argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
Il presente lavoro esamina l’evoluzione giurisprudenziale italiana ed Unionale sul difficile rapporto intercorrente tra l’ordinamento penale e quello tributario, sia sotto il profilo procedimentale sia dal lato processuale. Tante le differenti questioni sollevate nel corso degli ultimi anni, che necessitano dunque di alcune riflessioni sul nostro attuale sistema sanzionatorio.
PAROLE CHIAVE: procedimento - processo penale - processo tributario
di Carlo Mosca
L’excursus storico che ha ripercorso le tappe di un radicale modificarsi del rapporto tra procedimento penale e procedimento tributario, pone una serie di interrogativi a cui pare opportuno rispondere, sia da un punto di vista strettamente empirico, sia da un punto di vista giurisprudenziale.
In primo luogo giova rammentare che, dopo aver definitivamente accantonato l’istituto tradizionale della pregiudiziale tributaria [P. Nuvolone, L’abolizione della pregiudiziale tributaria, Diritto e pratica tributaria, 5/1982, pp. 1358-1363], fu necessario evitare l’effetto paralizzante che, di fatto, aveva investito l’applicazione delle norme penali di settore [G. M. Flick, Reati fiscali, principio di legalità e ne bis in idem: variazioni italiane sul tema Europeo, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 14.09.2014].
Questo istituto, introdotto con la legge n. 4 del 1929 [Cfr. Legge 14 gennaio 1929 n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie) - L’ art. 21 al quarto comma recita: «per i reati previsti dalle leggi sui tributi diretti l'azione penale ha corso dopo che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovrimposta è divenuto definitivo a norma delle leggi regolanti tale materia»], ebbe una portata senza dubbio innovativa, infatti, con la norma in questione, il giudice penale non poteva intraprendere alcuna iniziativa, né tantomeno esaminare alcuna condotta potenzialmente illecita se prima non fosse divenuto definitivo l’accertamento dell’imposta dovuta.
Tale novità interessava anche la prescrizione che subiva una sospensione automatica, cominciando nuovamente a decorrere (per i reati tributari) solo se e quando fosse divenuto definivo l’accertamento.
Se ne deduce che una norma di tal tipo costringeva il giudice penale ad essere vincolato alla decisione già effettuata sull’accertamento e quest’ultima faceva stato nel procedimento penale.
Nel 1982 la Corte Costituzionale ritenne opportuno intervenire sul punto e con la sentenza n. 88, dichiarò illegittima la norma che per oltre cinquant’anni aveva fatto il buono e il cattivo tempo dei reati finanziari [Cfr. Sentenza 27 aprile-12 maggio 1982, n. 88 (Gazz. Uff. 20 maggio 1982, n. 137), la Corte costituzionale ha così dichiarato l’illegittimità degli artt. 60 e 21, terzo comma, L. 9 maggio 1929, n. 4, nella parte in cui prevedono che l’accertamento dell’imposta e della relativa sovrimposta, divenuto definitivo in via amministrativa, faccia stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie in materia di imposte dirette.].
Si giunse, pertanto, al regime attuale della separazione dei due sistemi processuali (penale e tributario): il cosiddetto sistema del doppio binario [I. Caraccioli, Superato il "doppio binario" tributario-penale? in Corriere tributario, 13/2014, pp. 1007-1011], introdotto con il D.lgs. 74/2000 [Cfr. D.lgs. 74 del 2000 art. 20: “Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione”].
Sul punto, si tenga presente che detta separazione non risulta essere così netta, lasciando, altresì, spazio ad una serie di temperamenti.
Uno fra tutti la circolazione della prova che consente lo scambio prima e l’utilizzo poi delle informazioni raccolte in uno dei due procedimenti; esse dunque possono essere poste a fondamento delle decisioni prese nell’altro procedimento in corso e viceversa.
E’ chiaro che, ogni forma di dialogo tra i due procedimenti, avverrà nel rispetto della principale forma di garanzia per il cittadino, ovvero il principio del ne bis in idem.
