Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

22/09/2023 - La tassazione della cessione di credito avvenuta nell’ambito di un’operazione finanziaria, in perenne equilibrio tra IVA e registro

argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza

La cessione di credito è un negozio che può assolvere a molteplici funzioni, ma quando s’inserisce all’interno di affari di natura finanziaria rientra tra le operazioni IVA incluse, sebbene esenti. In tal caso, per il principio di alternatività, viene sottoposta all’imposta di registro nella sola misura fissa.

» visualizza: il documento (Corte di Cass., 19 maggio 2022 n. 16117) scarica file

PAROLE CHIAVE: IVA - principio di alternatività - imposta di registro - cessione di credito - operazioni finanziarie


di Fabio Russo

  1. La necessaria premessa. Con la sentenza annotata, n. 16117 del 2002, depositata dalla Corte di Cassazione all’esito della camera di consiglio del 28 aprile 2022, il giudice di legittimità ritorna sul tema della cessione del credito avvenuta tra soggetti IVA, di carattere finanziario, ribadendo alcuni principi già affermati, non prima di aver sciolto qualche nodo di carattere procedimentale.

Nel caso specifico, infatti, la sentenza della Corte di Giustizia di secondo grado era stata oggetto di ricorso per revocazione, anche questo di esito negativo per il contribuente, il quale impugnava, innanzi il massimo consesso, tanto la sentenza di merito che quella che aveva concluso, in senso chiaramente ostativo, la fase revocatoria.

I ricorsi per cassazione, proposti rispettivamente contro la sentenza d’appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima, debbono essere riuniti, seppur ciò non sia previsto dall’art. 335 c.p.c., in quanto l’esito della revocazione è, ovviamente, pregiudiziale e può risultare determinante ai fini della delibazione dell’impugnazione della sentenza di merito (Cass.19534/2015). 

La Corte, quindi, esamina prima i motivi di ricorso per cassazione proposti avverso la sentenza pregiudiziale e li respinge, in quanto frutto di una errata sussunzione sotto l’errore di fatto, tipico revocatorio, di un vero e proprio errore di giudizio che, in quanto tale, attiene ad una valutazione giuridica perché afferisce al ragionamento decisorio, oggetto di censura, compiuto dal giudice (Cass.10887/2017).

Venendo al punto di merito la pronuncia tratta della tassazione di una sentenza di condanna, scaturente da un rapporto di apertura di credito concesso a fronte di una cessione pro solvendo di crediti vantati dalla società finanziata, che a suo avviso sarebbe riconducibile nel novero delle operazioni finanziarie e, dunque, sottoposte al tributo comunitario, con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura fissa.

Di diverso avviso era stato il giudice del merito, per il quale l’operazione andava tassata con aliquota proporzionale, nella misura del 3% a Registro, ex art.8, lett. b), tp1 allegata al D.P.R. n.131/86, in quanto contenuta in un atto giudiziario recante un capo di condanna.

Per inquadrare correttamente la fattispecie, la Suprema Corte ricorda che le cessioni di crediti non rientrano tra le cessioni di beni e si pongono, in tal senso, fuori campo IVA, ma vi rientrano, se incluse in operazioni finanziarie, come prestazioni di servizi relative alla negoziazione di crediti, fruendo della tassazione in esenzione. Ne discende, per il principio di alternatività, l’applicazione dell’imposta di registro, in termine fisso o secondo l’uso, solo in misura fissa.

La pronuncia rappresenta un’occasione chiarificatrice e concorre a sistemare una materia, sempre in bilico, nel delicato perenne equilibrio derivante dalla concorrente applicazione delle due principali imposte indirette.

  1. Il pregiudiziale inquadramento civilistico dell’istituto ed i suoi riflessi fiscali. La cessione del credito è normata sotto l’art.1260 c.c. e può definirsi come l’accordo bilaterale modificativo del lato attivo del rapporto obbligatorio, realizzato tramite il trasferimento della titolarità del credito dal creditore originario, o cedente, ad altro soggetto, il cessionario, a prescindere dalla volontà del debitore ceduto (In dottrina P. PERLINGIERI, Della cessione dei crediti, in Commentario del Codice civile (a cura di) A. SCIALOJA – G. BRANCA, Bologna – Roma, 1982; V. PANUCCIO, La cessione volontaria dei crediti nella teoria del trasferimento, Milano, 1955).

Il contratto si perfeziona con il semplice scambio del consenso tra i contraenti, ma per legittimare il cessionario verso il terzo debitore è necessario che questi ne sia edotto, tramite un’accettazione espressa o la semplice notifica (Cass. civ. sez. III, 19 giugno 2001, n. 8333, in Rivista del notariato, 2002, p. 435, annotata da S. VOCATURO, Libera cedibilità dei crediti, anche futuri).

La dottrina resta divisa sulla natura della cessione del credito, negozio oggetto della recente pronuncia, che costituisce per taluni una figura negoziale autonoma  (Così, T. MANCINI, La cessione dei crediti, in Trattato di diritto privato, diretto da P. RESCIGNO, Torino, 1999, vol. 9, t. I, p. 461; parla di contratto ad effetti reali a cui è del tutto estraneo il debitore ceduto, F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009, p. 618), mentre altri recisamente negano tale vocazione (Cfr., V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2000, p. 398, secondo cui la cessione del credito non è un contratto ma una possibile prestazione contrattuale).

