argomento: Imposte sui trasferimenti e altri tributi - Giurisprudenza
La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Firenze, con la sentenza n. 129 dell’8 marzo 2023, confermando la unitarietà della causa del “patto di famiglia”, ha ritenuto applicabile alla liquidazione dei legittimari non assegnatari l’aliquota e la franchigia dell’imposta di successione e donazione previste per il legame di parentela che intercorre tra “il disponente ed i legittimari non assegnatari”. La pronuncia, che si conforma al principio affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 29506 del 24 dicembre 2020, stimola una ulteriore riflessione in merito alla limitazione applicativa dell’esenzione di cui al comma 4 ter, art. 3 del D.Lgs. n. 346/1990, esclusivamente al primo trasferimento di cui si compone il patto di famiglia, proprio alla luce di tale unitarietà della causa e della finalità “extrafiscale” tutelata.
» visualizza: il documento (Corte di giustizia tributaria di primo grado di Firenze, 8 marzo 2023, n. 129)PAROLE CHIAVE: patto di famiglia - imposta di successione e donazione - passaggio generazionale - esenzione - finalitā extrafiscali
di Mariagiulia Trapanese
1. La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Firenze, con la pronuncia in commento, conferma il principio affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 29506 del 24 dicembre 2020, avente ad oggetto il trattamento fiscale del “patto di famiglia”, ed in particolare il controverso regime della “liquidazione del legittimario non assegnatario” (sulla natura, FICARI, La fiscalità della trasmissione familiare della ricchezza e dei patti di famiglia, in trim. dir. trib., 2021, 2, p. 321).
L’istituto del patto di famiglia è stato oggetto di aspro contrasto dottrinario, prima, e giurisprudenziale, poi, in quanto all’introduzione di tale innovativo strumento civilistico di cui agli artt. 768 bis ss. c.c. non è seguita una specifica regolamentazione del regime tributario, determinando una lacuna normativa (CAPOLUPO, I nuovi patti di famiglia, in il fisco, 2006, p. 3651; PURI, Prime riflessioni sul trattamento fiscale del patto di famiglia, in Dir. prat. trib., 2008, 3, p. 10565), anche sul piano agevolativo, che aveva destato grande stupore tra i primi commentatori (BASILAVECCHIA, Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari. Le implicazioni del patto di famiglia. Aspetti sistematici, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano, 2006; BEGHIN, Il patto di famiglia tra profili strutturali e aspetti problematici, in Corr. trib., 2006, 45, p. 3543).
In ragione di tale carenza normativa, si è dovuto ricorrere ad una interpretazione analogica dei regimi fiscali esistenti, muovendo dall’inquadramento civilistico del patto di famiglia (FRIEDMANN, Le implicazioni fiscali delle attribuzioni tra familiari – Prime riflessioni sul trattamento del Patto di famiglia ai fini delle imposte indirette, in Quaderni della fondazione italiana per il notariato, Milano, 2006, FEDELE, Profilo fiscale del patto di famiglia, in Riv. dir. trib., 2014, 5, p. 526), che è stato a sua volta oggetto di “quell’ansia da classificazione propria della teoria della sussunzione e del sillogismo secondo la quale se non si attribuisce un nomen iuris a priori ad una fattispecie sembra sia impossibile conoscere e governare un fenomeno, dimenticando che sono gli interessi alla base delle relazioni sociali, non i concetti e le categorie” (così, PERLINGIERI, Il patto di famiglia e la pluralità degli interessi coinvolti. La necessità di rifuggire da analisi descrittive e l'esigenza di proporre soluzioni ragionevoli e conformi ai valori normativi ed alla loro gerarchia. Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano, 2008, p. 122).
