argomento: IVA
I numerosi interventi legislativi che negli ultimi anni hanno interessato la disciplina IVA delle prestazioni di assistenza sociale rese dalle cooperative sociali determina la possibile incompatibilità tra la disciplina nazionale e quella europea con specifico riferimento al regime applicabile agli asili gestiti da cooperative sociali ONLUS. Infatti, secondo la disciplina nazionale attuale, a esse dovrebbe applicarsi l’aliquota ridotta del 5% anche qualora esercitino attività che rientrano dal punto di vista oggettivo nell’art. 10 c. 1 n. 21 del d.P.R. 633/1972, mentre prestazioni identiche rese da soggetti che non sono cooperative sociali ONLUS sono esenti da IVA. Ciò sembra in contrasto sia con la giurisprudenza europea relativa al principio di neutralità, sia con la previsione dell’Allegato III della Direttiva 2006/112/CE secondo la quale l’aliquota ridotta si applica solo alle prestazioni che non sono già esenti.
PAROLE CHIAVE: applicazione aliquota ridotta - imposta sul valore aggiunto - esenzione - asili nido - cooperative sociali ONLUS - compatibilitā
di Alessia Fidelangeli
1. Secondo l’art. 10 c. 1 n. 21 del d.P.R. 633/1972 sono esenti dall’IVA le prestazioni di assistenza sociale rese dai soggetti elencati esplicitamente nello stesso decreto. La disciplina IVA delle prestazioni di assistenza sociale rese dalle cooperative sociali è stata oggetto, negli ultimi anni, di numerosi interventi legislativi. Essi hanno comportato la possibile incompatibilità tra la disciplina nazionale e quella europea con specifico riferimento al regime applicabile agli asili gestiti da cooperative sociali ONLUS. Con il presente contributo ci si propone di indagare l’evoluzione legislativa della suddetta disciplina, la sua applicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate e la coerenza rispetto alla Direttiva IVA e alla giurisprudenza europea.
2. Secondo la formulazione originaria della Tabella A - Parte II, n. 41-bis allegata al d.P.R. 633/1972 a una serie di prestazioni, tra cui le prestazioni sociosanitarie ed educative dei minori, rese da cooperative e loro consorzi sia direttamente, sia in esecuzione di contratti di appalto e di convenzioni in generale, si applicava l’aliquota ridotta del 4%. La legge finanziaria 2007 (Art. 1 c. 331, primo e secondo periodo, della l. 27 dicembre 2006, n. 296) aveva esteso in via interpretativa l’applicabilità dell’aliquota ridotta del 4% anche ad alcune delle prestazioni contemplate dall’art. 10 del d.P.R. 633/1972 (Art. 10 c. 1 nn. da 18 a 21, e 27-ter del d.P.R. 633/1972), tra cui quelle rese da asili, quando realizzate dalle cooperative e dai loro consorzi nei confronti dei soggetti svantaggiati elencati dalla disciplina precedentemente menzionata (Tabella A - Parte II, n. 41-bis). Ciò avveniva nell’ipotesi in cui tali prestazioni fossero rese sia direttamente dalle cooperative e dai loro consorzi, sia sulla base di contratti di appalto oppure di convenzioni. La stessa norma prevedeva che le cooperative sociali specificamente disciplinate dalla l. 8 novembre 1991, n. 381 potessero optare, in quanto ONLUS, per l’applicazione dell’aliquota ridotta del 4% oppure per l’esenzione. Secondo la ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate la disciplina rischiava di violare la Direttiva 2006/112/CE (Circolare del 15 luglio 2016, n. 31/E, p. 4). Essa non sarebbe stata in linea, da un lato, con l’art. 110 della Direttiva IVA che prevedeva la possibilità per gli Stati membri di mantenere aliquote IVA ridotte inferiori al 5% solo se già applicate anteriormente al 1° gennaio 1991. L’aliquota IVA del 4% era infatti stata introdotta successivamente a tale data. Dall’altro lato, e più in generale, essa non sarebbe stata in linea nemmeno con l’art. 98 della Direttiva, che elenca le ipotesi in cui gli Stati possono introdurre aliquote ridotte. Per tali ragioni, la legge di stabilità 2013 aveva modificato la disciplina. Tuttavia, poco tempo dopo, con la legge di stabilità 2014 (Art. 1 c. 172 della