argomento: Attuazione del tributo - Legislazione e prassi
L’art. 1 del D.Lgs. n. 219/2023 ha introdotto l’art. 9 bis nello Statuto dei diritti del contribuente. Tale disposizione stabilisce che il «contribuente ha diritto a che l'amministrazione finanziaria eserciti l'azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d'imposta». La norma, tuttavia, lascia ferme le specifiche disposizioni che prevedano diversamente, sicché, in assenza di modifiche all’accertamento parziale, il suo effetto sarà tutt’altro che dirompente.
PAROLE CHIAVE: riforma tributaria - accertamento - procedimento tributario - ne bis in idem - accertamento parziale
di Ernesto-Marco Bagarotto
1. L’art. 1 del D.Lgs. n. 219/2023 ha introdotto l’art. 9 bis nello Statuto dei diritti del contribuente, rubricato «Divieto di bis in idem nel procedimento tributario», in forza del quale «Salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l'emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l'amministrazione finanziaria eserciti l'azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d'imposta».
Viene, dunque, affrontato l’annoso tema della cd. frammentazione dell’attività accertativa, cioè l’emissione di molteplici provvedimenti impositivi a carico di uno stesso contribuente per un determinato periodo d’imposta, fenomeno che si pone in contrasto con quelli che sono stati definiti come principi di unicità e globalità dell’accertamento.
A tal proposito si deve premettere che l’attuale assetto normativo è frutto della stratificazione di interventi disorganici, che hanno condotto a regolare essenzialmente due forme che sono idonee a realizzare tale frammentazione: l’accertamento integrativo e l’accertamento parziale.
Vero è che, nella prassi, non si assiste frequentemente alla reiterazione del potere impositivo. Non può escludersi, tuttavia, che nel prossimo futuro la situazione cambi radicalmente. Grazie all’implementazione dei sistemi di scambio di informazioni automatico ed all’incremento di dati a disposizione dell’Amministrazione su supporto informatico (in quanto tali idonei ad essere elaborati attraverso sistemi avanzati), infatti, è verosimile che le “segnalazioni” di anomalie nella posizione del contribuente saranno via via sempre più numerose.
Si consideri, del resto, che l’art. 1, comma 1, lett. b), della legge delega n. 111/2023 prevede come criterio direttivo generale la prevenzione ed il contrasto all’evasione ed elusione fiscale anche attraverso la «piena utilizzazione dei dati che affluiscono al sistema informativo dell'anagrafe tributaria, il potenziamento dell'analisi del rischio, il ricorso alle tecnologie digitali e alle soluzioni di intelligenza artificiale»; similmente, l’art. 17, comma 1, lett. f), richiede di «potenziare l'utilizzo di tecnologie digitali, anche con l'impiego di sistemi di intelligenza artificiale, al fine di ottenere, attraverso la piena interoperabilità tra le banche di dati, la disponibilità delle informazioni rilevanti e di garantirne il tempestivo utilizzo» altresì al fine di realizzare quelle che vengono definite espressamente “azioni mirate”.
Passiamo perciò a valutare quale possa essere il concreto impatto dell’introduzione dell’art. 9 bis dello Statuto dei diritti del contribuente.
2. Prima di tutto è significativo che la disposizione commentata sia stata introdotta all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente, che – a seguito delle modifiche apportate dal citato D.Lgs. n. 219/2023 – reca norme attuative della Costituzione, dei principi dell'ordinamento dell'Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario, criteri di interpretazione della legislazione tributaria e si applicano a tutti i soggetti del rapporto tributario.
Tale scelta sembra originare dalla circostanza che la frammentazione dell’attività accertativa, a prescindere dalla fondatezza delle contestazioni mosse nell’ambito di reiterati provvedimenti impositivi, possa arrecare un pregiudizio al contribuente rispetto ad un’ipotesi di esercizio unitario della stessa.
