 1).
A prescindere dai ricorrenti e tralatici buoni propositi, spiccano:
- «la riduzione del carico fiscale sui redditi derivanti dall’impiego dei fattori di produzione», come richiedono da anni le istituzioni internazionali (audizioni: OCSE, 1; L. CARPENTIERI, 9; CGIL, CISL e UIL; più in generale European Commission, Tax Reforms in EU Member States, European Economy, 2011, 6; International Monetary Fund, 2019; OECD, Taxing wages, Paris, 2020);
- «la razionalizzazione e semplificazione del sistema tributario, preservandone la progressività», in conformità al fondamentale criterio ispiratore del sistema tributario ex art. 53 Cost., che poi viene ribadito anche a proposito dell’Irpef (sulla diffusa consapevolezza della centralità del principio di progressività nell’ambito dei valori costituzionali v. L. CARPENTIERI, L’illusione della progressività cit., e da ultimo F. FARRI, Spunti di riflessione in tema di riforma dell’imposizione personale sul reddito cit.).
Più specificamente per l’Irpef l’art. 2 prevede quali princìpi e criteri direttivi:
-la progressiva evoluzione del sistema attuale verso un modello di tassazione duale, che preveda l’applicazione della medesima aliquota proporzionale di tassazione sia sui redditi derivanti dall’impiego del capitale (anche nel mercato immobiliare), sia sui redditi direttamente derivanti dall’impiego del capitale nelle attività di impresa e di lavoro autonomo svolte da soggetti diversi da quelli a cui si applica l’Ires (comma 1, lett. a), punto 1);
- per gli altri redditi (cioè quelli non interessati dall’aliquota proporzionale del modello duale) la revisione deve garantire il rispetto del principio di progressività dell’Irpef, nonché la graduale riduzione delle aliquote medie effettive derivanti dalla sua applicazione, peculiarmente per incentivare l’offerta di lavoro e la partecipazione al mercato del lavoro da parte dei giovani e dei secondi percettori di reddito, nonché per promuovere l’attività imprenditoriale e l’emersione degli imponibili; la revisione deve inoltre, assicurare la riduzione graduale delle variazioni eccessive delle aliquote marginali effettive (comma 1, lett. b, punti 1 e 2; il comma 2 precisa poi che per aliquote medie e marginali effettive si intendono quelle derivanti dall’applicazione dell’Irpef senza tenere conto dei regimi sostitutivi e delle detrazioni diverse da quelle per tipo di reddito. Dal punto di vista delle politiche economiche e tributarie il dibattito sulla progressività e sulle aliquote risulta spesso caratterizzato da forte connotazioni valoriali. V. VISCO, Promemoria per una riforma fiscale (a Briefing for a Tax System), in Pol. Econ., 2019, 144, propone l’innalzamento delle aliquote massime, richiamando studi sull’aliquota ottimale del 73%; conf., sia pure con varie sfumature, CGIL cit., 6, CISL cit. e UIL cit.. Contra P. LIBERATI, Promemoria per una riforma fiscale: discussione e replica dell’autore, ibidem, 405; M. BORDIGNON cit., 32; M. Baldini cit., 1 ss.; CNEL cit., 7);
-il riordino delle deduzioni e delle detrazioni, tenendo conto della loro finalità e dei loro effetti sul piano dell’equità e dell’efficienza dell’imposta (comma 1, lett. c);
- l’armonizzazione dei regimi di tassazione del risparmio, al fine di contenere gli spazi di elusione (comma 1, lett. d).
I futuri assetti concreti e specifici risultano imperscrutabili, stante la vaga formulazione della delega, emerge comunque una opzione di fondo a favore del modello duale, sia pure con la conservazione di una parte del tributo ancora ispirata dal tradizionale modello della Comprehensive Income Tax, come si desume anche dalla Relazione del Ministro Franco e dalla relazione tecnica, in sintonia con le conclusioni della Commissione parlamentare e con la maggior parte delle audizioni (Fondo monetario internazionale; OCSE; Assofondipensione; M. BASILAVECCHIA; P. Profeta; Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro; Assonime; Assogestioni; R. LUPI; L. CARPENTIERI; G. CORASANITI, G. MELIS; C. Fiorio; Associazione nazionale tributaristi italiani; CNDCEC; Confedilizia; CNEL. P. LIBERATI; G. ARACHI; M. Baldini; Confcommercio; Confesercenti; Confindustria; C. COTTARELLI; Corte dei conti; M. BORDIGNON; M. LEO; D. STEVANATO; Banca d'Italia).