Questa attività interpretativa, attesa la controversa natura giuridica del patto di famiglia, è risultata particolarmente complessa. Parte della dottrina civilistica ha ritenuto che fosse prevalente il carattere divisorio dell’operazione (MANES, Prime considerazioni sul patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza familiare, in Contratto e Impresa, 2006, 2, p. 550; AMADIO, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano, 2006. Quale tesi alternativa alla “donazione modale”, MERLO, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati, profili civilistici del patto di famiglia, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano, 2006); altri che il “patto” fosse sussumibile nella disciplina della donazione modale (MERLO, ult. op. cit.; CACCAVALE, Appunti per uno studio sul Patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano, 2006; LUPETTI, Il finanziamento dell'operazione: familiy buy out, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano, 2006) ovvero della donazione indiretta, con riferimento alla liquidazione dei legittimari “virtuali” non assegnatari (CACCAVALE, ult. op. cit.; BARALIS, Attribuzioni ai legittimari non assegnatari dell'azienda o delle partecipazioni sociali, in Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato, Milano, 2006), o ancora che potesse essere qualificato come nuova liberalità tipica, anche definita liberalità non donativa (PERLINGIERI, op. cit.); ovvero altra parte della dottrina ha ritenuto preminente il carattere oneroso (LA PORTA, Il patto di famiglia, Milano, 2007).
La pluralità di interpretazioni può essere ricondotta entro due principali impostazioni ermeneutiche: l’una che osserva analiticamente ogni segmento di cui si compone il patto di famiglia; l’altra, invece, che considera l’operazione nel suo complesso, nel rispetto della funzionalità e del collegamento tra i vari atti, teleologicamente tesi all’unico e comune obiettivo di trasferimento e salvaguarda della impresa di famiglia.
Sul piano tributario, le varie tesi elaborate dipendevano dall’adozione di tali impostazioni, contrapponendo una visione ‘unitaria’ ad una ‘atomistica’, da cui derivavano trattamenti fiscali differenti (BASILAVECCHIA, op. cit., il quale distingueva una prospettiva “analitica” ed una “complessiva e globale”).
2. Il patto di famiglia, disciplinato dalla L. 14 febbraio 2006 n. 55, trova la sua origine nella Raccomandazione della Commissione CE del 7 dicembre 1994 (94/1069/CEE), contenente un invito agli Stati membri ad adottare misure necessarie per facilitare la successione nelle piccole e medie imprese e, in particolare, delle cc.dd. imprese familiari “al fine di assicurare la sopravvivenza delle stesse ed il mantenimento dei posti di lavoro” (TAGIURI-DAVIS, Bivalent Attributes of the Family Firm, in Family Business Review, vol 9, n. 2, 1996, p. 199 ss.). Il Legislatore nazionale ha recepito tali indicazioni introducendo tale “nuovo contratto tipico” che – derogando ad un principio cardine dell’ordinamento quale il divieto dei patti successori – ha la finalità di tutelare il valore delle imprese di famiglia, agevolandone e favorendone la conservazione e la continuazione. Difatti, il patto di famiglia permette di pianificare “in vita” il fisiologico (e cruciale) momento del passaggio generazionale, e tende a prevenire il rischio di disgregazione derivante dalle potenziali liti tra i coeredi (SCHLESINGER, Interessi dell’impresa e interessi familiari nella vicenda successoria, in AA.VV., La trasmissione familiare della ricchezza, Milano, 1995, p. 131). Esso anticipa gli effetti della successione mediante l’immediato trasferimento dell’azienda e/o delle partecipazioni sociali al discendente ritenuto maggiormente idoneo a garantirne la continuità; sottrae i beni attribuiti all’azione di riduzione e alla collazione; cristallizza, inoltre, il valore degli assets al momento della conclusione del contratto.
Nella citata Raccomandazione veniva posta l’attenzione anche sul c.d. onere fiscale, considerato tra i principali ostacoli al buon esito della successione familiare che mette a rischio l’equilibrio finanziario dell’impresa, talvolta costringendo gli eredi a “realizzare una parte degli attivi o a vendere l’insieme dell’impresa ovvero a porla in liquidazione”. La Commissione, pertanto, invitava gli Stati membri ad adottare misure incentivanti anche sul piano fiscale, e ciò spiega ancor di più lo stupore e le criticità che comporta la mancanza di una autonoma regolamentazione fiscale.