l. 27 dicembre 2013, n. 147), l’aliquota del 4% era stata ripristinata per le prestazioni rese esclusivamente dalle cooperative sociali di cui alla l. 381/1991 (tra cui le cooperative sociali ONLUS di diritto) e dai loro consorzi. Nella disciplina risultante, in vigore fino al 2015 (L. 27 dicembre 2006, n. 296, che aveva esteso l’applicabilità dell’aliquota del 4% prevista per le sole prestazioni di cui al n. 41-bis anche alle prestazioni di cui al n. 21 dell’art. 10 c. 1 del d.P.R. 633/1972), le prestazioni proprie di asili rese dalle cooperative “generiche”, prive cioè della qualifica di ONLUS, erano soggette all’aliquota ordinaria; unicamente alle cooperative sociali ONLUS di diritto, di cui alla l. 381/1991, era invece consentito scegliere se applicare l’aliquota ridotta del 4% oppure se optare per il regime di esenzione ex art. 10 del d.P.R. 633/1972 (Circolare 31/E del 15/07/2016, cit., p. 4). Nel 2015 veniva introdotta la disposizione che prevedeva che le prestazioni socio-sanitarie, educative e assistenziali (comprese quelle degli asili) rese dalle cooperative sociali o dai loro consorzi fossero assoggettate ad aliquota del 5% se rese in favore dei soggetti svantaggiati indicati nello stesso numero 27-ter del d.P.R. 633/1972 dalle stesse cooperative sociali e loro consorzi (Art. 1 c. 960, 962, 963 della l. 28 dicembre 2015, n. 208); contestualmente veniva eliminata la possibilità per le cooperative sociali ONLUS di esercitare l’opzione per l’esenzione. Attualmente, secondo il regime risultante dalla modifica legislativa del 2015, le prestazioni tipicamente svolte da asili nei confronti delle categorie di soggetti svantaggiati più sopra richiamati (nel caso di cui ci occupiamo ai minori) sono assoggettate: (1) all’aliquota IVA del 5%, se rese da cooperative sociali e loro consorzi; (2) al regime di esenzione dall’imposta, se rese da cooperative non sociali e non ONLUS oppure da altri soggetti, poiché l’operazione in tal caso rientra tra le esenzioni di cui al n. 21 dell’art. 10 c. 1 del d.P.R. 633/1972. Dal 2015, dunque, alle cooperative sociali ONLUS che gestiscono asili ed effettuano le operazioni nei confronti dei minori dovrebbe applicarsi l’aliquota ridotta del 5% anche qualora esercitino attività che rientrano, dal punto di vista oggettivo, nell’art. 10 c. 1 n. 21 del d.P.R. 633/1972. Diversamente, le prestazioni rese da soggetti che non sono cooperative sociali ONLUS e gestiscono asili sono esenti da IVA.
3. Con la Circolare 31/E del 2016 l’Agenzia delle Entrate ha confermato che alle prestazioni precedentemente coperte dall’esenzione rese da cooperative sociali ONLUS, e dunque anche gli asili, si applica la nuova aliquota ridotta (Circolare 31/E, cit., p. 8). La Circolare ha anche fornito chiarimenti sulle ragioni della modifica legislativa del 2016: essa sarebbe frutto della potenziale incompatibilità della disciplina risultante dalla modifica del 2014 con la disciplina europea. I profili di potenziale incompatibilità erano stati messi in luce dall’apertura di una formale procedura di infrazione da parte della Commissione europea, poi archiviata a seguito della modifica (Caso EU PILOT 6174/14/TAXU, archiviato con decisione del 16 giugno 2016). Più recentemente, con varie risposte ad interpello, l’Agenzia ha confermato che sia alle attività socio-formative, sportive e laboratoriali rese da un Raggruppamento Temporaneo di Imprese (RTI) interamente composto da cooperative sociali, sia alle prestazioni di assistenza di natura alberghiera e sanitaria rese da una cooperativa sociale nell'ambito di una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) si applica l’aliquota del 5% (Risposta a interpello n. 400/2021).Diversamente le prestazioni di assistenza svolte presso ospedali, case di cura, case di riposo, scuole e comunità in genere rese da una società e le forniture di assistenza sociale non domiciliare in favore di soggetti con disturbi psichiatrici rese da un’impresa sociale sono esenti (Risposta a interpello n. 221/2019).