Il divieto di doppio giudizio, inteso come diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto, è concetto che sottende principi fondamentali e costitutivi degli ordinamenti democratici, in un’ottica giustappunto garantistica [Per le criticità – e le possibili soluzioni – dei profili concernenti le “identità” delle fattispecie, cfr F. Viganò, Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 1/2016, p. 202; M. Scoletta, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem nella nuova disciplina eurounitaria degli abusi di mercato, in Società, 2016, pp. 218 ss.; E. Basile, Una nuova occasione (mancata) per riformare il comparto penalistico degli abusi di mercato? Lo schema del d.d.l. di delegazione europea 2016, in questa Rivista, fasc. 5/2017, p. 271; F. Mucciarelli, La nuova disciplina eurounitaria sul market abuse: tra obblighi di criminalizzazione e ne bis in idem, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 3/2015, pp. 295 ss.].
Mentre, in passato, si riteneva che tale principio trovasse riferimenti normativi solo a livello nazionale e con limitazione alla giustizia penale, negli ultimi anni ha avuto sempre più spazio.
Difatti, non solo a livello nazionale, ma anche e soprattutto a livello comunitario e sovranazionale, si è registrata una forte attenzione da parte della giurisprudenza, con continue e ripetute pronunce.
Per quanto concerne l’attività della Corte Edu, con la sentenza “madre”, ovvero Grande Stevens c. Italia del 4.3.2014, è stato stabilito con nettezza che uno stesso fatto non potesse essere sanzionato due volte, prima con procedimento amministrativo, poi con procedimento penale.
In sintesi, la sentenza ha affermato che, dopo che nei confronti di una società siano state comminate sanzioni amministrative (poi divenute definitive) da parte della Consob, non può essere avviato alcun procedimento penale.
Questo perché, seppur amministrative, le sanzioni in parola sono decisamente afflittive.
La Corte ha affermato che la piena sovrapponibilità del bene giuridico protetto (trasparenza del mercato) e dell’obiettivo perseguito (repressione abusi di mercato) tra disciplina amministrativa ed illecito penale, violi il principio del ne bis in idem, come sancito all’ art. 4 Protocollo 7 allegato alla CEDU.
Ovviamente, se parliamo di sanzioni e di gradi di afflittività delle stesse, dobbiamo tenere presente i criteri di riferimento, i cd. Criteri di Engel del 1976 ossia: 1. La qualificazione dell’infrazione; 2. Natura dell’infrazione; 3. Intensità della comminata sanzione.
Il primo criterio, ossia la qualificazione del diritto interno, rappresenta l’imprescindibile punto di partenza del percorso ermeneutico finalizzato alla qualificazione della sanzione.
Il secondo criterio è certamente quello con maggior incidenza e può essere indagato sulla base di molteplici fattori; a titolo esemplificativo si può far riferimento all’accertamento della funzione repressiva/dissuasiva della norma [Öztürk c Germania del 1984; Bendenoun c. Francia del 1994], al raffronto con la qualificazione attribuita agli analoghi procedimenti/sanzioni negli altri Paesi membri del Consiglio d’Europa ed infine all’accertamento della provenienza dell’azione, ove sia stata posta in essere da una pubblica autorità in virtù di poteri legalmente riconosciuti. [Benham c. Regno Unito del 1996]
Ultimo, non per importanza, il terzo criterio, ossia la severità della pena, andrà valutato in riferimento al caso concreto in osservanza con i canoni interpretativi graniticamente consolidati.
La sentenza 15.11.2016, Corte Edu (Grande Camera) A e B contro Norvegia [Corte EDU, GC, A e B c. Norvegia, 15 novembre 2016, in “Diritto Penale Contemporaneo”, 18 novembre 2016, con nota di F. Viganò, La Grande Camera della Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio; è stato inoltre affermato cfr. Calzolari, L’insostenibile incompatibilità dell’ordinamento nazionale con il ne bis in idem, in Corr. trib., 2017, p. 309, “che il nostro ordinamento nazionale non sia in grado di rispettare alcuno dei requisiti previsti dalla sentenza AB/Norvegia della Corte EDU. I processi decisori da cui scaturiscono le due distinte sanzioni non possono dare luogo, a priori, ad un’unica pena facilmente quantificabile, che, a posteriori, si riveli rispettosa del principio di proporzionalità.”] ha posto alcuni interrogativi sulla effettiva compatibilità dei nostri sistemi di doppio binario sanzionatorio, in materia tributaria e di abusi di mercato, con il diritto convenzionale da molti desunto dalla sentenza Grande Stevens.
