argomento: Attuazione del tributo - Giurisprudenza
La Suprema Corte di Cassazione con le due pronunce in commento in materia di deducibilità di “costi neri” in caso di accertamento induttivo è giunta a conclusioni solo apparentemente contrastanti. Le due ordinanze in esame offrono lo spunto per constatare che il diverso trattamento riservato a eventuali “costi neri” afferenti a “ricavi neri” è legato alla tipologia di presunzioni utilizzate nella determinazione induttiva del reddito accertato piuttosto che alla previa imputazione o meno dei costi a conto economico. Sicché, qualora l’accertamento sia fondato su presunzioni legali relative, come nell’induttivo finanziario, spetterà al contribuente fornire la prova contraria concernente l’esistenza e la deducibilità dei “costi neri”, stante l’inversione dell’onere della prova; di contro, qualora l’accertamento sia basato su presunzioni semplici o semplicissime, come nell’induttivo puro, spetterà all’Ufficio dimostrare i criteri da cui ha inferito l’esistenza del maggiore reddito asseritamente sottratto a tassazione. In ogni caso, l’Ufficio dovrà considerare gli eventuali “costi neri” connessi ai maggiori ricavi induttivamente accertabili, al fine di colpire una grandezza netta e non lorda, della quale dovrà dare contezza nella motivazione dell’atto impositivo.
» visualizza: il documento (Corte di Cass, ord. 11 luglio 2022, n. 21800)PAROLE CHIAVE: - accertamento induttivo - deducibilità dei costi - presunzioni - onere della prova
di Francesco Odoardi
1. Le due ordinanze, pronunciate a distanza di circa un semestre l’una dall’altra, sono senz’altro utili per consentire una ricognizione in ordine al pensiero della Suprema Corte in materia di deducibilità di “costi neri” in sede di accertamento induttivo. L’ordinanza n. 33545/2021, occupandosi di un “accertamento induttivo puro” (ossia quello regolato dall’art. 39, comma 2, del DPR n. 600/1973) stabilisce un principio che sembrerebbe consolidato, così riassumibile: in “tema di accertamento induttivo cd. puro, l'Amministrazione finanziaria deve ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto” (citazione estrapolata dalla ordinanza in commento che richiama, ex multis, anche Cass. ord. n. 26748/2018). Nell’ordinanza più recente, in tema di “accertamento induttivo finanziario” (ossia quello scaturente dalle verifiche di cui all’art. 32, comma 1, n. 2 e 7, DPR n. 600/1973, in materia di imposte sul reddito e di cui all’art. 51, comma 2, n. 2, DPR n. 633/1972 relativamente all’Iva) si legge che se “è vero, infatti, che nella ricostruzione dei ricavi effettuata, in via presuntiva, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, sulla base dei prelevamenti […] operati su conti correnti, deve tenersi conto anche dei costi di produzione, è altrettanto vero che il principio afferente alla loro incidenza percentualizzata […] opera […] soltanto in caso di accertamento induttivo puro ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, ma non anche in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come per le indagini bancarie) […]”. Poiché entrambe le ordinanze richiamano nella propria motivazione la sentenza della Corte cost. 8 giugno 2005, n. 225, che sembrerebbe fissare un principio generalizzato in base al quale in “caso di accertamento induttivo, si deve tenere conto - in ossequio al principio di capacità contributiva - non solo dei maggiori ricavi ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall'ammontare dei prelievi non giustificati”, è interessante individuare le ragioni per cui nelle ordinanze in commento vi sia stato un trattamento differenziato in ordine alla deducibilità dei “costi neri”.
2. L’ordinanza più recente sembra risolvere troppo sbrigativamente la questione, dando forse eccessivo risalto ad un aspetto a dir poco fuorviante. Infatti, la Suprema Corte osserva che, in generale, il principio di previa imputazione a conto economico (attualmente regolato dall’art. 109, comma 4, del TUIR) ammette deroghe solo nel caso di accertamento induttivo puro (art. 39, comma 2, citato), dato che, in tal caso, si prescinde totalmente dalla contabilità, la cui inesistenza o inattendibilità costituisce, peraltro, il principale presupposto di questo metodo di accertamento. Nel caso specifico, dalla motivazione dell’ordinanza in questione sembra che, trattandosi di un accertamento c.d. “finanziario”, la corretta tenuta della contabilità non era stata messa in discussione e, conseguentemente, potevano rilevare solo quei costi previamente imputati a conto economico.