4. Il regime IVA applicabile alle prestazioni rese da asili gestiti da cooperative sociali ONLUS deve essere analizzato alla luce della disciplina europea. Secondo l’art. 132 della Direttiva IVA gli Stati membri esentano le prestazioni di servizi e le cessioni di beni strettamente connesse con l'assistenza e la previdenza sociale, comprese quelle fornite dalle case di riposo, effettuate da enti di diritto pubblico o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi carattere sociale (Art. 132 c. 1 lett. g) della Direttiva 2006/112/CE). Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia, al fine di individuare correttamente le operazioni rientranti in ciascuna di queste categorie, è necessario verificare che siano contestualmente soddisfatti sia il requisito oggettivo, relativo al tipo di attività svolte, sia quello soggettivo, attinente alla natura del prestatore (CGUE, sentenza del 15 aprile 2021, EQ, C-846/19, EU:C:2021:277, p.ti 56 ss. Per un’analisi più approfondita delle esenzioni IVA e della giurisprudenza rilevante, v., ex multis, M. Basilavecchia, voce “Agevolazioni, esenzioni ed esclusioni”, in Enc. dir., V, 2002; M. Basilavecchia, “Lost in translation”: le esenzioni IVA sono riservate al diritto europeo, in Corr. Trib. 2010, vol. 33, n. 12, pp. 987-990; A. Fedele, Esenzioni ed esclusioni nella disciplina dell’IVA, in Riv. dir. fin., 1973, I; F. Montanari, Le operazioni esenti nel sistema dell’IVA, Torino, 2012; A. Viotto, Le esenzioni, in F. Tesauro (a cura di), L’imposta sul valore aggiunto, Torino, 2001). L’esplicita menzione del “riconoscimento degli Stati” per il requisito soggettivo lascia margine agli Stati membri nell’attuazione nazionale della disposizione, a differenza di quanto avviene per le esenzioni puramente oggettive previste, ad esempio, dall’art. 135 della Direttiva. Infatti, secondo la giurisprudenza europea, il requisito del riconoscimento implica che gli Stati godano di una certa autonomia nell’individuazione dei soggetti intitolati a ricevere i benefici dell’esenzione (CGUE, sentenza del 3 aprile 2003, Hoffmann, C-144/00, EU:C:2003:192, p.to 38). D’altronde, ciò è fisiologico nell’assenza di una definizione europea del concetto di carattere sociale, a cui il riconoscimento è strumentale. Ciò non di meno, la giurisprudenza della Corte ha fornito alcune indicazioni riguardo al requisito del riconoscimento. In particolare, i legislatori nazionali possono prendere in considerazione, ad esempio, l’esistenza di disposizioni specifiche, il carattere di interesse generale delle attività del contribuente, il fatto che altri contribuenti che svolgono le stesse attività beneficiano di un analogo riconoscimento, nonché la circostanza che i costi di tali prestazioni sono presi in carico da organismi di previdenza sociale (Sentenza EQ, cit., p.to 70. Sul punto si veda la nota a sentenza P. Santin, I Care a Lot – La disciplina IVA dell’indennità degli amministratori di sostegno tra obbligo di cura, remuneratività e rilievo sociale delle prestazioni, in Studi Tributari Europei (STE), 2021, vol. 11, II, pp. 103-110).