Al contempo, però, è sufficientemente pacifico che l’istituto difetti di una sua causa tipica, potendo assolvere a svariate funzioni oggettive (Cfr., sempre, T. MANCINI, La cessione dei crediti, cit., p. 463), avendo una natura sostanzialmente neutra (Cass. civ. sez. III, 6 giugno 2006 n. 13253, in Rivista di notariato, 2007, p. 1213, con nota di L. CIMINO, Profili causali del trasferimento del credito).

La cessione del credito, infatti, consiste in “un negozio a causa variabile (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 15955 del 2005, 17162 del 2002, 4796 del 2001), che può assolvere a diverse funzioni (vendita, donazione, adempimento e garanzia), nel quale il trasferimento del credito può avvenire a titolo gratuito o oneroso” (Cass., sez. III, sent. 3 aprile 2009, n. 8145).

Si tratta di un atto per il quale “la legge prescinde dallo scopo per cui si attua il trasferimento di crediti e si interessa unicamente dei suoi effetti” (Cass., sez. III, sent. 6 giugno 2006, n. 13253).

La cessione può avvenire pro soluto o pro solvendo. Nella prima ipotesi deve essere espressa la volontà, univoca ed inequivocabile, di conferire al negozio siffatta efficacia, che comporta l’immediata estinzione dell’obbligazione di pagamento. Nella seconda e più comune di cessione pro solvendo, invece, l'estinzione dell'obbligazione originaria si verifica solo con la riscossione del credito verso il debitore cedente (Cass., ord. 12 maggio 2022, n. 15141).

Tale libertà causale ha un impatto diretto sulla tassazione, in quanto il negozio può assumere la funzione di corrispettivo, a fronte di una prestazione ricevuta, di garanzia del puntuale assolvimento di una determinata obbligazione, sino ad assumere una natura diversa, ossia finanziaria.

Le ricadute fiscali, a cavallo tra l’IVA e l’Imposta di registro, sono la diretta conseguenza della qualità delle parti e del modo in cui le stesse hanno costruito il negozio giuridico.

  1. L’art.40 del D.P.R. 131/1986. La cessione del credito non è certamente l’unica fattispecie che cammina sulla sottile linea che delimita il campo di applicazione del tributo comunitario rispetto a quello nazionale.

Per disciplinare siffatti rapporti di confine, tra le due principali imposte indirette, il legislatore ha scritto il fondamentale art. 40 del TUR.

La norma è necessaria in quanto sussiste un’evidente relazione logica tra la disciplina dell’IVA e quella dell’imposta di registro, in quanto entrambi i tributi assumono come presupposto operazioni economiche a contenuto negoziale potenzialmente riguardanti la disposizione degli stessi beni o diritti. In questa prospettiva potrebbe configurarsi l’orma di una doppia imposizione economica, vale a dire l’applicazione di due differenti tipologie di imposte sulla medesima fattispecie (P. BORIA, Il sistema tributario, 2008, p. 621).

Per scongiurare in radice questa potenziale duplicazione il legislatore ha predisposto il meccanismo dell’alternatività tra le due imposte concorrenti, che sostanzialmente funge da regola di relazione tra i due relativi sistemi.

Giova, pertanto, sottolineare la centralità dell’art. 40 del D.P.R. n. 131/1986, norma tanto limpida nella sua stesura, quanto dibattuta nelle sue peculiari ricadute (Per tutti e in riferimento ad una ipotesi di cessione di credito da società commerciale a società di factoring si vedano le perplessità sollevate da G. VASELLI, L’alternatività tra IVA e Imposta di registro nei provvedimenti di condanna emessi dal Tribunale civile nei confronti del debitore ceduto: una svista della Cassazione?, Nota a Cassazione civile sez. trib., 28 febbraio 2011, n. 4802, in Rivista di diritto tributario, 2012, fasc. 10, pp. 554 e ss.), che ha espressamente codificato il principio di alternatività tra IVA e Registro, prevedendo che qualora una fattispecie sia passibile di doppia tassazione si applicherà l’IVA ad aliquota proporzionale e l’imposta nazionale farà un passo di lato, nel senso che resterà si applicabile, ma solo in misura fissa.

La disposizione, infatti, tendenzialmente impedisce l’attuazione contemporanea dell’IVA e dell’imposta di registro proporzionale (in riferimento Agenzia delle Entrate, Circolare 29 maggio 2013, n. 18/E), in conformità ad uno dei principali criteri informatori della legge delega n. 825/1971.

Il legislatore nazionale, infatti, si è mosso in base alla riconosciuta preminenza del diritto comunitario sul diritto interno (Il sistema comune IVA trova il suo fondamento in due testi del 1967, la prima direttiva 67/227/CEE e la seconda 67/228/CEE. Numerose modifiche sono state apportate a questi primi due atti. Cfr. R. ADAM - A. TIZZANO, Manuale di diritto dell’Unione Europea, Torino, 2014, pp. 644 e ss.; N. FORTE, Il nuovo manuale dell’IVA 2015, Maggioli, 2014, p. 42; G. MELIS, Lezioni di diritto tributario, 2013, pp. 521 e ss.; P. BORIA, Diritto tributario europeo, Giuffrè, 2010, pp. 200 e ss.), sacrificando la propria storia sull’altare dell’armonizzazione europea, scrivendo un principio che diviene regola di condotta, oggi di valore tendenziale.