Le linee guida di una ipotetica riforma esprimono quindi un trend di riassorbimento dei regimi privilegiati attualmente esistenti (per redditi di capitale, redditi fondiari e redditi di lavoro autonomo e di impresa) nel sistema duale di tassazione proporzionale della componente capitale (La Commissione parlamentare, in linea con quanto emerge da gran parte delle audizioni, ha osservato che «anche se ricondurre il sistema italiano al modello CIT (a cui il nostro sistema non si è mai pienamente non si è mai pienamente conformato neanche nelle fasi iniziali) avrebbe indubbi vantaggi in termini di equità orizzontale, tale opzione presenta numerose conseguenze di tipo economico e politico, in quanto implicherebbe l’incremento anche sostanziale della tassazione su diverse categorie reddituali. Pertanto, la Commissione concorda che il sistema di imposizione sul reddito dovrebbe evolvere verso un modello tendenzialmente duale, in cui il livello delle aliquote sui redditi da capitale (nonché dei regimi sostitutivi cedolari) sia sufficientemente prossimo all’aliquota applicata al primo scaglione IRPEF…» (Documento cit. 11-12).
Collateralmente emerge la tendenza a salvaguardare la progressività per gli altri redditi (e certamente in primo luogo i redditi di lavoro dipendente, cui si affiancheranno quelli di lavoro autonomo e di impresa a scarsa intensità di capitale), sia pure con una ulteriore revisione e riduzione delle aliquote, al fine di incentivare l’ingresso sul mercato del lavoro dei giovani e dei secondi percettori di reddito (lavoro femminile), nonché di promuovere l’attività imprenditoriale. Obiettivi questi che sembrerebbero ermeticamente concepiti per riassorbire i regimi forfettari per lavoratori autonomi ed imprenditori, come del resto richiede la Commissione parlamentare nel Documento conclusivo dell’indagine conoscitiva (Documento cit. 15.).
In tal modo la contrapposizione ideologica tra modello della Comprehensive Income Tax e modello della Flat tax risulterebbe ricomposta in modello duale, allo stato appena tratteggiato eppure probabilmente tale assicurare un apprezzabile equilibrio al sistema dell’Irpef. Ma ovviamente tutto sta nei dettagli attuativi, per cui in ragione della palese carenza dei principi e criteri direttivi, non è possibile andare oltre qualche spunto intuitivo.
Suscita invece profonde perplessità la scelta del disegno di legge delega di disattendere l’indirizzo della Commissione parlamentare favorevole all’accorpamento dei redditi da capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria nell’unica categoria dei redditi finanziari, intendendosi limitare l’intervento ad una mera armonizzazione per contenere l’elusione.
Certo è che i lavori parlamentari svolti nella XVIII legislatura potranno costituire un punto di riferimento per l’ulteriore dibattito sulla riforma dell’Irpef, ormai improcrastinabile.
Su base scientifica è evidente che sia il modello CIT, sia il modello DIT, sia infine il modello della Flat tax hanno degli innegabili punti di forza e di debolezza, ma di certo l’Irpef italiana si discosta da qualsivoglia modello, avendo perso coerenza sistematica, in un contesto non dissimile da quello di altri Paesi Europei, in cui l’imposta personale sul reddito ha subito analoghe involuzioni (sia pure in misura minore).
La criticità della situazione italiana è dovuta essenzialmente all’egemonia del potere Esecutivo rispetto al potere Legislativo.
Infatti, la maggior parte dei clamorosi interventi legislativi che hanno stravolto il sistema dell’Ires sono stati attuati su iniziativa governativa, in sede di approvazione delle leggi finanziarie di fine anno, quasi sempre approvate con il condizionamento della fiducia, senza adeguato dibattito e con l’esautorazione -di fatto- del Parlamento.
Di volta in volta i diversi Governi hanno recepito le pressioni di partiti, gruppi di interesse, categorie, lobby ecc., senza curarsi della coerenza sistematica dell’Irpef, avvalendosi del supporto tecnico degli apparati governativi (MEF, Agenzia Entrate ecc.) ed ancor più spesso, a titolo personale, di tecnici provenienti da tali apparati.
L’egemonia dei Governi rispetto al Parlamento ha consentito il prevalere delle spinte di volta in volta più forti, a scapito della ponderazione parlamentare fra gli interessi coinvolti, del ruolo delle minoranze, del pluralismo istituzionale ecc. Il supporto tecnico è stato costantemente ricercato dai Governi nei propri apparati amministrativi, in una logica di subordinazione acritica e servente; il CNEL, l’accademia, la scienza e le personalità indipendenti sono state coinvolte di rado e comunque sempre con ruoli marginali.
E’ indispensabile recuperare la coerenza sistematica dell’Irpef, optando per il modello CIT, per il modello DIT o per la Flat tax, sia pur con le deroghe e gli aggiustamenti che risulteranno opportuni, ma di certo va superata l’attuale fase di caos, frammentarietà ed irrazionalità dell’Irpef.