3. Anche in ambito tributario diverse erano state le interpretazioni da parte della dottrina: alcuni condividevano la qualificazione del patto di famiglia quale atto di liberalità e, nello specifico, come donazione modale per cui, quindi, si sarebbe dovuta applicare l’imposta sulle donazioni al trasferimento dell’azienda e/o delle partecipazioni sociali, e l’art. 58 del D. Lgs. 346/1990 al modus da cui è gravata l’attribuzione principale (BASILAVECCHIA, op. cit.). Altra parte della dottrina, che adottava anch’essa una visione unitaria del patto, riteneva prevalente la natura divisoria, e dunque la base imponibile del tributo risultava essere la massa virtualmente divisa tra i legittimari. A tale interpretazione, tuttavia, si eccepiva che nell’esecuzione del patto i beni attribuiti non cadono mai realmente in comunione e, di contro, il trattamento fiscale applicabile al negozio divisorio-distributivo trova la sua ratio proprio nel carattere dichiarativo della divisione (FORMICA, La divisione nel diritto tributario, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da Rescigno, vol. II, Padova, 2010, p. 676; Studio CNN n. 24-2015/T, Divisione – Individuazione della massa nelle ipotesi successorie e non successorie – Riflessi delle assegnazioni sulla configurabilità di conguagli fittizi).
Per i sostenitori della prospettiva “atomistica”, che considerava le attribuzioni singolarmente e separatamente, le conseguenze fiscali erano diverse: non sorgevano particolari perplessità sul trasferimento dal disponente dell’azienda e/o partecipazioni sociali all’assegnatario, in quanto allo stesso si riconosceva una natura liberale, ritenendo, quindi, applicabile l’imposta sulle donazioni. La maggiore incertezza emergeva con riguardo alla liquidazione dei legittimari “virtuali” non assegnatari. Infatti, si è evidenziato che se tale obbligazione fosse stata considerata funzionalmente separata dall’assegnazione dell’impresa all’electus, la stessa avrebbe perso qualsiasi connotato di liberalità, rilevando come puro trasferimento e rientrando, conseguentemente, nell’ambito applicativo dell’imposta di registro (FEDELE, La Cassazione e il “patto di famiglia”, in Riv. tel. dir. trib., 22 gennaio 2019).
Una svolta significativa si è avuta con l’introduzione, ad opera della Legge Finanziaria per il 2007 (art. 1, comma 78, lett a, L. 27 dicembre 2006, n. 296), del comma 4 ter all’articolo 3 del D.Lgs. 346/1990 (TUS), che ha previsto l’esenzione dall’imposta di successione e donazione dei trasferimenti di azienda, rami di azienda e/o partecipazioni sociali “effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile” (BASILAVECCHIA–PISCHETOLA, Studio CNN, n. 47-2007/T, Tassazione dei patti di famiglia e dei trasferimenti di cui all’art. 1, comma 78, legge 27/12/2006 n. 296 (c.d. Finanziaria 2007); MASTROIACOVO, Imposizione indiretta del passaggio generazionale dell’azienda tra regimi agevolati e criticità di sistema, in FICARI-MASTROIACOVO (a cura di), Corrispettività, onerosità e gratuità. Profili tributari, Torino, 2014, p. 668).
Tale novella ha svolto un importante ruolo sia nel processo di attuazione delle indicazioni fornite in sede comunitaria, avendo introdotto nell’ordinamento interno una determinante misura agevolativa volta a favorire ed incentivare l’attuazione del passaggio generazionale nelle imprese di famiglia, sia nell’analizzato contrasto dottrinale, avendo “indirettamente” previsto una prima indicazione sulla regolamentazione fiscale del patto di famiglia.
Per godere di tale agevolazione, in coerenza ed esecuzione della finalità extrafiscale perseguita, è necessario che vengano rispettati specifici presupposti soggettivi ed oggettivi (BASILAVECCHIA-PISCHETOLA, ult. op. cit.; BUSANI, L’agevolazione per il passaggio generazionale delle azioni e delle quote di partecipazione al capitale di società, in Le Società, 2018, 11, p. 1219; MARZO, L’imposta sulle successioni e donazioni nei trasferimenti d’azienda, in Notariato, 2018, 1, p. 112; CARUNCHIO, Tassazione del patto di famiglia quale atto gratuito, in Il Fisco, 2018, 39, p. 3740; TRAPANESE, Agevolazioni fiscali del passaggio generazionale nella “impresa familiare”: Spagna e Italia a confronto, in Riv. dir. trib. int., 2019, 1, p. 165):
Il mancato rispetto di tali condizioni determina la decadenza dall’agevolazione fruita, l’obbligo di versare l’imposta nella misura ordinaria, nonché il pagamento di una sanzione amministrativa (prevista dall’articolo 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471) e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata.