Il principio di alternatività è considerato un pillar del nostro sistema dell’imposizione indiretta, a partire dalla già citata legge delega, che lo prevedeva all’art.7, articolandolo in un profilo sostanziale e in uno procedurale.

Il primo, attinente all’entità del prelievo, tale per cui le imposte di registro, ipotecarie e catastali avrebbero dovuto applicarsi in misura fissa su tutti gli atti i cui corrispettivi rientrassero nel campo di applicazione dell’IVA.

Il secondo, di natura procedurale, involge la modalità di registrazione, da eseguirsi solo in caso d’uso per tali atti, purché non redatti in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata (M. BASILAVECCHIA, Problematiche concernenti il nuovo sistema di alternatività tra Iva e imposte sui trasferimenti della ricchezza. Novità e problemi nell’imposizione tributaria relativa agli immobili, Atti del Convegno, Roma 22-23 settembre 2006, N. 4/2006, in Quaderni della Fondazione italiana del Notariato, Milano, 2006.).

Questa conclusione si evince anche dal combinato disposto degli artt.li 5 e 40 del TUR, secondo i quali, tra l’altro, l’operatività del principio di alternatività necessita che l’operazione sia IVA inclusa, anche se esente, ovvero priva della corresponsione del tributo comunitario ((Copiosa giurisprudenza si potrebbe citare sul punto, valga per tutte Cass. civ. Sez. V, 26/02/2014, n. 4634, in Fisco, Quotidiano on line, 2014, «In tema di principio di alternatività fra IVA e imposta di registro, ai sensi dell'art. 40, D.P.R. n. 131 del 1986, […] gli atti sottoposti, anche teoricamente (perché di fatto esentati) a questa imposta (IVA) non debbono scontare quella proporzionale di registro»; Cass. civ. Sez. V, 20/04/2007, n. 9403, in Fisco, 2007, p.3898, «Alla luce del principio di alternatività con l’Iva, gli atti sottoposti anche solo teoricamente (perché di fatto esentati) a Iva non debbono scontare l’imposta proporzionale di registro (art. 5, comma 2, e art. 40, comma 1, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131)»)).

Il principio di alternatività, infatti, oltre a svolgere una funzione di tutela rispetto alla simmetria del sistema Iva – Registro, evitando fenomeni di doppia imposizione (cui si è già accennato) sulla stessa operazione, si impone nell’applicazione anche dei casi di operazioni IVA esenti o non imponibili (Così M.P. NASTRI, Il principio di alternatività Iva - registro, in Codice delle leggi tributarie, (a cura di) A. FEDELE – G. MARICONDA – V. MASTROIACOVO, 2014, pp. 210, la quale osserva, tuttavia, come non ci sia più una stretta coerenza in questo sistema caratterizzato dall’alternatività Iva - registro. Infatti, il D.L. 04/07/2006, n. 223, convertito in L. 04/08/2006, n. 248 e successive modifiche, ha dilatato i casi di applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale estendendola anche a determinate operazioni già attratte nel campo del tributo comunitario, come gli atti aventi ad oggetto locazioni di immobili strumentali imponibili ed esenti ai fini dell’IVA, ma comunque soggetti ad imposta di registro in misura proporzionale Cfr. Circ. 29.5.2013, n. 18/AE).

 

  1. Delimitazione negativa dell’indagine. La cessione a titolo gratuito e la cessione d’azienda. La fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione annotata tratta un caso di applicazione dell’art.8, comma 1, lett. b) Tp1, allegata al TUR.

La norma riguarda la tassazione della sentenza civile, da colpire con l’aliquota proporzionale del 3% applicata sulla base imponibile, costituita dall’importo della condanna al pagamento di somme, oppure dalla prestazione e consegna di beni di qualsiasi natura. 

Il ragionamento condotto dalla Corte, con gli opportuni adattamenti sulla misura dell’aliquota, che è differente per gli atti negoziali, può essere applicato anche a questi, ma occorre innanzitutto delimitare il perimetro dell’indagine ad excludendum.

Va innanzitutto chiarito che la cessione oggetto di esame è quella che avviene a titolo oneroso, in quanto, qualora la disposizione avvenisse con atto gratuito o di liberalità, inter vivos o mortis causa, sarebbe attratta dall’ambito applicativo dell’imposta di successione, donazione e sugli atti a titolo gratuito e di costituzione di vincoli di destinazione (disciplinati dal TUS, ovvero D.lgs. n. 346/1990, come novellato con il D.L. n. 262/06, convertito dalla legge n. 286/06. Cfr. Circolare n. 3AE del 22 gennaio 2008, par.2).

Va opportunamente ribadito che il ragionamento condotto riguarda il singolo negozio di cessione del credito, dotato di causa aperta, ma di suo contenuto precipuo, mentre quando il credito è solo uno dei beni che compone l’universitas rerum dell’azienda, o suo ramo, andrà certamente tassato, con l’aliquota sua propria e proporzionale a Registro (Si consenta, al riguardo, il rinvio a F. RUSSO, Avviamento e giudizio di stima nell’imposta di Registro, Saggi di Diritto Tributario, Aracne editrice, 2016).

La normativa IVA comunitaria non disciplina espressamente il trasferimento del credito IVA, ma accorda agli Stati Membri UE la possibilità di escludere dall’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta talune operazioni comportanti il trasferimento a terzi del potere dispositivo su una pluralità di beni.

