argomento: Agevolazioni - Legislazione e prassi
Il credito d’imposta introdotto con l’Art bonus valorizza ancor di più le preferenze individuali, rispetto alle destinazioni dell’otto e cinque per mille, incentivando, al contempo, la concorrenza tra enti e progetti per accaparrarsi un potenziale finanziamento privato sostenuto dal credito di imposta. Tuttavia, i dati pubblici disponibili sull’efficienza dello strumento, non sono del tutto trasparenti.
PAROLE CHIAVE: patrimonio culturale - quote di imposta - credito di imposta - art bonus - trasparenza
di Amedeo Di Maio, Giuseppe Lucio Gaeta
Ci riferiamo, per esempio, ai cosiddetti otto per mille e cinque per mille - che permettono al contribuente di destinare una piccola parte dell’imposta dovuta a un obiettivo specifico - e al credito d’imposta Art bonus, che intende incentivare le erogazioni liberali in favore del patrimonio culturale. Si tratta di strumenti ovviamente diversi, ognuno con le proprie specificità. Tuttavia ci sembra utile considerarli insieme, in questa breve riflessione, per svolgere alcune considerazioni sul ruolo che le preferenze individuali dei contribuenti possono giocare nel finanziamento delle attività menzionate.
Come è noto, la normativa in vigore stabilisce che una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche possa essere destinata, al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi, a una confessione religiosa o allo Stato (cfr. DPR n.76 del 1998 e successive riformulazioni). In mancanza di esplicita scelta, l'otto per mille viene comunque attribuito in maniera proporzionale alle scelte espresse. I contribuenti che scelgono di destinare le risorse allo Stato possono indicare una finalità d’uso e gli interventi ammessi alla ripartizione della quota destinata alla diretta gestione statale includono quelli volti al restauro, alla valorizzazione, alla fruibilità da parte del pubblico di beni immobili di valore storico-architettonico. Inizialmente, le risorse in tal modo raccolte a favore del patrimonio culturale venivano ripartite secondo un criterio geografico, finalizzato a una equa distribuzione territoriale tra Nord-ovest, Nord-est, Centro, Sud e Isole. Tuttavia, a partire dal 2016 e per dieci anni la destinazione del gettito verso il patrimonio culturale è stata invece rivolta agli interventi di ricostruzione e di restauro dei beni danneggiati o distrutti a seguito degli eventi sismici verificatisi, con epicentro in Amatrice, nell’ agosto 2016 (cfr. D.L. n. 8/2017). L'assegnazione delle risorse a specifiche destinazioni è realizzata attraverso una procedura che prevede la domanda da parte di soggetti potenzialmente beneficiari. I progetti da costoro presentati sono valutati da apposite commissioni tecniche il cui lavoro informa le scelte della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Le risorse raccolte attraverso l’otto per mille vengono decurtate da numerose disposizioni legislative vigenti, che ne hanno disposto la destinazione ad altre finalità. I dati suggeriscono che nel 2002 i finanziamenti complessivamente disponibili grazie all’otto per mille fossero, eliminando dal computo quanto viene destinato alle confessioni religiose, pari a circa 100 milioni di euro, di cui 68 destinati ai beni culturali (Fonte: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01208886.pdf [ultimo accesso effettuato il 15 ottobre 2022]). A partire da quel momento i finanziamenti sono stati ridotti, perché le risorse indicate dai contribuenti per i beni culturali sono state destinate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica. Nel 2006 e nel 2008 i finanziamenti effettivamente assegnati ai beni culturali sono addirittura risultati pari a zero. Le risorse dell’otto per mille sono state poi integralmente ripristinate a decorrere dal 2010, quando raggiunsero ammontare complessivo pari a circa 144 milioni di euro (di cui circa 100 assegnate ai beni culturali). Negli anni successivi, tuttavia, sono state autorizzate ulteriori consistenti riduzioni dello stanziamento disponibile, tanto che negli anni 2011, 2012 e 2015 non si è neppure proceduto al riparto. Nel 2019 la quota ripartita è stata pari a complessivi 48 milioni di euro, di cui 10 destinati ai beni culturali.