4. Sebbene il comma 4 ter avesse fornito una parziale indicazione sul regime fiscale del patto di famiglia, rimanevano diversi dubbi interpretativi, tra cui la disciplina cui assoggettare le liquidazioni operate dall’assegnatario dell’impresa ai legittimari “virtuali” non assegnatari, oggetto della pronuncia in commento.
Sul punto era inizialmente intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la Circolare 3/E del 2008 che, qualificando il patto come “atto a titolo gratuito non prettamente donativo” e le successive attribuzioni quale “onere” (i.e. modus), faceva rientrare l’intero istituto nell’ambito applicativo dell’imposta sulle donazioni. Specificava, poi, che l’esenzione di cui al comma 4 ter era riferibile esclusivamente al trasferimento dell’azienda e/o partecipazioni sociali; conseguentemente, la liquidazione in denaro o in natura degli altri legittimari non assegnatari, non potendo godere di tale regime agevolato, era soggetto all’imposta nella misura ordinaria. Non si era espressa, tuttavia, in merito al “rapporto” rilevante ai fini dell’imposizione e, dunque, se dovesse essere il rapporto tra disponente e legittimario, ovvero quello tra gli stessi legittimari. Ed invero, nel primo caso, l’aliquota applicabile sarebbe stata del 4%, con franchigia di un milione di euro; nel secondo caso, invece, l’aliquota applicabile sarebbe stata del 6%, con franchigia di centomila euro.
Anche su tale aspetto si sono contrapposte diverse posizioni ermeneutiche: autorevole dottrina, muovendo da una valutazione unitaria dell’istituto in oggetto, riteneva applicabile il regime agevolativo di cui al comma 4 ter anche alle attribuzioni nei confronti dei legittimari non assegnatari (GAFFURI, Imposta sulle successioni e donazioni, Padova, 2006, p. 509 ss.; FEDELE, Profilo fiscale del patto di famiglia, cit.).
Secondo una diversa interpretazione, le liquidazioni a favore dei legittimari non assegnatari dovevano essere considerate come una liberalità effettuata dal disponente e, pertanto, il rapporto di parentela rilevante ai fini dell’imposizione doveva essere quello intercorrente tra il disponente ed i legittimari non assegnatari (BASILAVECCHIA-PISCHETOLA, op.cit.).
Si distinguevano, poi, due ulteriori orientamenti, entrambi che prediligevano la visione atomistica dell’istituto: secondo alcuni, le liquidazioni a favore dei legittimari non assegnatari erano ugualmente assoggettabili all’imposta sulle donazioni ma, in tale ottica, rilevante ai fini dell’imposizione era il rapporto di parentela tra l’assegnatario dell’impresa e gli atri legittimari; altri riconducevano tali trasferimenti nell’area dell’imposta di registro (CAPOLUPO, Effetti della (incerta) natura giuridica del patto di famiglia sul relativo regime fiscale, in Il fisco, 2016, 40, p. 3847; PETRELLI, La nuova disciplina del “patto di famiglia”, in Riv. del Notariato, 2006, p. 401 ss.).
5. In tale situazione di incertezza, è intervenuta la Suprema Corte che con l’ordinanza del 19 dicembre 2018, n. 32823 – prima pronuncia avente ad oggetto l’istituto del patto di famiglia – ha operato una ricostruzione civilistica dell’istituto ed individuato il relativo trattamento fiscale ad esso applicabile (in senso critico, GHINASSI, La Suprema Corte interviene sul patto di famiglia, in Riv. tel. dir. trib., 10 gennaio 2019; FEDELE, La Cassazione e il “patto di famiglia”, cit.; BASILAVECCHIA, Il patto di famiglia: dove il diritto civile unisce, il fisco (e la giurisprudenza) dividono – il commento, in Corr. trib., 2019, 3, p. 267; DAMIANI, Criticità fiscali del patto di famiglia, complicazioni e incertezze, in Corr. trib., 2019, 4, p. 369).