Tralasciando il merito delle questioni, possiamo affermare che la Corte, dopo aver esaminato disparate argomentazioni dei Governi intervenuti, ha optato per riaffermare la piena validità dei criteri di Engel anche in relazione al diritto al ne bis in idem.
Allo stesso modo, soffermandosi sul regime sanzionatorio, sostiene, nell’ ottica di un bilanciamento tra gli interessi dell’individuo e quelli della comunità, che la coesistenza dei procedimenti sanzionatori - penale ed amministrativo – può verificarsi qualora tra loro vi sia una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta, superando il cd. Test della “sufficiently close connection in substance and time”.
A tal uopo, risulta palese che le conclusioni a cui la Corte Edu è giunta con la pronuncia appena enunciata, temperano, oserei dire contrastano, la previsione normativa interna dell’ art. 649 c.p.p. comma primo, secondo cui: “l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69 comma 2 e 345”.
Di fatto, per essere ancora più chiari, nonostante l’ardua e complessa attuazione di una connessione sostanziale tra i procedimenti, la Corte EDU è stata cristallina nel ribadire i presupposti e le condizioni che garantiscano ai due procedimenti autonomia e coesistenza, nonché parallelismi e collaborazione nelle varie fasi.[Non appare convincente in tale ottica l’approccio interpretativo restrittivo dell’art. 50 CEDU fondato sulla regola della priorità assoluta della definitività del giudizio tributario o penale o della definitività dell’atto contestato, in quanto proprio secondo la giurisprudenza europea, le Corti di Giustizia ed EDU sembrano non attribuire rilevanza all’esito processuale definitivo e porre un divieto assoluto in fase procedimentale della stessa sanzione, essendo il ne bis in idem volto ad evitare, non solo il cumulo delle sanzioni, ma prevalentemente la duplicazione dei giudizi sullo stesso fatto. Nel caso Nikitin Russia del 9 ottobre 2008 veniva rilevato che il ne bis in idem non si esaurisce nell’evitare per la medesima condotta due sanzioni, ma precisa che il divieto si estende al diritto di non essere processato due volte per il medesimo fatto.].
Sul punto, se da un lato siamo in presenza di un indiscusso scoramento di tempistiche tra le due indagini che si fondano su regole diverse, dall’ altro è possibile affermare che l’impatto del ne bis in idem sull’art. 20 del D.Lgs. n. 74/2000 a livello europeo, non esclude forme di interrelazione tra i procedimenti penale e tributario, anche se la sopravvivenza del doppio binario viene subordinata alla sussistenza della sufficiente connessione tra gli stessi.
Tali procedimenti possono talvolta completarsi a vicenda pur mantenendo in vita la reciproca autonomia e, dal punto di vista sanzionatorio, non devono condurre necessariamente ad un unico provvedimento punitivo, evitando allo stesso tempo che vengano compromesse le garanzie fondamentali della persona sottoposta ad indagini penali (ad es. segreto istruttorio) e del contribuente, attraverso la limitazione nella trasmissione dei dati che può generare alterazione e manipolazione delle valutazioni effettuate in altra sede aventi diversa finalità. [Sul tema si rinvia a F. Amatucci, Doppio Binario e “connessione sufficiente” tra procedimento penale e procedimento tributario, in Rivista Trimestrale Diritto Tributario, n.2/2017.]
Giunti a questo punto della proposta disamina, risulta chiaro come dottrina e giurisprudenza abbiano dovuto e stiano affrontando non pochi profili problematici.
Da un lato, la necessità di effettuare l’analisi sotto nuovi punti di vista, per lo più dovuti al diverso angolo di visuale adottato dalla Corte EDU a partire dalla sentenza Norvegia; da un altro lato le pronunce della Corte di Giustizia sul punto che, nonostante affermi di muoversi nel solco già tracciato dalla Corte EDU con la sentenza summenzionata, ad uno sguardo più attento finisce per discostarsene almeno in parte, contribuendo ad alimentare il clima di incertezza.