A distinguere i due strumenti è, ovviamente, il ruolo giocato dalle preferenze individuali e dalle scelte statuali. Nel caso dell’otto per mille le preferenze dei contribuenti rilevano nel determinare il campo di attività cui destinare le risorse (gli interventi volti al restauro, alla valorizzazione, alla fruibilità da parte del pubblico di beni immobili di valore storico-architettonico) ma non sono considerate nella definizione degli specifici enti e progetti beneficiari. Lo Stato, insomma, conserva il ruolo di dittatore benevolo, potenzialmente in grado di scegliere la migliore specifica allocazione delle risorse disponibili. Come è stato ricordato, lo Stato aveva fissato un criterio di riparto delle risorse per area geografica, per impedire la concentrazione in alcune aree del paese (discutibile perché le aree sono eterogenee in termini di presenza, importanza e condizioni materiali del patrimonio culturale). Questo criterio, come si è detto, è stato sostituito dalla concentrazione dei finanziamenti sull’area colpita dal terremoto di Amatrice del 2016. In alcuni anni si è addirittura giunti alla scelta “estrema” di distogliere le risorse dall’uso che i cittadini avevano prestabilito, dedicando i finanziamenti raccolti con l’otto per mille all’obiettivo di miglioramento dei saldi di finanza pubblica.
Questa impostazione appare “mitigata” nel caso del cinque per mille, in cui ai cittadini è garantita la possibilità di individuare enti specifici cui dedicare le risorse, pur in un quadro in cui esiste un tetto massimo ai finanziamenti raccoglibili, e una sorta di preselezione dei potenziali beneficiari sulla base di alcuni criteri. In questo caso, tuttavia, il ruolo dele preferenze individuali è decisamente più centrale. Da un lato, questo disegno comporta benefici che consistono nel contenimento dei rischi connessi ai fallimenti dello stato e nella potenziale destinazione della spesa agli usi che la collettività ritiene più efficienti. Dall’altro è inevitabile che questi benefici potrebbero essere di poco conto a fronte dei rischi che si annidano nei fallimenti del mercato. Oltretutto, la competizione tra gli enti potenzialmente beneficiari crea un mercato in cui crescenti risorse sono potenzialmente distratte dal prioritario obiettivo della gestione dei beni culturali in favore di attività di comunicazione che intendono fidelizzare nuovi potenziali “donatori”.
Il sito dell’Art bonus presenta una lunghissima lista di siti culturali e progetti, inseriti dai cittadini e dai loro gestori, che ambiscono a ricevere donazioni. Esaminando la lista, si scopre che circa il 30% degli interventi proposti non beneficiato di alcuna erogazione liberale. Per un altro 30% circa (cifra calcolata in linea di massima), l’erogazione liberale ricevuta non supera i 1.000 euro. Al crescere dell’entità della donazione ricevuta, la percentuale di interventi si riduce progressivamente, fino a raggiungere la percentuale minima (0,61%) nella classe di erogazioni compresa tra i 7 e i 153 milioni di euro.
L’ammontare più alto riguarda il Teatro La Scala di Milano e altri noti teatri si situano tra i primi 20 beneficiati. Per far riferimento ai “luoghi della cultura”, osserviamo che tra i maggiori beneficiati vi è un ex monastero di Cremona (18 mln), un complesso monumentale a Venezia e un altro “ricreativo” a Milano.
I dati, insomma, suggeriscono che circa il 65% degli interventi proposti negli ultimi 9 anni, non riceva erogazioni liberali o comunque non superi i 1000 euro di erogazioni ricevute. Per questi siti e progetti, dunque, non v’è disponibilità a pagare, pur con la possibilità di fruire di un credito di imposta. La disponibilità a pagare si concentra, in effetti, su un numero di beni culturali piuttosto ridotto rispetto all’universo possibile e pare premiare soprattutto teatri e/o istituzioni volti all’attività artistica (categorie B e C di potenziali beneficiari).