La Corte, in primo luogo, ha riconosciuto all’istituto natura essenzialmente liberale e donativa, “sia per quanto concerne l’atto di trasferimento aziendale dal disponente al discendente, sia per quanto attiene alle quote di liquidazione che quest'ultimo è tenuto a versare ai legittimari non assegnatari”. In virtù di tale qualificazione, ha ribadito la pacifica applicazione al primo trasferimento del comma 4 ter dell’art. 3 TUS e, dunque, del non assoggettamento all’imposta in presenza delle suddette specifiche condizioni.
Quanto alle liquidazioni nei confronti dei legittimari non assegnatari, sebbene la Suprema Corte avesse ricondotto tali attribuzioni nell’alveo del modus – facendo espresso riferimento all’art. 58, comma 1, del TUS – concludeva, poi, ritenendo che tale corresponsione dovesse essere assoggettata all’imposta sulle donazioni in base all’aliquota ed alla franchigia relativa all’esclusivo rapporto tra “il legittimario assegnatario ed il legittimario non assegnatario”.
Tale pronuncia, non condivisibile sia sul piano strettamente giuridico, che su quello economico in virtù degli effetti “disincentivanti” che determinava (CORASANITI, Gli aspetti tributari del passaggio generazionale delle imprese alla luce della recente prassi dell’agenzia delle entrate, in Riv. trim. dir. trib., 2020, 2, p. 293 ss.), è stata poi superata dalla sentenza n. 29506 del 2020 che, confermando la qualificazione del patto di famiglia quale “donazione modale”, ha affermato che la liquidazione del conguaglio, anche se operata dall’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali, deve essere considerata, ai fini fiscali, come liberalità “dell’imprenditore nei confronti dei legittimari non assegnatari”.
La Suprema corte, difatti, distaccandosi dal precedente orientamento, ha chiarito che “proprio in virtù del richiamo al D.Lgs. n. 346/1990, art. 58, comma 1, il patto di famiglia in cui il beneficiario del trasferimento di azienda o delle partecipazioni societarie liquidi il conguaglio agli altri legittimari, dal punto di vista impositivo, contiene più atti di liberalità dell’imprenditore, una a favore del beneficiario del trasferimento e le altre a favore degli altri legittimari non assegnatari” (in commento, FEDELE, La Cassazione aggiusta il tiro sul regime fiscale del patto di Famiglia, in Riv. tel. dir. trib., 31 dicembre 2020; LOCONTE, Patto di famiglia: la liquidazione della quota ricevuta dal legittimario non assegnatario va considerata come donazione da parte del disponente, in GT – Riv. giur. trib., 2021, 5, p. 426).
6. Nel caso in esame, il destinatario degli avvisi di accertamento impugnati aveva stipulato due distinti patti di famiglia con i quali aveva trasferito ad un figlio la nuda proprietà di tutte le sue quote di partecipazione al capitale sociale di due società (cfr. Agenzia delle Entrate, risposte a interpello nn. 37 e 38 del 7 febbraio 2020), ed aveva riconosciuto al legittimario non assegnatario il diritto alla liquidazione di somme determinate sul valore delle quote di partecipazione.
Per tale operazione il ricorrente invocava l’analizzata esenzione dall’imposta di donazione trattandosi di trasferimenti della quota di controllo in favore del figlio con contestale impegno dello stesso a mantenere tale controllo per almeno cinque anni, evidenziando inoltre che “la liquidazione al legittimario non assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali, anche se operata dal legittimario assegnatario, deve essere considerata, ai fini fiscali come liberalità dell’imprenditore, disponente nei confronti del legittimario non assegnatario”.
L’Ufficio, diversamente, riteneva che la “liquidazione dei confronti del legittimario non assegnatario”, dovendo avvenire con beni dell’assegnatario, non potesse essere ricondotta alla donazione tra “disponente e i legittimari esclusi, con conseguente impossibilità di applicare il regime donatorio proprio della relazione tra disponente e legittimario escluso”.