In tal senso possono essere invocate sia le esigenze di certezza e stabilità dei rapporti giuridici, di tutela del contribuente sul versante processuale e difensionale, di buon andamento ed imparzialità sotto i diversi profili della buona fede, della non contraddittorietà, della trasparenza, della completezza dell’istruttoria, della proporzionalità e del non aggravamento del procedimento; sia la natura vincolata dell’attività accertativa, che dovrebbe precludere all’amministrazione finanziaria la possibilità di «accantonare», anche provvisoriamente, elementi istruttori rilevanti (su tali aspetti, se consentito, si rinvia a BAGAROTTO, La frammentazione dell’attività accertativa ed i principi di unicità e globalità dell’accertamento, Torino, 2014).
Si può, dunque, vedere di buon occhio la scelta del legislatore di inserire una previsione all’interno dello Statuto, con conseguente assegnazione al divieto recato dal novellato art. 9 bis del ruolo di principio generale e criterio interpretativo derogabile e modificabile solo espressamente e mai da leggi speciali.
3. L’apparente ottimismo che potrebbe emergere da una prima lettura della disposizione è, tuttavia, destinato a venire meno ad una sua più attenta analisi.
Ed invero, l’art. 9 bis si apre con l’inciso «Salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l’emendabilità di vizi formali e procedurali».
Particolarmente delicato è l’aspetto legato alla previsione che fa salve le disposizioni che prevedano diversamente, cioè le disposizioni che consentono all’amministrazione finanziaria di esercitare l’azione accertativa più di una volta nel periodo d’imposta, vale a dire accertamento integrativo ed accertamento parziale.
L’avviso di accertamento integrativo (disciplinato dall’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 57, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972), può essere emesso dopo l’emissione di un primo avviso, a condizione che si verifichi la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi; l’avviso di accertamento parziale (regolato dall’art. 41 bis del D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 54, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972), è caratterizzato dal fatto di essere emesso «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice» (su tali istituti, per tutti, vd. BASILAVECCHIA, L’accertamento parziale. Contributo allo studio della pluralità di atti di accertamento nelle imposte sui redditi, Milano, 1988; DONATELLI, L’avviso di accertamento tributario integrativo e modificativo, Torino, 2013; e, se consentito, BAGAROTTO, La frammentazione dell’attività accertativa ed i principi di unicità e globalità dell’accertamento, cit.).
Ora, il mantenimento di una deroga riservata agli accertamenti integrativi pare ragionevole, a maggior ragione laddove si condividesse la posizione secondo cui tali provvedimenti sarebbero legittimi solamente se fondati su elementi, non solo non conosciuti dallo stesso ufficio accertatore, ma neppure astrattamente conoscibili secondo un criterio di ordinaria diligenza (in tal senso, in dottrina, vd. BASILAVECCHIA, L’accertamento parziale. Contributo allo studio della pluralità di atti di accertamento nelle imposte sui redditi, cit., part. p. 68; MICCINESI, La “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”, presupposto per gli accertamenti integrativi e modificativi, in Rass. trib., 1985, II, p. 459; MARCHESELLI, La sopravvenuta conoscenza di «nuovi elementi» dell’accertamento integrativo, in Corr. trib., 2006, pp. 1974-1975; in giurisprudenza vd. Cass. 6 gennaio 1981, n. 49; 23 gennaio 1985, n. 282 e 30 marzo 1987, n. 3056; contra Cass. 15 gennaio 2016, n. 576; 12 maggio 2006, n. 11057; 9 settembre 2005, n. 18014).
In assenza di accertamento integrativo, infatti, gli uffici finanziari sarebbero sistematicamente spinti ad attendere l’approssimarsi del termine di decadenza per emettere avvisi di accertamento, al fine di scongiurare il rischio di non poter impiegare gli ulteriori elementi eventualmente emersi successivamente all’emissione del primo avviso.
Si tratta, dunque, di un’impostazione maggiormente in linea con l’obiettivo di attuare concretamente i principi di capacità contributiva, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa e celere riscossione delle somme dovute all’erario.
Nel contempo, l’addossamento all’Amministrazione finanziaria dell’onere di provare la sopravvenuta sussistenza di nuovi elementi e di motivare il provvedimento impositivo indicando «i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto» sembra rendere tale istituto proporzionato rispetto alle finalità perseguite.
Ben più problematica è la deroga rappresentata dall’accertamento parziale.