L’art. 14 della Direttiva IVA attrae, in generale, all’ambito oggettivo di applicazione dell’imposta il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come suo titolare, mentre gli articoli successivi operano alcune assimilazioni.

Per quanto d’interesse, l’art. 19, par. 1, della Direttiva IVA accorda agli Stati membri la facoltà di non considerare cessione il trasferimento della capacità di disporre di una universalità, totale o parziale, di beni, integrante una successione del cessionario al cedente.

La disposizione introduce nell’ordinamento IVA il principio di continuazione, il cui recepimento è rimesso alla facoltà degli Stati Membri, in base al quale l’avente causa, in un’operazione di trasferimento di un complesso organizzato di beni, subentra al dante causa in virtù di una successione a titolo universale, in tutti i diritti ed obblighi relativi al complesso ceduto (CGE, sentenza 29 aprile 2004, causa C-137/02).

In tal senso si è pronunciata la Corte di Giustizia (CGE, sentenza 27 novembre 2003, causa C-497/01), la quale ha precisato che, “la continuazione (…) costituisce (…) una mera conseguenza del fatto che non si considera avvenuta alcuna cessione” ed ha inoltre affermato che “il beneficiario del trasferimento deve tuttavia avere l’intenzione di gestire l’azienda (…) e non semplicemente di liquidare immediatamente l’attività interessata”. 

Dai tratti di sentenza citati emerge nitido il principio di continuazione, che si sostanzia nella prosecuzione della gestione di un insieme di beni, nel caso un’azienda, in capo ad un nuovo soggetto, con la conseguenza che ne avviene una sostanziale successione, senza soluzione di continuità.

La facoltà di cui al citato disposto comunitario è stata recepita nell’ordinamento IVA italiano dall’art. 2, comma 3, lett. b) del D.P.R. n. 633/1972, che prevede l’esclusione, dall’ambito oggettivo dell’imposta, delle cessioni e conferimenti in società o altri enti ad oggetto l’azienda o un suo ramo.

Il tenore letterale della norma non appare immediatamente esplicitare il completo recepimento del principio di continuazione, posto che la successione dell’avente causa non è in essa espressamente prevista, ma risulta tuttavia integrata anche per l’elaborazione giurisprudenziale operata dalla citata sentenza della Corte di Giustizia.

A tanto si aggiunge che la norma IVA italiana trova applicazione con riferimento alle operazioni aventi ad oggetto la cessione ed il conferimento d’azienda, le quali sono specificamente disciplinate dagli art.li dal 2558 al 2560 del Codice civile, che prevede il subentro dell’acquirente dell’azienda al venditore nei contratti stipulati, nei crediti e nei debiti relativi al complesso ceduto.

Conseguenza di quanto sino ad ora detto è l‘irrilevanza, ai fini IVA, dell’operazione di cessione o conferimento d’azienda nei confronti di un soggetto che abbia l’intenzione di continuarne la gestione, così da operare una successione a titolo universale in tutti i diritti ed obblighi relativi ad essa, compreso il trasferimento del credito, anche qualora si tratti di un credito IVA, maturato per eccedenza tra il tributo esigibile e quello detratto (Cass.12 marzo 2008, n.6578). Il credito, ceduto quale componente di un ramo d’azienda, anche in tal caso andrà tassato sempre a Registro.

  1. La tassazione del negozio di cessione del credito, tra IVA e Registro. La singola cessione del credito a titolo oneroso può avere ad oggetto un bene presente o anche futuro (in tal senso Cass. 24 giugno 2015, n. 13027. , 19 giugno 2001, n. 8333; Cass., 11 maggio 1990, n. 4040; Cass., 5 marzo 1980, n. 1484; Cass., 5 giugno 1978, n. 2798; Cass., 2 agosto 1977, n. 3421; Cass., 10 maggio 1966, n. 1209. Sulla cessione dei crediti futuri nel diritto civile si vedano, per tutti, V. PANUCCIO, voce Cessione dei crediti, in Enciclopedia del diritto, 1960, p. 860; P. PERLINGIERI, Della cessione dei crediti, in Commentario del Codice Civile, (a cura di) A. SCIALOJA – G. BRANCA, Bologna – Roma, 1982, p. 12. Nel diritto tributario si vedano, invece, F. TESAURO, In tema di ritenute d’acconto a carico dei fallimenti e di cessione dei crediti d’imposta, in Bollettino tributario, 2003, p. 885. In generale, sul tema della cessione dei crediti d’imposta, si veda M. INGROSSO, Il credito d’imposta, Milano, 1984, passim e spec. 7 e ss. Sulla cedibilità dei crediti per imposte dirette cfr., fra gli altri, R. CURATOLO, La cessione del credito per le imposte sui redditi, in Bollettino tributario, 1989, p. 1460, che ha ritenuto ammissibile la cessione ancor prima dell’espressa previsione di cui all’art. 43 bis del D.P.R. n. 602/1973; G. ZOPPINI, Profili ricostruttivi ed applicativi della cessione dei crediti per imposte dirette, in Bollettino tributario, 1997, pp. 983 e ss.; M. CANTILLO, La cessione dei crediti per imposte dirette, in Rassegna tributaria, 1999, pp. 28 e ss., ove approfonditi richiami alla dottrina civilistica. Sulla specifica cessione del credito IVA si rimanda a M. MICCINESI, La cessione del credito IVA, in Rassegna tributaria, 1984, I, pp. 195 e ss., con riferimento all’assetto normativo precedente la L. n. 154/1988 che, convertendo il D.L. n. 70/1988, ha risolto positivamente la questione della cedibilità del credito IVA risultante dalla dichiarazione; F. FICHERA, Questioni irrisolte sulla cessione del credito IVA, in Bollettino tributario, 1989, p. 477; R. MISTRANGELO, L’opponibilità all’Agenzia delle entrate della cessione del credito iva trimestrale, in Diritto e pratica tributaria, 2014, II, pp. 617 e ss).

