argomento: Sanzioni e contenzioso - Legislazione e prassi
Come è noto l’applicazione della pena su richiesta delle parti, il c.d. patteggiamento, ex art. 444 c.p.p. per quanto concerne i reati tributari è stato subordinato dal legislatore all’estinzione del debito con l’erario prima dell’apertura del dibattimento. In sostanza il contribuente imputato ha la possibilità di risolvere il procedimento penale ottenendo un significativo sconto di pena solamente se adempie quanto contestato dall’Agenzia delle entrate. Dopo alcune importanti aperture da parte della giurisprudenza di legittimità, La Corte di cassazione è intervenuta nuovamente sull’argomento estendo, anche al reato di cui all’art. 8 D.Lgs. 74/2000, la preclusione di cui all’art. 13, comma 2, della medesima disposizione normativa.
PAROLE CHIAVE: patteggiamento - reati tributari - false fatture - riti alternativi - debiti tributari
di Francesco Martin
Come noto tale disposizione pone sotto in manto della protezione ed anche della sanzione penale alcuni interessi ritenuti meritevoli di tutela, prevedendo che la condotta incriminata configuri un reato.
In tale ottica risulta, anche in ragione dei notevoli benefici non solo con riferimento al quantum di pena, ma anche alle pene accessorie, di particolare interesse per la strategia difensiva l’accesso ai riti alternativi.
Ed ecco la vexata quaestio.
L’art. 13 D.Lgs. 74/2000 subordina la possibilità di accedere al patteggiamento all’integrale pagamento del debito tributario da parte del contribuente imputato; in sostanza la pretesa punitiva dello Stato in qualche modo arretra solamente in cambio della restituzione di quanto non corrisposto.
Orbene, come spesso accade, anche con riferimento all’interpretazione di tale disposizione, i cui effetti sono particolarmente incisivi sulla situazione processuale del singolo individuo, la giurisprudenza di legittimità ha tracciato un solco che si è costantemente evoluto.
Come si evidenzia l’art. 13 D.Lgs. 74/2000 prevede una causa di non punibilità che si sostanzia nella scelta del legislatore di non sottoporre ad un procedimento penale il soggetto che, pur avendo commesso uno dei delitti di omesso versamento, abbia provveduto all’integrale pagamento del debito tributario entro la dichiarazione di apertura del dibattimento.
Si tratta a ben vedere a tutti gli effetti di una sorta di incentivo che permette allo Stato di recuperare il quantum non ricevuto e all’autore materiale della condotta di evitare la sottoposizione a tutto l’iter che contraddistingue il procedimento penale.
A seguito della riforma in ambito penal-tributario apportata dal decreto fiscale 2020 (D.L. n. 124/2019), è stata estesa alle fattispecie di frode fiscale (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000 e dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all’art. 3 dello stesso decreto) la causa di non punibilità prevista dall’art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000, che sino al 25 dicembre 2019 - data di entrata in vigore della legge n. 157/2019, di conversione del D.L. n. 12/2019 - era applicabile alle sole fattispecie di dichiarazione infedele (art. 4) e di omessa dichiarazione (art. 5).
Con l’entrata in vigore della legge, dunque, anche i delitti di cui agli articoli 2 e 3 possono essere dichiarati non punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso sempreché il ravvedimento sia intervenuto prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti pena (S.LOCONTE, Frodi fiscali: patteggiamento anche senza pagare il debito, Ipsoa, 27.04.2020).
Di conseguenza il secondo comma dell’art. 13 D.Lgs. 74/2000, innovato appunto dall’art. 39, c. 1, lett. q-bis), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157, contiene delle modifiche.
Tale norma infatti prevede che i reati elencati in precedenza non siano punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano avvenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
Orbene qui la ratio è profondamente differente.
I delitti di omesso versamento, per la sussistenza della causa di non punibilità prevista dall’art. 13 D.Lgs. 74/00, necessitano che il soggetto agente provveda all’estinzione del debito tributario entro la dichiarazione di apertura del dibattimento, mentre per i delitti dichiarativi è richiesto un quid pluris.