3. Il richiamo al principio di previa imputazione a conto economico appare poco convincente nei termini in cui è stato formulato ed anzi, come si diceva, risulta perfino fuorviante rispetto alla soluzione del caso. In primo luogo, la tesi dell’indeducibilità dei costi non previamente imputati a conto economico sembra attribuire al principio in parola un ambito applicativo diverso da quello risultante dalla norma vigente (che ammette una espressa deroga quando i costi “risultano da elementi certi e precisi”), evidentemente dimenticando, a tale riguardo, le condivisibili e diffuse critiche della dottrina (critiche che, nel corso del tempo, hanno indubbiamente contribuito ad un – pur non sempre lineare – ridimensionamento del principio in parola, da ultimo comprovato dal carattere recessivo rispetto ad eventuali divergenti regole contabili; si vedano v. Fantozzi-Paparella, Appunti dalle lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2019, 175 e ss.; sulla natura di “sanzione impropria” si veda Tinelli, Il reddito di impresa nel diritto tributario. Principi generali, Milano, 1991, 203; relativamente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 33, lett. q) e comma 58, lett. h), L. n. 244/2007 si veda, in senso critico, Viotto, L’accertamento delle valutazioni di bilancio: i poteri dell’amministrazione anche alla luce della recente soppressione delle deduzioni extracontabili e delle modifiche concernenti i soggetti che adottano gli IAS, in Riv. Dir. Trib., 2009, I, 223; quanto ad una ricognizione della questione in ordine alla deducibilità dei costi “extra-contabili”, v. anche La Rosa, La deducibilità dei costi non imputati al conto dei profitti e delle perdite (art. 75, quarto comma), in Rass. Trib., 1987, I, p. 431; si vedano anche le considerazioni di Artuso, La deducibilità dei “costi neri” tra disciplina specifica e profili sistematici: brevi spunti di riflessione, in Riv. dir. trib., 2013, I, 982 e ss. con ampie citazioni di dottrina e giurisprudenza). In secondo luogo, appare del tutto irragionevole ritenere preclusa la deducibilità dei “costi neri” non previamente imputati nelle ipotesi in cui esista una contabilità formalmente corretta, per poi, al contrario, ammetterla nel caso di accertamento induttivo-extracontabile. Da una parte, infatti, una siffatta tesi sembrerebbe addirittura favorire gli evasori totali rispetto a coloro i quali hanno tenuto una contabilità formalmente corretta; inoltre, se l’assunto di partenza fosse corretto, si dovrebbe ritenere esistente un trattamento differenziato in ordine alla deducibilità dei “costi neri” all’interno dello stesso metodo extra-contabile a seconda che il relativo presupposto dipenda o meno da questioni legate alla inesistenza/inattendibilità della contabilità (come è noto, ad esempio, il metodo induttivo puro è utilizzabile anche in caso di omessa dichiarazione del reddito di impresa). La conclusione, invero, è che un diverso trattamento dei “costi neri” negli accertamenti induttivi dipende da altri profili.
4. Il differente trattamento riservato a eventuali “costi neri” afferenti a “ricavi neri” dipende dal tipo di presunzioni utilizzate nella determinazione induttiva del reddito accertato. Nel caso di accertamento fondato (totalmente o parzialmente) su presunzioni legali relative (come è, ad esempio, l’accertamento finanziario, secondo cui “I dati ed elementi attinenti ai rapporti […] sono posti alla base delle rettifiche […] se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito […]” ovvero si considerano “ricavi […] se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario”), in considerazione della conseguente inversione dell’onere della prova determinata dalla particolare tipologia di presunzioni, spetterà al contribuente fornire la prova contraria. Nel reddito di impresa, la prova di eventuali “costi neri” dovrà rispettare i principi generali del reddito di impresa (correttamente la recente ordinanza Cass. 26 luglio 2022, n. 23293, stabilisce che rilevano i costi che soddisfino “i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità”), potendo trovare rilevanza, però, anche quei “costi neri” che il contribuente riesca a dimostrare di aver sostenuto avvalendosi, a sua volta, di una prova contraria di tipo presuntivo (orientamento ribadito, da ultimo, dall’ordinanza Cass. 30 maggio 2022, n. 17413). Nel caso di accertamento induttivo fondato su presunzioni semplici (o, quando consentito, su meri indizi che, difettando dei requisiti di gravità precisione e concordanza previsti dall’art. 2729 cod. civ., vengono anche definiti nella prassi “presunzioni semplicissime”), operando tali mezzi sul piano della prova ( si veda, sul tema specifico, Cipolla, La prova tra procedimento e processo tributario, Padova, 