La cessione può avvenire a scopo di vendita e, in quanto tale, l’atto è pacificamente soggetto ad imposta di registro in termine fisso (salvo l’ipotesi in cui avvenga per corrispondenza, nel qual caso è tassato in caso d’uso), con applicazione dell’aliquota dello 0,50%, ex art. 6 della tariffa, parte prima, allegata al TUR, da apporre sulla base imponibile determinata ai sensi dell'art. 49 stessa fonte, ovvero sull'importo del credito ceduto, a prescindere dal prezzo pattuito (al riguardo si veda S. FIORENTINO, Commento all’art.49 “Crediti” del D.P.R. n. 131/1986, nel Commentario Breve alle Leggi Tributarie, Cedam, 2011, 896-901; V. PAPPA MONTEFORTE, La tassazione della cessione del credito, in Notariato, 3, 2011, pp. 338 – 342) per i crediti fruttiferi e sul valore attualizzato, al momento della cessione, per i crediti infruttiferi con scadenza posteriore almeno ad un anno dalla cessione. (Al riguardo A. BUSANI, L'imposta di registro, Milano, 2009, p. 785).

Assumono maggiore rilievo le fattispecie in cui la cessione del credito s’inserisce in contesti giuridici ed economici più complessi, quali la cessione in garanzia e la cessione c.d. solvendi causa, eseguita in luogo del pagamento.

La cessione del credito in garanzia va tassata, ai sensi dell’art. 6 comma 1 della Tp1 allegata al TUR, applicando sempre l’aliquota dello 0,50% al suo valore (Risoluzione, 4 luglio 2008, n. 278/AE). Sebbene secondo alcuni questa misura è valevole solo quando il credito sia ceduto da un terzo e non anche quando sia trasferito dallo stesso debitore a sostegno del proprio impegno ad estinguere il debito (A. BUSANI, L’imposta di registro, cit., p. 789), appare preferibile e più in linea con la struttura dell’imposta l’orientamento di prassi, perché prescinde dallo scopo e guarda unicamente al passaggio del credito nella sfera giuridica del cessionario.

La cessione del credito in pagamento, poi, rappresenta una fattispecie particolare, poiché se eseguita solvendi causa, con lo scopo di adempiere ad una controprestazione, dovrebbe, per alcuni, essere intesa quale modalità di pagamento del prezzo e quindi restare assorbita dalla tassazione del negozio principale, in applicazione degli articoli 20 e 21 TUR (A. BUSANI, L’imposta di registro, cit., pp. 787 e 944), mentre resta tassabile ex se per altri (G. SANTARCANGELO, La tassazione degli atti notarili, Utet, 2011, p. 170; in riferimento alla permuta con conguaglio si veda A. LOMONACO – C. LOMONACO, Tassazione di compravendita con pagamento del prezzo in parte mediante cessione di credito, Risposta a quesito n. 52-2006/T-159-206/C, in C.N.N. Notizie, 14 aprile 2006.).

Va precisato che per tassare la cessione del credito a registro non è necessario indagare sulla natura soggettiva del cedente, posto che la cessione di denaro è fuori campo di applicazione dell’IVA e, per il principio di alternatività, sconta l’imposta proporzionale di registro, pur se la cessione sia realizzata da un soggetto IVA nell’esercizio della sua attività, salvo che rientri nell’ambito di una più ampia operazione finanziaria.

Anche la disciplina IVA, allora, tange la tematica della cessione del credito, come la sentenza annotata evidenzia.

La lettera della legge costituisce la necessaria base di partenza ed in tal senso, come anticipato, l’art. 2, comma 3, lett. a) del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, esclude dal campo IVA “le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro”.

La norma va letta in combinato disposto con l’articolo 3, comma 2, n.3) dello stesso decreto, che considera prestazioni di servizi, se effettuate verso corrispettivo, “le operazioni finanziarie mediante la negoziazione, anche a titolo di cessione pro-soluto, di crediti, cambiali o assegni” (esenti da IVA, ex art. 10, comma 1, n. 1), D.P.R. n. 633/1972).

Va operata, quindi, una necessaria distinzione tra mere cessioni di crediti, non ricomprese in un’operazione finanziaria, anche se effettuate da soggetti IVA, e cessioni di crediti avvenute all’interno di una più ampia operazione finanziaria.

Le prime, risultando operazioni escluse da IVA, scontano l’imposta di registro in misura proporzionale, a differenza delle seconde che, essendo operazioni IVA, incluse seppur esenti, pagano l’imposta di registro in misura semplicemente fissa (S. CANNIZZARO, Cessione di credito in funzione di “garanzia” - imposta sostitutiva ex art. 15 d.p.r. 601/1973, Risposta a quesito n. 115-2010/T, in C.N.N. Notizie, del 15 luglio 2010; B. DENORA, In tema di “cessione di crediti pro-soluto - Tassazione”, Risposta a quesito n. 42-2009/T, in C.N.N. Notizie, 9 aprile 2009).