5. Al contempo, la giurisprudenza unionale ha costantemente ribadito la necessità dell’interpretazione uniforme delle esenzioni a tutela della loro corretta applicazione (CGUE, sentenza del 12 marzo 2015, «go fair» Zeitarbeit, C-594/13, EU:C:2015:164, p.to 17), soprattutto nei casi in cui la ragione dell’esenzione sia la tutela dei diritti e la protezione delle categorie più deboli, che potrebbe essere limitata dalla traslazione del peso economico dell’imposta (P. Santin, op. cit., p. 105). Inoltre, nonostante la Direttiva riconosca agli Stati un certo margine di discrezionalità nell’attuazione del profilo soggettivo dell’esenzione, ciò non impedisce di sindacare i regimi attuativi nazionali alla luce dei principi dell’ordinamento dell’Unione. Dunque, il regime applicabile agli asili gestiti da cooperative sociali ONLUS deve essere valutato alla luce del principio di neutralità così come interpretato dalla giurisprudenza europea (Sul principio di neutralità v., ex multis, A. Comelli, Il principio di neutralità dell’IVA nell’ipotesi di effettuazione di operazioni esenti, in Riv. dir. trib., 1995, II, pp. 954 ss.; B. Kolozs, Neutrality in VAT, in M. Lang, P. Melz (eds.), Value Added tax and Direct Taxation, similarities and differences, Amsterdam, IBFD, 2009, pp. 201-212; A. Mondini, Il principio di neutralità dell'iva tra mito e (perfettibile) realtà, in A. Di Pietro, T. Tassani (a cura di), I principi europei del diritto tributario, Padova, 2013), il quale viene declinato anche nel senso di richiedere che merci o prestazioni di servizi simili, che si trovano quindi in concorrenza fra loro, non siano trattati in modo diverso ai fini IVA (CGUE, sentenza del 17 febbraio 2005, Linneweber e Akritidis, C‑453/02 e C‑462/02, EU:C:2005:92, p.to 24, CGUE, sentenza del 10 novembre 2011, Rank Group, C‑259/10 e C‑260/10, EU:C:2011:719, p.to 32). Per determinare se due prestazioni di servizi siano simili occorre tener conto principalmente del punto di vista del consumatore medio, evitando distinzioni artificiose, basate su differenze trascurabili (Sentenza The Rank Group, cit., p.to 43). Due prestazioni di servizi sono quindi simili, stando alla giurisprudenza, quando presentano proprietà analoghe e rispondono alle medesime esigenze del consumatore in base ad un criterio di comparabilità dell’uso e quando le eventuali differenze esistenti tra loro non influiscono significativamente sulla decisione del consumatore medio di optare per l’una o l’altra di tali prestazioni. Dunque, il criterio della similarità secondo il consumatore sembra orientare la valutazione riguardo alla similarità di determinati beni o servizi. Inoltre, al fine della comparabilità o meno di prestazioni, non ci si può limitare a prendere in considerazione le prestazioni isolate, bensì occorre tener conto del contesto in cui esse sono effettuate. Tali considerazioni sono strumentali a garantire che beni, servizi, attività e operazioni che assolvono al medesimo ruolo all’interno del mercato ricevano il medesimo trattamento, e dunque esse si rivelano assai pertinenti proprio con riguardo alle esenzioni (Cfr. A. van Doesum-F. Nellen, Economic Reality in EU VAT, in EC Tax Review, 2020, vol. 29, n. 5, pp. 213-226). La centralità dell’obiettivo di garantire che prestazioni equivalenti dal punto di vista economico siano soggette al medesimo trattamento IVA è evidente, ad esempio, nella giurisprudenza europea che ha confermato che l’esenzione relativa alle prestazioni connesse con l’assistenza e la previdenza sociale va applicata anche alle persone fisiche, malgrado la norma parli di organismi (CGUE, sentenza del 15 novembre 2012, Zimmermann, C-174/11, EU:C:2012:716, p.ti 58-59; CGUE, sentenza del 7 settembre 1999, Gregg, C‑216/97, EU:C:1999:390, p.to 17; sentenza Hoffmann, cit., p.to 24; CGUE, sentenza Kingscrest Associates e Montecello, cit., p.ti 35 e 47; CGUE, sentenza del 17 giugno 2010, Commissione/Francia, C‑492/08, EU:C:2010:348, p.ti 36 e 37). Infatti, proprio riguardo alla nozione di “organismi riconosciuti come aventi carattere sociale dallo Stato membro interessato”, la Corte ha affermato che è in via di principio sufficientemente ampia da comprendere anche persone fisiche ed enti privati che perseguono uno scopo di lucro; dunque, la