Per altro verso ancora, a tale quadro generale deve essere aggiunta la visione della Corte Costituzionale che non sempre si è dimostrata convincente. [G. Melis – M. Golisano, Il livello di implementazione del principio del ne bis in idem nell'ambito del sistema tributario, Rivista Trimestrale Diritto Tributario, p. 579-621]
Difatti, con la sentenza n. 200/2016, la Corte si è pronunciata in merito alla questione di legittimità costituzionale del già citato art. 649 c.p.p., sollevata nell'ambito del cd. processo Eternit bis, nella parte in cui tale disposizione «limita l'applicazione del principio del ne bis in idem all'esistenza del medesimo "fatto giuridico", nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che all'esistenza del medesimo "fatto storico"».
Ebbene, preso atto dell'incompatibilità tra la nozione di "medesimo fatto" adottata dal diritto vivente italiano (criterio dell'idem legale) e quella fatta propria dai giudici di Strasburgo (criterio dell'idem factum), nonché della rilevanza della questione per la prosecuzione del processo Eternit bis, il giudice torinese ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p. nel senso già anticipato, avvalendosi dello schema della norma interposta ex art. 117 Cost.
Con la sentenza n. 200/2016 la Consulta si è allineata alla giurisprudenza di Strasburgo ed ha optato per la soluzione del "fatto storico", dichiarando "l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale" [v. Aprile, Osservazioni a C. cost., data udienza (24 gennaio 2018), data deposito 2 marzo 2018, n. 43, in Cass. pen., 2018, p. 1945 ss.]
Tale percorso è continuato con le due pronunce n. 43/2018 e n.222/2019.
Con la prima, la Consulta ha deciso per la restituzione degli atti al Giudice rimettente, dopo che lo stesso aveva sollevato, in riferimento all’art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., nella parte in cui tale disposizione non prevedeva l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della CEDU e dei relativi Protocolli.
Restituzione degli atti al Giudice a quo dettata dalla sopravvenienza della già esaminata sentenza A e B c. Norvegia.
Con la sentenza 222/2019, la Corte Costituzione dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Bergamo, riguardo al medesimo articolo del codice di procedura penale, confermando e consolidando dunque l’itinerario argomentativo di generale compatibilità dell’ordinamento italiano rispetto al divieto di bis in idem.
Se ne desume, quindi, che la Corte parrebbe affermare una generale compatibilità dell’ordinamento nazionale rispetto alla Convenzione Edu ed all’art. 4 Prot. 7, riducendo dunque il tutto ad una mera verifica in fatto, affidata al giudice del merito, atta ad accertare che in concreto i due procedimenti, quello amministrativo e quello penale, possano dirsi rispettosi del requisito della connessione sostanziale e temporale comunque reso possibile dagli istituti contemplati nel nostro ordinamento a livello generale.
Sempre riguardo alla compatibilità del sistema italiano del doppio binario sanzionatorio in materia di reati tributari con il diritto dell’Unione, merita di essere approfondita la sentenza Menci avente ad oggetto un procedimento penale per il delitto di cui all’art. 10-bis, d.lgs. 74/2000, a carico di un imputato cui era stata già inflitta, in via definitiva, una sanzione pecuniaria qualificata come amministrativa (ma, in tesi, sostanzialmente penale), all’esito del procedimento tributario, ex art. 13 d.lgs. 471/1997, relativa al medesimo importo IVA non pagato. [Cfr. Trib. Bergamo, ord. 16 settembre 2015, Giud. Bertoja – cfr. sent. Grande Sezione 20 marzo 2018 nella causa C – 524-15]
Con questa pronuncia che non è stata la sola [Cfr. causa Garlsson Real Estate e a. (C-537/16) – generata da un rinvio pregiudiziale della Sezione tributaria della Cassazione civile in Rivista Diritto Penale Contemporaneo, 17 ottobre 2016, con nota di F. Viganò, A Never-Ending Story? Alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione della compatibilità tra ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia, questa volta, di abusi di mercato) – cfr. cause Di Puma, C-596/16, e Zecca, C-597/16, – generate da due identici rinvii pregiudiziali provenienti dalla Cassazione civile, Sezione seconda (su cui si veda, Rivista Diritto Penale Contemporaneo, con nota di F. Viganò, Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio: nuovo rinvio pregiudiziale della Cassazione in materia di abuso di informazioni privilegiate)], la Corte di Lussemburgo, pur confermando che il cumulo di procedimenti e sanzioni rientri tra i limiti al principio del ne bis in idem, conclude affermando la conformità del doppio binario sanzionatorio all’art. 50 CDFUE, a condizione che la normativa nazionale rispetti determinati criteri, ampiamente ripresi dalla pronuncia A. e B. c. Norvegia.