2005, 484 e ss.), sarà comunque l’Ufficio a dover dimostrare i criteri da cui ha dedotto l’esistenza del maggiore “reddito” asseritamente sottratto a tassazione. Pertanto, si possono verificare due diverse situazioni che, però, come vedremo, meritano un trattamento analogo. Quando il metodo induttivo pone il “reddito” quale fatto ignoto oggetto di dimostrazione attraverso un ragionamento logico-inferenziale, non vi è dubbio che l’Ufficio sia obbligato (obbligo e non onere, in considerazione della funzione impositiva sottesa al potere di accertamento) a tenere conto anche di possibili costi di produzione afferenti i “ricavi neri”, dato che il fine del potere impositivo è quello di accertare una “grandezza netta” (siamo ad esempio nel caso dell’art. 39, comma 2, DPR n. 600/1973). Tuttavia, anche nelle diverse ipotesi in cui l’Ufficio può avvalersi di presunzioni semplici per far emergere “ricavi neri” (ad esempio, nel caso delle presunzioni gravi precise e concordanti di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), DPR n. 600/1973), lo stesso Ufficio dovrà necessariamente tenere in debito conto, altresì, l’eventuale incidenza di possibili “costi neri” afferenti ai maggiori ricavi accertabili (conformemente all’interpretazione della Corte cost. n. 225/2005). In definitiva, ciò non significa che l’Ufficio sia sempre obbligato a considerare una percentuale (forfettaria o meno) di “costi neri” nella produzione dei ricavi induttivamente accertabili, ma che, nella motivazione dell’atto di accertamento, dovranno essere illustrate le ragioni per cui il risultato dell’accertamento rappresenti una “grandezza netta” (circostanza che si può verificare tanto nell’ipotesi in cui i “costi neri” siano stati espressamente considerati, quanto in quelle in cui si forniscano argomenti a sostegno dell’inesistenza di costi diversi da quelli contabilizzati a fronte di ulteriori proventi positivi accertati; si veda al riguardo Antonini, Riconoscimento dei costi negli accertamenti induttivi, in in GT – Rivista di giur. trib., 2018, 519; Artuso, La deducibilità dei “costi neri” tra disciplina specifica e profili sistematici: brevi spunti di riflessione, op. cit., 996; Bruzzone, Sono deducibili i "costi neri" attinenti ai ricavi induttivamente accertati, in GT – Rivista di giur. trib., 1996, 716; sul piano processuale penale si vedano anche Cardone-Pontieri, I costi in nero sostenuti per ottenere ricavi non contabilizzati, Riv. dir. trib., 2016, III, 6 e ss.).
5. In conclusione, va constatato che le due decisioni in commento sono solo apparentemente in contrasto. L’ordinanza più risalente sembra la più lineare ed ha ad oggetto un principio ormai consolidato che si può così riassumere: nell’accertamento induttivo extracontabile, l’Ufficio può avvalersi di “presunzioni semplicissime” per dimostrare un maggior reddito ma, qualora utilizzi un argomento di prova per far emergere maggiori ricavi, dovrà, al contempo, considerare le relative componenti negative afferenti ai ricavi induttivamente accertabili, al fine di colpire una grandezza netta e non lorda (conformemente al principio di capacità contributiva, come interpretato dalla Consulta). Il secondo arresto giunge ad una conclusione corretta passando, però, per un percorso argomentativo meno convincente: la Suprema Corte ha condivisibilmente ritenuto irrilevanti i “costi neri” nel caso specifico non tanto perché non previamente imputati al conto economico (circostanza che, in fin dei conti, si è rilevata sovrabbondante e irrilevante in ordine al decisum), ma perché il contribuente, essendone onerato, non aveva fornito alcuna prova circa l’esistenza e le condizioni di deducibilità degli stessi (secondo i principi generali del reddito di impresa, come sopra accennato). In questi termini, risulta meno problematica la questione circa la possibilità di individuare in via forfettaria una percentuale di “costi neri” afferenti ai ricavi induttivamente accertabili: in tutti i casi in cui l’Ufficio fornisca prove di una “maggiore ricchezza” (netta o lorda che sia), lo stesso ha il dovere di illustrare nell’atto di accertamento le ragioni per cui la rettifica abbia ad oggetto una “ricchezza netta” (eventualmente scomputando dai “ricavi neri” una percentuale forfettaria di “costi neri” ma, comunque, sempre motivando in ordine al proprio operato); nei casi in cui l’Ufficio si avvalga di presunzioni legali relative, poiché il contribuente è onerato di fornire la prova contraria (anche presuntiva) circa l’esistenza e la deducibilità dei “costi neri”, sarà maggiormente complesso dimostrare la sussistenza delle condizioni di deducibilità (specie con riferimento alla certezza, determinabilità e inerenza) riguardo ad eventuali proventi forfettariamente determinati.