L’originario art. 41 bis, rubricato «Accertamento parziale in base agli elementi segnalati dall’anagrafe tributaria», consentiva agli uffici di limitarsi ad accertare i maggiori redditi derivanti dalle «segnalazioni effettuate dal Centro informativo delle imposte dirette».
Tale istituto era riservato alla contestazione di maggiori imponibili che emergevano da segnalazioni di anomalie riscontrate grazie all’«incrocio» dei dati a disposizione dell’amministrazione finanziaria (in argomento vd. anche PISTOLESI, Gli accertamenti parziali in materia di imposte dirette: prime considerazioni alla luce delle recenti riforme, in Riv. dir. trib., 1994, I, p. 877).
Ed era proprio la natura sostanzialmente automatizzata del recupero operato attraverso l’accertamento parziale che giustificava l’adozione di un procedimento ad hoc, che non pregiudicava l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice.
Senonché, la disciplina dell’accertamento parziale è stata letteralmente snaturata negli anni attraverso il progressivo allargamento dei presupposti che ne consentono l’emissione. Il testo in vigore, infatti, prevede che l’avviso di accertamento parziale possa essere emesso in tutti i casi in cui «dalle attività istruttorie di cui all’articolo 32, primo comma, numeri da 1) a 4), nonché dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato …».
E, nonostante l’ampliamento delle ipotesi in cui è possibile applicare l’avviso di accertamento parziale, è restata ferma la previsione secondo cui l’emissione di simili provvedimenti avvenga «senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice», con conseguente rischio che l’attività accertativa possa essere, di fatto, frammentata senza alcun limite.
Tant’è che l’Amministrazione finanziaria tende sistematicamente ad emettere avvisi di accertamento parziale e parte della dottrina ha ritenuto che si assisterebbe alla “istituzionale frammentazione dell’azione impositiva” (così LA ROSA, Caratteri e funzioni dell’accertamento tributario, in Dir. prat. trib., 1990, I, p. 799; similmente vd. INGRAO, Frammentazione dell’accertamento tributario e violazione del principio di unicità, in Riv. dir. trib., 2005, I, p. 895).
Vero è che vi sono spazi interpretativi per limitare – sia pure non in modo radicale – i rischi di proliferazione di provvedimenti impositivi. In particolare, dall’interpretazione dell’art. 41 bis emerge che nell’ambito dell’accertamento parziale – coerentemente con quanto statuito della Corte di Cassazione nella sentenza 4 agosto 2010, n. 18065 – debba confluire (quantomeno) tutto il materiale istruttorio contenuto nella specifica fonte d’innesco che ha condotto all’emissione del «parziale». Talché, gli elementi facenti parte di tale materiale istruttorio, se accantonati, dovrebbero non essere più essere valorizzabili in successivi atti d’accertamento.
In tal senso si può richiamare altresì la pronuncia della Suprema Corte 22 aprile 2022, n. 12854, in cui è stato evidenziato che, successivamente ad un avviso parziale, l’ulteriore attività accertativa potrebbe essere esercitata esclusivamente prendendo le mosse da «fonti diverse da quelle prese a base dall’accertamento parziale o comunque su dati la cui conoscenza, da parte dell’Ente impositore, sia sopravvenuta all’accertamento, tali essendo anche quelli noti ad un ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’atto al momento dell’adozione dello stesso».
A sostegno di tale impostazione, la Corte ha richiamato, non la normativa in materia di accertamento integrativo (a rigore non applicabile all’integrazione degli accertamenti parziali), bensì proprio il «principio di tendenziale unicità che connota gli accertamenti», che ora ha trovato una giusta collocazione all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente.
Si tratta, peraltro, di una soluzione pienamente compatibile con la formulazione letterale dell’art. 41 bis del D.P.R. 600/1973, che fa salva la «ulteriore azione accertatrice» e consente agli uffici di limitarsi ad accertare «in base agli elementi predetti» il reddito o il maggior reddito imponibili.
Ebbene, l’azione accertatrice limitata è quella «ulteriore», cioè diversa da quella idonea a confluire nell’accertamento parziale e scaturente dalla relativa fonte di innesco.