I modelli teorici hanno dei pro e dei contro, rispetto ai quali assumono un rilievo fondamentale le opzioni politiche e gli approcci ideologici, ma l’irrazionale normativa attualmente vigente va emendata e ricondotta a razionalità.
Ove non si riesca a realizzare questi interventi nell’ambito nell’Irpef sarà inevitabile recuperare la razionalità e progressività del sistema tributario, mediante il riordino ed il rafforzamento della tassazione sul patrimonio. Del resto, ai fini redistributivi, già oggi il sistema ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), limita fortemente l’accesso al welfare sulla base di indici patrimoniali e non reddituali, consentendo nei fatti un recupero delle esigenze redistributive. Diffuse ed autorevoli le presi di posizione a favore di una connotazione progressiva e redistributiva del sistema di finanza pubblica nel suo complesso ed in particolare della spesa pubblica, piuttosto che del sistema tributario e dell’Irpef (v. fra i tanti: M. BALDINI cit., 4; G. VEGAS cit., 3; N. ROSSI cit., 9; Istituto Bruno Leoni cit., 3; G. MELIS cit., 14; P. LIBERATI cit., 38, il quale evidenzia che nei Paesi OCSE in media circa il 75% della riduzione della diseguaglianza, nel passaggio dai redditi di mercato al reddito disponibile, è riconducibile ai trasferimenti, mentre l’Italia si posiziona a livelli inferiori, risultando ancora accentuata la redistribuzione tributaria). Tuttavia, tale orientamento può essere condivisibile soltanto dal punto di vista redistributivo, in quanto a norma dell’art. 53 Cost., è il sistema tributario a dover essere informato a criteri di progressività; ciò non impedisce che la progressività possa caratterizzare anche la finanza pubblica e la spesa, ma impone una connotazione di massima progressiva del sistema tributario (v. per tutti F. GALLO, Il tributo quale indispensabile strumento di politiche redistributive, in Rass. Trib., 2021, 289).
Comunque, ed in estrema sintesi, riprendendo le conclusioni della Commissione parlamentare sulla grave crisi dell’Irpef, si deve iniziare a prendere atto che ci si trova ormai di fronte ad una disciplina materialmente incostituzionale, non tanto, e di certo non solo, per il grave vulnus alla progressività, che risulta in qualche modo ancora presente nel sistema (soprattutto considerando la funzione redistributiva del sistema di finanza pubblica nel suo complesso), quanto piuttosto per la diffusa irrazionalità ed incoerenza che ormai permea l’impianto del tributo.
Sotto questo profilo, oltre alla solidarietà ed all’eguaglianza, viene in gioco il valore, di per sé significativo del sistema tributario.
E’ assolutamente improbabile che la Corte Costituzionale si spinga ad esplicitare censure sull’impianto dell’Irpef; sono ben note le tradizionali preoccupazioni e cautele con cui i nostri giudici costituzionali trattano i temi di finanza pubblica e fiscalità (emblematica la notissima sentenza 11 febbraio 2015, n. 10, che pur dovendo riconoscere l’ incostituzionalità di una norma impositiva, ha posto stringenti limitazioni agli effetti della decisione). Si può comunque parlare di incostituzionalità materiale, latente nell’ordinamento, come dimostrano i lavori parlamentari della XVIII legislatura.
Singolarmente considerati regimi di favore, privilegi, tassazioni sostitutive, regimi speciali, agevolazioni, esenzioni, speciali detrazioni e/o deduzioni ecc. possono risultare anche costituzionalmente accettabili, ma sul piano della coerenza sistematica l’attuale stravolgimento dell’Irpef non può essere più ignorato, e si confida quantomeno in un monito da parte della Corte Costituzionale. L’insieme dei regimi sostitutivi, forfettari ed alternativi giunge invero a configurare come discriminatorio il regime di tassazione ordinaria, che in concreto risulta non più “ordinario”, ma selettivo e punitivo.
Certo è che la crisi dell’Irpef non è più tollerabile, dando corpo -come evidenziato dalla Commissione parlamentare- ad «una delle principali fonti d’incertezza e complessità del nostro sistema tributario, …alimentando asistematicità e precarietà del quadro complessivo, disuguaglianza, inefficienza, disincentivi al lavoro e ostacoli alla produzione», il tutto aggravato dall’avvento dall’imposizione sostitutiva che «determina un carico fiscale diseguale tra le varie fonti di reddito, generando una violazione del principio di equità orizzontale e incidendo negativamente sulla capacità redistributiva dell’imposta». La preoccupazione cresce a fronte del dibattito politico -istituzionale avviatosi nella prima fase della XIX legislatura, che tende ad ignorare le numerose e qualificate audizioni parlamentari acquisite nel corso dell’indagine conoscitiva del 2021.