Per converso, spetterà al Giudice nazionale accertare che non vi siano profili eccessivamente afflittivi in capo all’interessato ed ovviamente in rapporto all’illecito commesso, eventualmente disapplicando le disposizioni interne contrastanti, poiché l’art. 50 CDFUE costituisce un diritto immediatamente applicabile e azionabile.
Da tali principi, la Corte ha quindi sostenuto che, in caso di condanna penale, qualora la stessa sia già idonea a reprimere il reato in maniera efficace e proporzionata, non è consentito irrogare anche la sanzione amministrativa.
Analoghe conclusioni valgono in caso di assoluzione per mancanza di prove, che inibisce l’avvio o la prosecuzione del procedimento amministrativo.
Sempre in materia di ne bis in idem, ma spostando il nostro focus verso un profilo più pratico, si rammenta la sentenza Corte di Giustizia Ue, IV sezione del 5.4.2017 Orsi e Baldetti.
La pronuncia della Corte costituisce la risposta ai ricorsi sollevati in via pregiudiziale nell’ambito di procedimenti penali instaurati per fatti di omesso pagamento dell’Iva (ex art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000), [Per un’analisi più approfondita del tema si rinvia a I. Caraccioli, Il limite dell’impossibilità di adempiere in materia di art. 10-ter del dlgs. 74/2000, in Rivista di diritto tributario, 8/11/2016] in relazione ai quali, tuttavia, si era già concluso il procedimento di accertamento dell’illecito tributario (ex art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471/1997), all’esito del quale l’amministrazione finanziaria dello Stato, oltre a liquidare il debito erariale non versato, aveva irrogato una sanzione amministrativa pari al 30% dell’imposta evasa (c.d. “sovrattassa”).
Proprio in ragione di tale circostanza, il Tribunale decideva di chiamare in causa la Corte di Giustizia (competente in quanto la materia dell’Iva rientra nell’ambito di applicazione del diritto UE), affinché si pronunciasse sulla eventuale violazione del principio fondamentale del ne bis in idem, muovendo ovviamente dal presupposto che la sanzione tributaria della “sovrattassa” fosse qualificabile come “materia penale”, proprio ai sensi degli Engel criteria del diritto europeo.
La Corte ha risposto negativamente al quesito sollevato in quanto sussiste, nel caso di specie, una carenza del fondamentale presupposto per l’applicazione del divieto di ne bis in idem, costituito dalla necessità che debba essere la stessa persona sottoposta ad una doppia sanzione per un medesimo fatto.
Nelle vicende in questione, invece, il procedimento penale risultava instaurato contro la persona fisica autrice del reato in quanto rappresentante legale della persona giuridica, ma era contro quest’ultima che era già stata irrogata la sanzione amministrativa a seguito del definitivo accertamento della violazione tributaria per omesso versamento dell’Iva.
Tale rilievo è sufficiente dunque per escludere in radice la configurabilità di una violazione del principio di ne bis in idem.
Per completezza, volendo rammentare il ruolo della giurisprudenza di legittimità, non può non essere menzionata la sentenza della Corte di Cassazione sez. III n. 6993/2017, da ritenersi senza dubbio una successiva conforme al solco tracciato con la sentenza A e B / Norvegia, con cui sono state mitigate le passate conclusioni, riconoscendo che al ricorrere di alcune precise condizioni, la duplicazione procedimentale e sanzionatoria sia invece compatibile con la Convezione.
In tema di proporzionalità del ne bis in idem va menzionata la sentenza della Cass. n. 21694 del 2020, ove “in tema di violazioni in materia di IVA, è producibile in Cassazione ex art. 372 c.p.c. la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, relativa ai medesimi fatti oggetto della sanzione tributaria controversa, ove il contribuente intenda far valere l'improcedibilità, l'improponibilità o, comunque, l'estinzione, in tutto o in parte, del giudizio tributario per violazione - pur dedotta per la prima volta in sede di legittimità e sempreché pertinente alle questioni ritualmente in giudizio - di principi di ordine pubblico unionale (nella specie, del "ne bis in idem"); diversamente, tale produzione non è ammissibile ai fini delle contestazioni in materia di imposte dirette.”