Per tali ultimi reati, oltre alla doverosa estinzione del debito tributario (che può avvenire tramite ravvedimento operoso, ovvero presentando la dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta dell’anno successivo) è necessario, altresì, che tale ravvedimento intervenga prima che il soggetto abbia una formale conoscenza relativa ad ispezioni od accertamenti di carattere tributario, amministrativo o penale; uno schema, quest’ultimo, utilizzato dal legislatore anche in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione per l’operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 323 ter c.p.-
È chiaro quindi che s i presupposti della causa di non punibilità prevista dall’art. 13, commi 1 e 2, sono simili quanto a natura giuridica i requisiti sono differenti.
Tale articolo infatti stabilisce che le pene per i delitti di cui al D.Lgs. 74/2000 sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti.
Il legislatore ha quindi configurato una circostanza attenuante ad effetto speciale mediante la quale il soggetto agente, estinguendo il debito tributario entro l’apertura del dibattimento, ha la possibilità di ottenere una sensibile riduzione di pena.
Il vero fulcro del nodo gordiano è rappresentato dal secondo comma dell’art. 13-bis D.Lgs. 74/00 che subordina l’accesso al rito previsto dall’art. 444 c.p.p. alla sussistenza della circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2.
Sul punto quindi la problematica è complessa: dato che il riferimento al primo comma concerne l’estinzione del debito tributario, appare – con un certo grado di realismo – che il legislatore richieda, quale condizione ineludibile, il pagamento del debito tributario entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento.
La questione, le cui conseguenze possono incidere notevolmente sulla prassi quotidiana, ha interessato anche la giurisprudenza di legittimità che sul punto presenta due orientamenti contrastanti.
Un primo orientamento (Cass. Pen., Sez. III, 23.09.2020, n. 26529) più rigorista ritiene che per i delitti dichiarativi, sarebbe sempre necessario addivenire al pagamento del debito prima della dichiarazione di apertura del dibattimento per poter fruire del rito speciale.
In tale ottica quindi l’adempimento del debito tributario sarebbe conditio sine qua non affinché l’imputato possa essere ammesso al rito previsto dall’art. 444 c.p.p. e quindi beneficiare dello sconto di pena previsto.
In definitiva la disposizione di cui all’art. 13-bis D.Lgs. 74/00, secondo tale filone giurisprudenziale, viene interpretata in maniera più stringente, in aderenza letterale a quanto stabilito dal legislatore (D. QUARANTA, Patteggiamento e reati fiscali: il nodo gordiano della previa estinzione del debito tributario per i delitti dichiarativi, in Ius in itinere, 14.05.21).
Tale posizione è stata anche confermata dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 28.05.2015, n. 95) che ha ritenuto legittimo l’accesso al patteggiamento, per i reati tributari, subordinato all’estinzione del debito, in quanto pur essendo vero che la facoltà di chiedere l’applicazione di riti alternativi estrinseca una modalità di esercizio del fondamentale diritto di difesa, tuttavia la negazione di questa facoltà, solo per una determinata categoria di reati, non ne determina una compressione decisiva.
Pertanto, la norma ha continuato ad essere legittimamente applicata dai giudici che, attraverso un’evoluzione nomofilattica, ne hanno limitato la portata applicativa, fino ad arrivare alla consacrazione dell’orientamento più garantista con la sentenza in esame.
A tale orientamento tuttavia se ne contrappone un secondo (Cass. Pen., Sez. III, 12.03.2019, n. 10800; Cass. Pen., Sez. III, 26.11.2019, n. 48029; Cass. Pen., Sez. III, 26.03.2021, n. 11620), ad oggi maggioritario, per il quale l’estinzione del debito tributario non rappresenta un obbligo per poter accedere al rito alternativo.
Il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento rappresenta quindi una causa di non punibilità dei reati ex artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, lo stesso non può logicamente, allo stesso tempo e per le stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili
Per i delitti di omesso versamento, infatti, le condizioni per accedere alla causa di non punibilità paiono le medesime rispetto a quelle necessarie per poter beneficiare del rito speciale.