Di conseguenza, solo quando la cessione del credito è parte integrante di un’operazione finanziaria più complessa, perde la propria autonomia e resta assorbita nell’operazione alla quale accede, rientrando, così, nel campo IVA, pur restando esente dal tributo ed in virtù del principio di alternatività, scontando l’imposta di registro in misura fissa.

Affinché l’atto di cessione del credito sia IVA esente è sufficiente che la sua causa, tradizionalmente non esplicitata nel contratto, sia differente da quella rappresentata dall’estinzione di una precedente obbligazione, diversamente il negozio verrebbe riattratto al registro, indipendentemente dal motivo posto a base della cessione stessa.

L’intesa a cedere, infatti, potrebbe fondarsi sulla necessità di procurarsi liquidità, tenuto conto dell’irrilevanza della qualificazione soggettiva del cedente, ma esclusivamente quella del cessionario che deve essere un contribuente IVA (Cfr. F. CASTELLI, Cessioni di credito rientranti in operazioni finanziarie soggette ad IVA, commento a Risoluzione n. 71/E del 24 maggio 2000, in Corriere tributario, 2000, p. 2813) e della non necessarietà della presenza di un corrispettivo a favore del soggetto attivo dell’operazione, ovvero del cessionario del credito ((La tesi espressa nella datata Risoluzione n. 37/E del 5 maggio 1998, ove si affermava, ai fini della qualificazione IVA, la necessità della presenza di un corrispettivo, è stata superata dal successivo documento di prassi n. 71/E del 24 maggio 2000, alla cui stregua può giungersi a ritenere bastevole il mero smobilizzo di crediti in sofferenza. Circa il corrispettivo, fermo che la sua individuazione nulla aggiunge in ordine alla natura, esente o esclusa da IVA, della cessione, si è sostenuto che sarà dato dalla differenza fra il finanziamento erogato ed il credito ceduto (c.d. “sconto”), oppure dagli interessi, costituendo questi ultimi il corrispettivo reale della cessione. Cfr. U. FRIEDMANN, Tassazione delle cessioni di credito poste in essere da soggetti IVA, Studio C.N.N. n. 622 bis, 1998)).

In definitiva va chiarito che, sempre prescindendo da valutazioni soggettive, le cessioni di credito eseguite nell’ambito di operazioni finanziarie, tipiche quelle avvenute verso un istituto di credito oppure una società di factoring, sono considerate prestazioni di servizi e, in quanto tali, soggette all’applicazione del tributo comunitario, seppure in regime di esenzione (Ai sensi dell’art.3 comma 2, n.3) del D.P.R. 633/72. Al riguardo S. MENCARELLI - R. R. SCALESSE - G. TINELLI, Introduzione allo studio giuridico dell’imposta sul valore aggiunto, Giappichelli, Torino, 2012; F. MONTANARI, Le operazioni esenti nel sistema dell’IVA, Giappichelli, 2013. Per la prassi, Risoluzione 17 novembre 2004, n. 139/E e 11 marzo 2011, n. 32/E).

In questa diversa fattispecie l’atto di cessione del credito è soggetto ad imposta fissa di registro e va registrato in termine fisso se il negozio è stipulato per atto pubblico e per scrittura privata autenticata (art.40 comma 1 e art. 5 comma 2 TUR; art.11 comma 1 TP1 e art.1 comma 1 lett. b) TP2).

Un’ultima considerazione merita l’ambito applicativo dell’imposta sostitutiva prevista dall’art.15, comma 1, D.P.R. n.601/1973, secondo il quale “le operazioni relative ai finanziamenti a medio e lungo termine e tutti i provvedimenti, atti, contratti e formalità inerenti alle operazioni medesime, alla loro esecuzione, modificazione ed estinzione, alle garanzie di qualunque tipo da chiunque e in qualsiasi momento prestate ed alle loro eventuali surroghe, ... ivi comprese le cessioni di credito stipulate in relazione a tali finanziamenti, effettuate da aziende e istituti di credito e da loro sezioni o gestioni che esercitano, in conformità a disposizioni legislative, statutarie o amministrative, il credito a medio e lungo termine …, sono esenti dall’imposta di registro, dall’imposta di bollo, dalle ipotecarie e catastali e dalle tasse sulle concessioni governative”. In presenza di un finanziamento concesso da un istituto di credito, da ritenersi a “medio o lungo termine”, ossia con una durata contrattuale superiore ai 18 mesi, ogni operazione ad esso connessa sconta la sola imposta sostituiva di cui all’articolo 17 D.P.R. n. 601/1973. Cosicché, anche la cessione di credito connessa, intesa quale vicenda del finanziamento originario, beneficia dell’agevolazione tributaria in questione (Per una lettura “estensiva” della disposizione si veda Cass. 5 febbraio 2009, n. 2734, in Rivista di diritto tributario, 2010, 3, con nota di R. SURACI, Imposta sostituiva sui finanziamenti a medio e lungo termine e cessioni di credito in favore di soggetti bancari). Qualche perplessità sorge quando il cessionario difetti del presupposto soggettivo, perché non è un istituto di credito. Secondo alcuni, in tal caso, è estensibile l’applicazione dell’imposta sostitutiva (A. BUSANI, L’imposta di registro, Milano, 2009, p. 790; già U. FRIEDMANN, Tassazione della cessione di crediti, assistiti da garanzia ipotecaria, derivanti da finanziamento a medio/lungo termine, in Studio C.N.N., n. 104, 2000/T, cui si rinvia per ulteriori indicazioni). Per la prassi, invece, appare preferibile un orientamento restrittivo, discendente dal tenore letterale della norma (Risoluzione ministeriale 18 aprile 1988, n. 310273; Risoluzione ministeriale 9 dicembre 1982, n. 271389; Risoluzione Dir. Gen. Tasse 21 aprile 1989, n. 400352. In termini analoghi, Cass., 1 febbraio 2005, n. 1954; Cass. 29 dicembre 2004, n. 24164; Cass. 8 aprile 2002, n. 4970; Cass. 3 aprile 2002, n. 4792). Le Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. 18 luglio 2018, n. 19106), con pronuncia dirimente emessa in recepimento della decisione del Giudice delle leggi (Corte Costituzionale, 20 novembre 2017, n. 242) sulla dibattuta questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 d.P.R. n. 601/1973, hanno stabilito che il regime agevolato ed il beneficio fiscale previsto dalla norma in commento spetti, sul versante soggettivo, non solo alle aziende ed istituti preposti all’esercizio del credito, ovvero dediti alla raccolta e all'erogazione del risparmio tra il pubblico, ma anche agli intermediari finanziari, iscritti nell'elenco di cui all'art. 107 del T.U.B.