Sulla scorta di tali assunti, a corollario della questione inerente il cumulo sanzionatorio amministrativo/penale, vanno sottolineati alcuni spunti di riflessioni condotti all’interno dell’ordinanza della Corte di Cassazione, 21 aprile, n. 9076/2021.
Nel caso di specie viene infatti alla luce che “non può esservi violazione del ne bis in idem qualora il contribuente sia condannato in sede penale per reato non tributario e, a maggior ragione, ciò non può avvenire se la condanna sia con decreto.”
Nel dettaglio la Corte di Cassazione rigettava integralmente il ricorso di un contribuente, un odontoiatra che aveva esercitato la professione abusivamente (e per ciò aveva subito una condanna in sede penale), relativo a una sentenza che, in accoglimento dell’appello dell’ufficio, aveva dichiarato dovuta l’Iva sul reddito accertato.
Infatti, dopo aver escluso che il divieto di bis in idem possa operare rispetto all’imposta, (la quale, per definizione, non è una sanzione), la Corte osservava, sotto un primo profilo, che il ricorrente avesse subito condanna non per violazioni della normativa fiscale, ossia per uno dei reati puniti dal Dlgs n. 74/2000, bensì per l’esercizio abusivo della professione di odontoiatra ex articolo 348 cp. Pertanto, poiché il processo penale aveva tutelato l’interesse pubblico all’esercizio delle professioni da parte di soggetti adeguatamente formati, mentre il processo tributario aveva salvaguardato l’interesse alla corretta apprensione dei tributi, andavano escluse violazioni della Convenzione Edu.
Inoltre, la Corte sosteneva a caratteri cubitali che la “misura” della connessione sostanziale fosse da ricercare caso per caso, con particolare riguardo alla finalità dei due procedimenti, alla prevedibilità dell’avvio di entrambi come conseguenza della condotta, alla duplicazione nella raccolta di prova e alla “compensazione”, all’atto dell’irrogazione della seconda sanzione, con quella già inflitta.
Se la reazione punitiva dello Stato risultava “integrata” (combined in an integrated manner so as to form a coherent whole), i procedimenti non potevano dirsi duplicati e la doppia sanzione può essere considerata legittima.
Infine, va evidenziata la sentenza della Corte di Cassazione penale, Sez. III, n, 4439/2021 [“Il sistema del ‘doppio binario’ è giustificato dalla rilevanza degli interessi nazionali e dalla diversità dei fini perseguiti dalle due procedure: mentre il procedimento amministrativo è volto al recupero a tassazione delle imposte non versate, il procedimento penale è teso alla prevenzione e alla repressione dei reati in materia tributaria. In altri termini, la minaccia di una sanzione detentiva per condotte particolarmente allarmanti (essendo previste soglie di punibilità), in aggiunta a una sanzione amministrativa pecuniaria, persegue, infatti, legittimi scopi di rafforzare l’effetto deterrente spiegato dalla mera previsione di quest’ultima, di esprimere la ferma riprovazione dell’ordinamento a fronte di condotte gravemente pregiudizievoli per gli interessi finanziari nazionali ed europei, nonché di assicurare ex post l’effettiva riscossione degli importi evasi da parte dell’amministrazione grazie ai meccanismi premiali connessi all’integrale saldo del debito tributario”. ] con cui si è esclusa la sussistenza del principio del ne bis in idem in relazione ad una sanzione penale (ex art. 4 D.Lgs. 74/2000) e amministrativa relative al medesimo fatto di dichiarazione infedele.
E’ possibile asserire allo stato attuale che la giurisprudenza ad ogni livello, seppur alle condizioni illustrate, saluta positivamente la scelta normativa dello Stato di giudicare e sanzionare più volte lo stesso individuo per il medesimo fatto.
Traslando le suddette considerazioni all’interno del nostro ordinamento giuridico italiano non si può non segnalare il ruolo del dlgs. n. 74/2000 che ha delineato il sistema penale tributario, sollevando una serie di dubbi ed interrogativi.