Ed allora, delle due l’una: o il contribuente estingue il debito nei termini previsti, usufruendo quindi della non punibilità, oppure accede al rito speciale, anche al di fuori dei limiti previsti dalle norme della legge speciale, in quanto il pagamento potrebbe solamente rendere il reato non punibile.
Sul punto è evidente che l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado non può mai costituire presupposto per l’accesso al rito del patteggiamento, perché se si verifica, dà già luogo alla non punibilità, ovvero, se non si verifica, anche tenuto conto della minore gravità di tali reati, il legislatore avrebbe comunque optato per concedere la possibilità di usufruire del rito alternativo.
Quadro differente andrebbe invece delineato per i delitti di dichiarazione infedele ed omessa, per i quali il pagamento del debito non rappresenta automaticamente una causa di non punibilità, bensì solo quando, congiuntamente avvenga in collegamento con il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, ovvero il ravvedimento o la presentazione siano spontanei, ovvero intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali (S.LOCONTE, Op. cit.).
Sul rapporto tra reati tributari e accesso ai riti alternativi si è di recente pronunciata la Corte di cassazione (Cass. Pen., Sez. III, 05.07.2022, n. 25656).
Il primo motivo di gravame, la violazione di legge in relazione all’art. 13-bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000, riguardava il fatto che non era stata soddisfatta la condizione di ammissibilità al rito alternativo, cioè l'estinzione del debito tributario con il pagamento delle sanzioni amministrative e degli interessi.
Col secondo motivo si lamenta il vizio di violazione di legge sull'erronea applicazione dell'art. 12-bis D.Lgs. n. 74/2000, essendo stata omessa nella sentenza impugnata la confisca obbligatoria diretta e per equivalente del profitto del reato ex art. 8 della medesima disposizione, quantificabile nell'importo dell'Iva indicata nelle fatture emesse e non versata all'erario.
La Corte di Cassazione, ritenendo ammissibile solamente il primo motivo, ritiene che la preclusione al patteggiamento posta dall’art. 13-bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000 in caso di mancata estinzione del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento, opera solo con riguardo ai più gravi reati dichiarativi di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5, richiamati dall'art. 13, comma 2, dal momento che, in tali ipotesi, l'integrale pagamento del debito effettuato prima del predetto termine, ma dopo la formale conoscenza, da parte dell'autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, vale solo a ridurre il disvalore penale del fatto e non esclude la punibilità.
Al contrario tale disposizione non opera per i reati di omesso versamento di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, richiamati dall'art. 13, comma 1, D.Lgs. 74/2000, per i quali l'estinzione del debito determina la non punibilità e, quindi, non può valere quale condizione per accedere al patteggiamento.
La Suprema Corte ritiene quindi che l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento di primo grado non può mai costituire presupposto per l’accesso al rito del patteggiamento, perché se si verifica, dà già luogo alla non punibilità; e, al contrario, se non si verifica il legislatore avrebbe comunque optato per concedere la possibilità di usufruire del rito alternativo (G. DE SANTIS, La cassazione ribadisce il sì al patteggiamento senza pagamento del debito tributario, in Osservatorio dei reati tributari, 31.03.21).
E difatti, esaminando la pronuncia de quo, i giudici di legittimità sono chiari, con riferimento a tale punto, nel ritenere che: “Secondo la giurisprudenza, in tema di reati tributari, la preclusione al patteggiamento posta dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13-bis, comma 2, per il caso di mancata estinzione del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento opera solo con riguardo ai più gravi reati dichiarativi di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5, richiamati dall'art. 13, comma 2, dello stesso decreto, dal momento che, in tali ipotesi, l'integrale pagamento del debito effettuato prima del predetto termine, ma dopo la formale conoscenza, da parte dell'autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, vale solo a ridurre il disvalore penale del fatto e non esclude la punibilità, mentre non opera per i reati di omesso versamento di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, richiamati dall'art. 13, comma 1, D.Lgs. n. citato, per i quali l'estinzione del debito determina la non punibilità e, quindi, non può valere quale condizione per accedere al patteggiamento”.