normativa nazionale non può prevedere condizioni sostanzialmente diverse relative, da un lato, agli organismi che perseguono uno scopo di lucro e, dall’altro lato, alle persone giuridiche senza scopo di lucro (Sentenza Zimmermann, cit., p.ti 58-59). È, infatti, noto che l’interpretazione europea della nozione di organismi aventi carattere sociale sia stata ampliata grazie all’interpretazione della Corte di Giustizia con una crescente svalutazione della qualifica soggettiva formale a favore della natura sostanzialmente sociale delle attività svolte dal singolo (A. Comelli, La “realtà economica e commerciale” quale “criterio fondamentale” per l’applicazione della disciplina IVA, in Dir. Prat. Trib. Internaz., 2022, n. 1, pp. 110 ss.; F. Montanari, La prevalenza della sostanza sulla forma nel diritto tributario, Padova, 2019; A. van Doesum - F. Nellen, op. cit., p. 215). Alla luce delle suddette considerazioni parrebbe arbitrario applicare l’esenzione di cui all’art. 10 c. 1 n. 21 del d.P.R. 633/1972 alle imprese con scopo di lucro, ma non alle cooperative sociali ONLUS che svolgono la medesima attività. Tale interpretazione sarebbe avvalorata anche dalla giurisprudenza europea che sottolinea l’importanza dell’interpretazione teleologica dell’art. 132 c. 1 lett. g) della Direttiva. In quest’ottica, le esenzioni strettamente connesse con l’assistenza e la previdenza sociale “mirano a ridurre il costo di tali servizi e a rendere pertanto questi ultimi maggiormente accessibili ai singoli in grado di beneficiarne” (CGUE, sentenza del 26 maggio 2005, Kingscrest Associates e Montecello, EU:C:2005:322, C-498/03, p.to 30). Le suddette esenzioni, poi, garantendo un trattamento più favorevole ad alcune prestazioni di servizi di interesse pubblico dispensate nel settore sociale, mirano a ridurre il costo di tali servizi e a renderli pertanto maggiormente accessibili ai singoli in grado di beneficiarne (Sentenza Kingscrest Associates, cit., p.to 30). Se l’obiettivo della norma è estendere la platea dei potenziali fruitori del servizio, è irragionevole non applicare l’esenzione alle cooperative sociali ONLUS.
6. La necessità di garantire lo stesso trattamento giuridico a operazioni equivalenti dal punto di vista economico sarebbe coerente anche con quanto affermato dalla prassi riguardo all’esenzione prevista a livello nazionale per le attività di assistenza sociale. L’Agenzia ha, infatti, costantemente ribadito la valenza oggettiva dell’esenzione di cui all’art. 10 c. 1 n. 21 del d.P.R. 633/1972; il regime di esenzione, cioè, dovrebbe applicarsi alle prestazioni ivi indicate senza che assuma alcun rilievo la natura giuridica del soggetto che le effettua (Risposta a interpello n. 221/2022; risoluzione 25 novembre 2005, n. 164/E; risoluzione 9 aprile 2004, n. 60/E; risoluzione 16 marzo 2004, n. 39/E; risoluzione 8 gennaio 2002, n. 1/E). La natura oggettiva dell’esenzione implicherebbe, dunque, che essa si applichi a prescindere dal soggetto che effettua la prestazione ed è stata ribadita con riferimento alle attività svolte sia da cooperative sociali, sia da enti aventi scopo di lucro (Risposta a interpello n. 221/2022; risposta a interpello n. 400/2021). Le affermazioni dell’Agenzia trovano conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. Essa ha precisato che, ai fini dell'applicazione dell’esenzione di cui all’art. 10 c. 1 n. 21 del d.P.R. 633/1972, occorre fare riferimento, da un lato, al contenuto e, dall’altro lato, ai destinatari delle prestazioni, che devono essere solo persone meritevoli di particolare protezione poiché “la norma che prevede l’esenzione in esame ha carattere oggettivo, e cioè fa riferimento per la sua applicazione al contenuto e ai destinatari delle prestazioni” (Corte di Cassazione, sentenza del 03 settembre 2001, n. 11353). L’attenzione all’oggettività della prestazione, che emerge dalla prassi e dalla giurisprudenza della Suprema Corte, non significa che la fattispecie non consti di un requisito soggettivo e di uno oggettivo. Significa piuttosto che operazioni equivalenti dal punto di vista oggettivo non debbono essere trattate in modo diverso, in coerenza quindi anche con quanto già affermato in relazione al principio di neutralità (V. il prec. para. 3.1.).