Si tenga presente che, questa riforma, intervenne per cercare di porre freno alla situazione verificatasi dopo l’abolizione della pregiudiziale tributaria, passando da un totale immobilismo ad un improvviso intervento penale a tappeto. Fu, dunque, necessario rimediare attuando un’ampia depenalizzazione e concentrando gli sforzi su un gruppo abbastanza ristretto di violazioni, prevalentemente attinenti all’auto-accertamento del debito di imposta: la dichiarazione dei redditi e l’IVA.
Leggendo il decreto in parola, possiamo notare che nell’ordinamento tributario italiano il pericolo di frizioni con il principio garantistico del né bis in idem dovrebbe essere scongiurato, proprio perché, con l’art. 19, viene esteso anche alla materia tributaria il principio di specialità tra disposizioni sanzionatorie.
Si rimarca, inoltre, il dialogo tra procedimenti sulla base principio del doppio binario (cfr. art. 20 Dlgs 74/2000), nonché sulla base del rapporto di alternatività tra sanzioni penali e sanzioni amministrative (cfr. art. 21 Dlgs 74/2000).
Tra gli elementi più interessanti del dlgs 74/2000, così come riformato con il Dlgs 158/2015, vi è l’introduzione dell’ art. 13 e, dunque, di due ipotesi di non punibilità in seguito al pagamento integrale del debito tributario: per quanto concerne i reati di cui agli artt. 10-bis, ter e quater comma 1 (rispettivamente reati di omesso versamento delle ritenute dovute o certificate, reati di omesso versamento IVA, reati di indebita compensazione) essi non sono punibili qualora l’imputato estingua i debiti e le relative sanzioni, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Allo stesso tempo emerge dalla lettura del comma terzo del art. 13 secondo che “Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell'applicabilità dell'articolo 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo”.
Alla luce di quanto esposto sorge spontaneo interrogarsi su tutti i possibili scenari processuali che possono venire a configurarsi. Innanzitutto ci si chiede se la connessione tra i procedimenti sia realmente improntato sui criteri del ne bis in idem e del doppio binario.
Successivamente se siano state effettivamente introdotte alcune ipotesi di non punibilità [In senso critico sul richiamato approdo della CGUE v. E. Basile, Il “doppio binario”, cit., ad avviso del quale si rischierebbe per questa via di incentivare «impropriamente definizioni anticipate del procedimento penale – magari attraverso un “patteggiamento” – al precipuo scopo di paralizzare l’avvio o la prosecuzione della procedura sanzionatoria Consob»] in seguito al pagamento integrale o rateizzato e se il procedere in parallelo e progressivamente di due procedimenti possa assicurare le necessarie garanzie spettanti al contribuente, in ragione di differenti fisiologiche tempistiche. [Cfr. sulla ragionevole durata del processo A. Uricchio, Principi del giusto processo e applicabilità della Legge Pinto nei giudizi tributari, Relazione, integrata con le note, presentata al convegno celebrativo dei 150 anni di unificazione nazionale, promosso dall’associazione magistrati tributari, tenuto a Torino il 15 ottobre 2011]
Infine è necessario chiedersi se in via cautelare il giudice penale possa provvedere o meno al sequestro preventivo per equivalente fino alla somma da versare.
Pertanto, appare corretto sottolineare come il processo tributario stia rischiando di diventare una costola meramente tecnica e compilativa del processo penale, oppure, ancor peggio, è possibile profilare come il procedimento penale sia divenuto “una strada ulteriore” per recuperare il credito. [Per un approfondimento sul tema del regime sanzionatorio si veda Cass. civ., Sez. VI-II, 13 gennaio 2014, n. 510, in C.E.D. Cass., n. 629067 ha stabilito che: “In tema di equa riparazione per durata irragionevole del processo, ai fini dell'assimilazione della sanzione tributaria alla sanzione penale, che ascrive il giudizio tributario alla "materia penale" ed attiva la tutela ex art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è sufficiente il carattere afflittivo della sanzione, occorrendo un preciso riferimento normativo, alla luce di quanto affermato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella decisione 26 febbraio 2013, "Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson", in armonia col principio costituzionale di stretta legalità delle sanzioni penali”.]