Con specifico riferimento all’emissione di fatture false al fine di far evadere l’imposta sui redditi e sul valore aggiunto i giudici di legittimità hanno specificato che: “Se la fattura si riferisce a un'operazione inesistente, non è consentita, quindi la variazione in diminuzione; conseguentemente il cedente o falso prestatore deve sempre versare l'imposta esposta in fattura, mentre l'acquirente o il committente non può in alcun caso portare in detrazione l'Iva per assenza del suo presupposto, ossia l'acquisto di beni o servizi acquistati nell'esercizio d'impresa, arte o professione.
Poiché l'emissione delle fatture per operazioni inesistenti genera l'obbligo del pagamento dell'imposta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, ne consegue che per poter accedere al patteggiamento è necessario il pagamento integrale dei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie nonché il ravvedimento operoso, come previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13-bis, comma 2.
Deve, pertanto, affermarsi che la preclusione al patteggiamento posta dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13-bis, comma 2, per il caso di mancata estinzione del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento opera anche con riferimento all'art. 8 D.Lgs. n. 74 del 2000”.
La Corte di cassazione, accogliendo il primo motivo di ricorso e ritenendo assorbito il secondo, ha rinviato al Tribunale per un nuovo giudizio.
Se dunque la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che la preclusione di cui all’art. 13-bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000 è condizione necessaria per accedere al patteggiamento, una parte (Cass. Pen., Sez. III, 26.03.2021, n. 11620) ha mutato orientamento nell’ottica di ritenere che l’integrale estinzione del debito tributario non sia più una condizione necessaria e vincolante per accedere al patteggiamento anche per i reati di cui agli artt. 2,3, 4 e 5 D.Lgs. 74/2000.
Ed in effetti tale soluzione risolve positivamente tutti gli interessi in gioco.
Da un lato infatti permette allo Stato di recuperare il quantum dovuto e di evitare i costi di un procedimento penale comprensivo dei tre gradi di giudizio e dall’altro permette al contribuente imputato di accedere al rito del patteggiamento potendo beneficiare di tutte le conseguenze da esso derivanti ed anche, sussistendone i presupposti, della sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p.-
Con la sentenza in esame invece vi è stata un’estensione anche al delitto di cui all’art. 8 D.Lgs. 74/2000, della previsione dell’art. 13-bis, comma 2, laddove l’accesso all’applicazione della pena su richiesta delle parti viene subordinato all’estinzione del debito tributario.
Sul punto, infatti, la giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ., Sez. Trib., 22.10.2019, Ord. n. 26983) ha affermato il principio per cui: “(…) costituisce attuazione dell'art. 21, paragrafo 1, lett. c), della sesta direttiva 77/388/CEE, come modificata dalla direttiva 91/680/CEE del Consiglio, del 16 dicembre 1991 - al quale è subentrato l'art. 203 della direttiva CE 2006/112 il principio per cui chiunque indichi l'IVA in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta”.
Ed in tal senso quindi: “(…) l'art. 21, comma 7 cit. va interpretato nel senso che il corrispondente tributo viene, in realtà, ad essere considerato "fuori conto", e la relativa obbligazione, conseguentemente, "isolata" da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione (tra IVA "a valle" ed IVA "a monte") che presiede alla detrazione d'imposta di cui all'art. 19 D.P.R. citato; e ciò anche perché l'emissione di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata come delitto”(Ex multis Cass. Pen., Sez. I, 29.01.2014, n. 12995).
Si assiste quindi ad un ritorno ad una maggiore rigorosità ed interpretazione letterale della norma da parte della Corte di cassazione in merito all’accesso ai riti alternativi, ed in particolare al patteggiamento, con la conseguenza che per il contribuente imputato sarà arduo, se non impossibile, risolvere il procedimento penale senza aver prima provveduto all’integrale estinzione del debito tributario.
Certo è che, mediante tale insuperabile preclusione che si pone in contrasto con le finalità della c.d. Riforma Cartabia volta a snellire il procedimento penale e a privilegiare l’accesso ai riti alternativi, l’imputato sarà più portato a scegliere il rito ordinario, magari con la possibilità di vedersi riconosciuta la prescrizione ovvero l’improcedibilità ex art. 344-bis c.p.p., con la conseguenza che la situazione, già alquanto critica, degli uffici giudiziari risulterà ancora più oberata.