  1. Conclusioni. Con la sentenza n.16117/2022 la Suprema Corte ritorna sul principio di alternatività IVA/Registro con specifico riferimento alle operazioni di cessione dei crediti, in particolari provenienti da soggetti passivi IVA, per concludere che, in linea generale, i trasferimenti di crediti in denaro costituiscono negozi fuori campo IVA, esclusi dall’applicazione del tributo comunitario, ma che, qualora vi rientrino, per la particolarità della transazione inserita in un contesto di rapporti finanziari tra soggetti IVA, restano esenti dal tributo.

Quando l’operazione rimane a registro sarà dovuta, in virtù dell’annunciato principio di alternatività, l’imposta in misura proporzionale secondo la misura indicata nella tariffa allegata al D.P.R. 131/1986, mentre se attratta in campo IVA sarà dovuta l’imposta di registro in misura fissa, anche se la cessione è attratta in campo IVA e definita esente.

La natura finanziaria della cessione guarda, quindi, tanto all’aspetto soggettivo che a quello oggettivo. La sentenza merita annotazione in quanto puntella, ancor di più, una giurisprudenza stratificatasi nel tempo sul principio di alternatività e consente di operare delle precisazioni e chiarificazioni a norme bisognose, in quanto estremamente tecniche.

La Corte di Cassazione non aggiunge significativi spunti di rimeditazione sul negozio di cessione del credito, ma va accolto con favore il perdurare di un indirizzo nomofilattico che contribuisce a creare uno stabile quadro di riferimento.

La pronuncia fa, infatti, il palio con l’orientamento di prassi che si è espresso, seppur calzato su altra fattispecie, ma con considerazioni concludenti per il tema oggetto della condotta analisi, in senso conforme e che consente di chiudere il tema in senso ancor più attualizzante.

Con l’art.1 del D.L. n. 11 del 16 febbraio 2023, il Governo è intervenuto sull’art. 121 del D.L.  19 maggio 2020, n. 34, convertito con modifiche, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, ponendo fine alla struggente querelle sorta intorno ai crediti “Ecobonus” e “Sisma bonus”, stabilendo definitivamente la loro incedibilità, salva l’ovvia trasferibilità di quelli già presenti nel cassetto fiscale del cedente alla sua data di pubblicazione.

In relazione a siffatte cessioni la novella ha fatto chiarezza sui profili di responsabilità tributaria del cessionario, escludendola qualora questi si doti di alcuni documenti tipizzati e descritti nell’art.1, comma 1 lett. b), che ha aggiunto all’art.121 del D.L. n. 34/2020 il comma 6 - bis

Ebbene, il recente orientamento di prassi (Risposta AE n. 369/2021), varato con riferimento alla cessione di crediti d’imposta eco e sisma bonus, di cui agli art.li 14 e 16 del D.L. 63/2013, ha confermato che se il trasferimento è eseguito tra le parti dietro corrispettivo, ha finalità e natura finanziaria, per cui rientra, ai fini IVA, tra le operazioni esenti ai sensi dell’art.10, comma 1, n.1) del D.P.R. n. 633/1972.

Ne consegue che, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 22, primo comma, n. 6 del decreto IVA ((secondo cui, l'emissione della fattura non è obbligatoria, se non è richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell'operazione “per le operazioni esenti indicate ai nn. da 1) a 5) e ai nn. 7), 8), 9), 16) e 22) dell'art. 10”)), dell'articolo 2, comma 1, lettera n) del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696 (secondo cui non sono soggette all'obbligo di certificazione mediante scontrino o ricevuta fiscale, “le cessioni e le prestazioni esenti di cui all'articolo 22, primo comma, punto 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”), dell’articolo 1, comma 1, lettera a) del decreto del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 10 maggio 2019  (secondo cui “In fase di prima applicazione, l'obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei dati dei corrispettivi giornalieri di cui all'art. 2, comma 1, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127, non si applica: [...] alle operazioni non soggette all'obbligo di certificazione dei corrispettivi, ai sensi dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 696,e successive modificazioni e integrazioni, [...]”), le cessioni dei crediti di cui si discute non sono soggette ad alcun obbligo di certificazione.