Ciò significa, in sostanza, che laddove l’Amministrazione finanziaria riceva una fonte d’innesco idonea ad emettere un avviso di accertamento parziale, sarà necessario che nel provvedimento impositivo confluiscano tutte le contestazioni desumibili dagli elementi contenuti in detta fonte.
A ciò si aggiunga – sempre per quel che riguarda la possibilità di limitare l’adozione dell’accertamento parziale – che tale tipologia di provvedimento dovrebbe accogliere le contestazioni basate su elementi contraddistinti da un certo grado di specificità ed automatismo (BASILAVECCHIA, L’accertamento parziale. Contributo allo studio della pluralità di atti di accertamento nelle imposte sui redditi, cit., p. 170; in argomento vd. anche INGRAO, Frammentazione dell’accertamento tributario e violazione del principio di unicità, cit., p. 874).
In tal senso si è pronunciata altresì la giurisprudenza che, sia pure nell’ambito di una vertenza riguardante la possibilità di accedere alla procedura di adesione ai p.v.c. (già disciplinata dall’art. 5 bis del D.Lgs. n. 218/1997), ha circoscritto l’avviso di accertamento parziale alle fattispecie in cui sarebbe possibile contestare un maggior debito di imposta in modo “incontestabile” e senza la necessità che vengano effettuate particolari attività di tipo istruttorio e valutativo da parte dell’ufficio finanziario (Cass. 20 ottobre 2021, n. 29036).
Il tutto, nuovamente, in modo coerente sia con la ratio di speditezza che dovrebbe contraddistinguere l’istituto, sia con la formulazione della norma, che richiama la sussistenza di elementi che consentano di “stabilire” l’esistenza di maggior imponibili (sulle conseguenze dell’errata “qualificazione” di un avviso come “parziale” sia consentito il rinvio a BAGAROTTO, La frammentazione dell’attività accertativa ed i principi di unicità e globalità dell’accertamento, cit., part. p. 288).
Resta fermo, tuttavia, che le limitazioni al rischio di proliferazione degli avvisi di accertamento sono contenute, tanto più nella descritta situazione in cui gli uffici finanziari riceveranno sempre più “segnalazioni” specifiche e dettagliate, idonee ad essere trasposte in un provvedimento impositivo (parziale).
4. Come visto, l’art. 9 bis fa salva altresì l’emendabilità dei vizi formali e procedurali.
Ora, il riferimento alla emendabilità dei vizi formali e procedurali si riferisce alla possibilità di sostituire un precedente avviso di accertamento viziato, per l’appunto, sotto il profilo formale o procedimentale, con un nuovo avviso corretto. Sostituzione che non dovrebbe incidere, da un punto di vista sostanziale, sulla unicità dell’avviso di accertamento, poiché nella descritta ipotesi si assiste all’emissione di un unico provvedimento impositivo, che viene ritirato e riemesso per correggere errori commessi dall’ufficio finanziario.
Il secondo provvedimento, cioè, dovrebbe contenere la medesima pretesa impositiva contenuta nell’avviso oggetto di sostituzione.
Ciò posto, la formulazione dell’art. 9 bis sembra voler dare una risposta ai dubbi sollevati dalla Corte di Cassazione, da ultimo, con l’ordinanza 1° dicembre 2023, n. 33665, che ha rimesso alle Sezioni Unite due questioni, tra loro correlate, attinenti – per l’appunto – al potere di autotutela (sul punto vd. anche MELIS, Una visione d’insieme delle modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente: i principi del procedimento tributario, in Il Fisco, 2024, p. 221).
Più precisamente, in tale ordinanza la Corte di Cassazione ha chiesto alle Sezioni Unite di valutare, da un lato, se l’esercizio del potere di autotutela sia limitato alle ipotesi di esistenza di vizi formali o, diversamente, sia finalizzato a tutelare il cd. interesse fiscale, fermi restando i limiti rappresentati dai termini di decadenza e dal giudicato; dall’altro lato, se l’esercizio del potere di autotutela tributaria correlato alla sussistenza di vizi sostanziali costituisca una (ulteriore) deroga al cd. principio dell’unicità dell’accertamento, anche in considerazione «della diversità strutturale e funzionale del potere di autotutela rispetto al potere di accertamento integrativo» (su tale ordinanza vd. anche ANTONINI-PIANTAVIGNA, Alle SS.UU. le questioni problematiche sull’autotutela sostitutiva, in Corr. trib., 2024, p. 252).