7. Infine, la già menzionata Circolare dell’Agenzia, adottata dopo la legge finanziaria 2016, sottolinea la volontà di allineare la normativa nazionale rispetto alle disposizioni della Direttiva che disciplinano le aliquote ridotte (Circolare 31/E, cit., p. 5). Senonché, l’Allegato III alla Direttiva 2006/112/CE accorda la possibilità di assoggettare ad aliquota ridotta le cessioni di beni e prestazioni di servizi da parte di organismi di cui è riconosciuto il carattere sociale dagli Stati membri e che sono impegnati in attività di assistenza e di sicurezza sociale, “nella misura in cui tali operazioni non siano esenti in virtù degli articoli 132, 135 e 136”. Il fatto che l’aliquota ridotta sia applicabile a determinate operazioni soltanto nell’ipotesi in cui esse non sono esenti in ragione dell’art. 132, sembrerebbe sollevare una possibile incompatibilità tra la normativa nazionale e quella europea, piuttosto che risolverla, a differenza di quanto affermato nella Circolare dell’Agenzia. Se l’Allegato III prevede che l’aliquota ridotta si applichi solo ai casi in cui le operazioni non siano già esenti, infatti, la modifica avrebbe dovuto garantire l’esenzione a tutti, piuttosto che applicare l’aliquota ridotta alle cooperative sociali ONLUS, a meno di non sostenere che le attività degli asili nido non debbano essere esenti tout court. Tuttavia, ciò sarebbe in contrasto sia con la normativa nazionale, sia con la giurisprudenza europea che si è già pronunciata sull’applicabilità dell’esenzione a tali strutture (CGUE, sentenza dell’11 agosto 1995, Bulthuis-Griffioen / Inspecteur der Omzetbelasting, C-453/93, EU:C:1995:265).
8. Si ritiene, quindi, che la normativa nazionale, come risultante dalle modifiche introdotte nel 2015, presenti profili di disallineamento sia rispetto al dato normativo della Direttiva IVA, sia rispetto alla giurisprudenza europea. Tale potenziale incompatibilità, peraltro, non sembrerebbe risolta, ma piuttosto complicata, dalla futura effettiva operatività delle disposizioni individuate dal Codice del Terzo Settore (Cfr. S. Boffano, L’Iva quale “tributo-Cenerentola” della riforma del Terzo Settore, in Riv. Tel. Dir. Trib., 2 giugno 2020; M. Anselmo, Le attività commerciali nella disciplina fiscale del terzo settore, in G. Zizzo (a cura di), La fiscalità del terzo settore, Milano, 2011; V. Ficari, Prime osservazioni sulla “fiscalità” degli enti del terzo settore e delle imprese sociali, in Riv. Trim. Dir. Trib., 2018, pp. 57-93; F. Montanari, Gli enti del terzo settore (ETS) nel sistema dell’IVA: profili soggettivi, in Riv. Trim. Dir. Trib., 2018, n. 2, pp. 371-401; G. Sepio, I criteri di qualificazione fiscale delle attività di interesse generale svolte dagli Enti del Terzo Settore, in Riv. Tel. Dir. Trib., 30 dicembre 2019). Infatti, il Codice del Terzo Settore non introduce modifiche in relazione all’art. 10 c. 1 n. 21 del d.P.R., né in relazione all’applicazione dall’Allegato A - Parte II-bis del d.P.R. 633/1972, che prevede che alle prestazioni svolte da asili si applichi l’aliquota del 5% se rese da cooperative sociali. Non è, dunque, agevole prevedere cosa accadrà quando molti dei soggetti che agiscono nell’area del no profit assumeranno la qualifica di ETS ed essi dovranno di volta in volta interpretare un apparato di norme complesso per individuare la disciplina applicabile, a discapito delle esigenze di certezza e sistematicità poste a base della riforma stessa (S. Boffano, L’Iva quale “tributo-Cenerentola”, cit., p. 438). Posto che la disciplina nazionale dovrà continuare a confrontarsi con il diritto dell’Unione, per l’aspetto di cui si discute sarà comunque necessario accedere a un’interpretazione comunitariamente orientata delle norme nazionali apparentemente discriminatorie o comunque non allineate a quelle europee. In particolare, innanzitutto, la rigida distinzione tra le diverse tipologie di ETS non ha alcuna giustificazione in ambito IVA, se non conforme alla categoria trasversale degli “organismi a carattere sociale” definita dalla Corte di Giustizia (cfr. F. Montanari, Gli enti del terzo settore (ETS), cit., p. 400). In secondo luogo, in ragione del principio di neutralità, occorre garantire un trattamento IVA uniforme ed omogeneo ai diversi soggetti che svolgono le medesime attività e perseguono le medesime finalità, a prescindere dalla qualifica soggettiva formale. Infine, nell’introduzione di aliquote ridotte, gli Stati debbono preliminarmente prestare attenzione al fatto che le prestazioni non siano riconducibili a fattispecie esenti contemplate dalla Direttiva, coerentemente con quanto previsto dall’Allegato III.