In relazione alla cessione del credito, il cessionario ha comunque la facoltà di fatturare, anche a richiesta della controparte, l'operazione in esenzione ai sensi dell'art.10, primo comma, n. 1) del D.P.R. n. 633 del 1972, indicando nella stessa l'ammontare del corrispettivo pattuito nell'accordo contrattuale per la cessione.

Nel caso in esame per corrispettivo deve intendersi l'ammontare della commissione pattuita tra le parti per la cessione, intesa come compenso per l'anticipo dell'importo del credito.

Da ciò deriva che, ai fini dell'imposta di registro, occorre tener conto del principio di alternatività IVA-Registro di cui all'articolo 40 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR), a mente del quale "per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all'imposta sul valore aggiunto, l'imposta si applica in misura fissa" e di quanto previsto dall'articolo 5, comma 2 del TUR, in base al quale "le scritture private non autenticate sono soggette a registrazione in caso d'uso se tutte le disposizioni in esse contemplate sono relative a operazioni soggette all'imposta sul valore aggiunto".

A tal proposito, in via generale, rientrando le operazioni esenti, ex art 10, primo comma, n. 1), del D.P.R. n. 633 del 1972, nel campo di applicazione dell'IVA, un atto di cessione di crediti avente natura finanziaria, risulta soggetto a registrazione in caso d'uso se redatto per scrittura privata non autenticata, ed in termine fisso se redatto tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata.

In caso di registrazione l'imposta è dovuta comunque in misura fissa.

Tuttavia, sotto quest’ultimo versante, il solo specifico caso di cessione di crediti d’imposta è riconducibile alla disciplina recata per gli atti per i quali non sussiste l'obbligo di chiedere la registrazione, dall'articolo 5 della Tabella allegata al TUR, relativa ad "atti e documenti formati per l'applicazione, riduzione, liquidazione, riscossione, rateazione e rimborso delle imposte e tasse da chiunque dovute”.

Al riguardo “...si ritiene che all'atto di cessione del credito corrispondente alla detrazione, ove redatto in forma scritta, trovi applicazione la previsione recata dall'art. 5 della Tabella allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, riguardante gli atti per i quali non vi è l'obbligo di richiedere la registrazione. In particolare, in base a tale disposizione, non sono soggetti all'obbligo di registrazione gli "atti e documenti formati per l'applicazione, riduzione, liquidazione, riscossione, rateazione e rimborso delle imposte e tasse da chiunque dovute" (cfr articolo 5 della Tabella, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986). Come si evince dal suo tenore letterale, la disposizione, appena citata, intende esonerare dall'obbligo di registrazione tutti gli atti e documenti relativi all'attuazione del rapporto tributario in ogni sua fase, comprendente "l'applicazione, riduzione, liquidazione, riscossione, rateazione e rimborso delle imposte(...)"(Risoluzione 5 dicembre 2018, n. 84/E).

Il diritto alla detrazione è un elemento di tale rapporto, in quanto lo stesso nasce per effetto dell'applicazione di una norma tributaria e si esercita al momento della liquidazione dell'imposta.

La cessione del diritto alla detrazione, peraltro, consentita, in via facoltativa, solo perché espressamente prevista da una disposizione tributaria, non fa venir meno tali caratteristiche.

Tramite tale cessione, infatti, il legislatore consente, semplicemente, l'utilizzo del credito corrispondente alla detrazione ad un soggetto diverso dal titolare della posizione tributaria che ha dato origine alla detrazione.

Siffatto atto di cessione non è soggetto all'obbligo di registrazione neanche laddove lo stesso dovesse rivestire la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, in base a quanto previsto all'art. 7 del d.P.R. n. 131 del 1986, secondo cui "per gli atti indicati nella tabella allegata al presente testo unico non vi è obbligo di chiedere la registrazione neanche in caso d'uso, se presentati per la registrazione, l'imposta è dovuta in misura fissa. La disposizione si applica agli atti indicati negli artt. (...) 5 della stessa tabella anche se autenticati o redatti in forma pubblica" (cfr. Circolare del 10 giugno 1986 n. 37, parte n. 4)», così atteggiandosi a caso particolare rispetto a tutti gli altri esaminati.

In definitiva l'atto di cessione del credito d’imposta formalizzato tramite scrittura privata ha natura finanziaria e non è mai soggetto all'obbligo di registrazione, ai sensi dell'articolo 5 della Tabella, allegata al TUR.   

Si è delineata, quindi, un’uniformità di pensiero che rende più agevole sistemare una materia complessa e ricca di sfumature, compiendo un’operazione necessitata dalla causalità variabile del negozio di cessione del credito e dalla tecnicità della conseguente tassazione, in modo da garantire quella certezza del diritto (sul punto si permetta il rinvio a F. RUSSO, Il dialogo tra Fisco e contribuente, Un’analisi storico – evolutiva, Editoriale Scientifica, 2022, pp. 254-246) e dell’affidamento (Al riguardo F. AMATUCCI, Principi e nozioni di diritto tributario, Giappichelli, 2018, p. 223) indispensabili alla corretta attuazione del rapporto d’imposta.