Sul punto, peraltro, è particolarmente interessante che la stessa Suprema Corte abbia sottolineato che anche l’autotutela parziale in diminuzione, laddove non mantenga fermi gli “elementi strutturali dell’accertamento” ed introduca perciò “elementi di novità”, possa costituire, in realtà, un nuovo accertamento. In particolare, nella sentenza 14 dicembre 2021, n. 39808 è stato evidenziato che «Non può infatti escludersi che la diminuzione dell’imponibile accertato con il primo atto trovi causa non in un mero ricalcolo quantitativo, che pacificamente non sposta gli elementi strutturali dell’accertamento, ma incida invece proprio su tali elementi. In questo caso deve ritenersi che la nuova rideterminazione della pretesa fiscale, pur ridotta rispetto all’atto impositivo originario caducato per autoannullamento, introduce comunque nel rapporto fiscale elementi di novità, tali da far ritenere che il nuovo atto notificato al contribuente sia un nuovo avviso di accertamento, e ciò al pari dell’ipotesi dell’aumento» (similmente si veda la pronuncia 31 agosto 2023, n. 25515).
Ebbene, il richiamo, operato nel citato art. 9 bis alla «emendabilità di vizi formali e procedurali», infatti, non lascia spazio ad un’interpretazione che consenta di emendare il provvedimento impositivo anche sotto il profilo sostanziale.
Né, a sostegno dell’autotutela in malam partem è possibile invocare «specifiche disposizioni» che derogherebbero al divieto generale dell’art. 9 bis, considerato che la stessa Suprema Corte ha ritenuto che, laddove tale forma di autotutela venisse riconosciuta legittima (alla luce del generico contenuto dell’abrogato D.M. 11 febbraio 1997, n. 37, nella parte in cui richiamava i «casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione»), essa costituirebbe una «ulteriore deroga (non specificamente normata alla luce del tenore letterale dell’art. 1 del D.M. n. 37 del 1997) al principio dell’unicità dell’accertamento».
Per di più, i novellati art. 10 quater e 10 quinquies dello Statuto dei diritti del contribuente, nel ridisegnare l’esercizio del potere di autotutela, fanno sistematicamente riferimento all’annullamento in tutto in parte degli atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione, cioè a forme di annullamento inidonee ad “ospitare” forme di integrazione dell’imponibile.
5. Quanto sin qui rilevato consente di trarre alcune prime conclusioni sull’introduzione dell’art. 9 bis dello Statuto dei diritti del contribuente.
La creazione di una norma generale di principio che afferma la necessaria unicità dell’accertamento non può che essere salutata con favore, in quanto idonea a porre un argine al rischio che le forme di frammentazione dell’attività accertativa si amplino ulteriormente, per esempio attraverso l’utilizzo dell’autotutela sostitutiva in malam partem.
Senonché, la scelta di mantenere inalterate le deroghe al principio della unicità – e, in particolare, l’avviso di accertamento parziale – rende, all’atto pratico, l’impatto della riforma non del tutto soddisfacente.
Non resta perciò che auspicare che la riforma venga completata con una radicale revisione delle fattispecie che consentono di emettere un avviso di accertamento parziale, in particolare individuando ipotesi ben definite, caratterizzate dall’opportunità di anticipare l’azione amministrativa, come avviene per esempio per i redditi da imputare per trasparenza e per i redditi che derivano da controlli “incrociati” (si pensi al caso dell’accertamento dei redditi da canoni di locazione individuati attraverso l’analisi dei contratti registrati).
Un’occasione di coordinamento, peraltro, potrebbe essere rappresentata dall’individuazione di quegli «atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni individuati», richiamati dal novellato art. 6 bis, comma 2, dello Statuto e per i quali è previsto che non sussista l’obbligo di contraddittorio anticipato.