La Corte di giustizia tributaria di primo grado di Firenze, richiamando il recente principio affermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 29506/2020, confermato altresì da successiva giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sez. V, Ord., n. 19561/2022), ha accolto il ricorso valorizzando la “unitarietà” della causa del patto di famiglia, composta di “una serie di atti di liberalità dell’imprenditore originario, la prima nei confronti del beneficiario e la seconda nei confronti dei legittimari non assegnatari”. La Corte, quindi, ha concluso ritenendo applicabile alla liquidazione dei legittimari non assegnatari l’aliquota e la franchigia previste dal legame di parentela che intercorre tra il disponente ed i legittimari non assegnatari.
Tale orientamento, coerente sul piano ricostruttivo a differenza del precedente arresto giurisprudenziale, stimola una ulteriore riflessione in merito alla limitazione applicativa dell’esenzione di cui al comma 4 ter esclusivamente al primo trasferimento (dell’azienda e/o della partecipazione sociale) nei confronti del legittimario assegnatario (STRIANESE, Il potential for generational transfer: il tratto che caratterizza l’istituto del “patto di famiglia” tra profili civilistici e aspetti rilevanti sul piano tributario, in AMATUCCI (a cura di), Fiscalità e tutela della famiglia, Napoli, 2023, p. 131).
Si ritiene che particolare attenzione vada posta sulla natura e finalità della agevolazione di cui al comma 4 ter, nel caso di specie nell’ambito del patto di famiglia, in quanto, alla luce del centrale ruolo che svolgono le imprese familiari nell’economia nazionale, esse rispondono non solo all’interesse privatistico dell’imprenditore alla sistemazione del “patrimonio aziendale familiare”, ma anche ad interessi di rilevanza pubblicistica e macroeconomica (LOGOZZO, Famiglie e imposizione fiscale, in Riv. trim. dir. trib., 2023, 3, p. 641).
Tale finalità, è stata precipuamente evidenziata anche nella recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 120 del 23 giugno 2020, nella quale la Corte assume come specifico riferimento costituzionale l’art. 41 Cost. – nonostante esulasse dalle censure del remittente – al fine di inquadrare la natura della esenzione in esame (GALLO, Introduzione del dibattito sulla costituzionalità delle imposte successorie e sulle donazioni, in Dir. prat. trib., 2020, 5, p. 2098; CORASANITI, Il passaggio generazionale delle aziende e l’imposizione successoria; dalla Consulta le indicazioni al legislatore per la revisione del regime agevolativo sospettato di incostituzionalità, in Giur. cost., 2020, 3, p. 1361; CANNIZZARO, Il passaggio generazionale dell’impresa ai fini dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni nel pensiero della Corte costituzionale tra ratio del prelievo, razionalità dell’esenzione e spinte innovative sul ruolo del giudice, in Riv. trim. dir. trib., 2021, 1, p. 133).
L’esigenza di tutelare la continuità aziendale è stata attentamente valorizzata da parte del giudice delle leggi in quanto preordinata alla garanzia del diritto al lavoro, al fine di scongiurare, in tal modo, anche gravi crisi occupazionali, in nome dell’«interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali e del dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso» (così C. Cost., sent. n. 120/2020, ed il richiamo a C. Cost., sent. n. 270/2010 e n. 85/2013).
Con tale pronuncia, tuttavia, la Corte ha sollevato forti dubbi sulla proporzionalità di tale esenzione, sebbene non abbia poi proceduto con l’autoremissione della questione di legittimità della stessa. Ed invero, la Corte, con primaria finalità monitoria, ha criticato l’ambito applicativo estremamente ampio del regime agevolativo e l’assenza di una ponderazione della stessa sulla base “delle dimensioni dell’impresa” ovvero “di particolari congiunture economiche sfavorevoli o di indici dai quali sia desumibile la difficoltà dei successori nel corrispondere l’imposta”. Ciò pur riconoscendo l’importanza della finalità tutelata “di garantire la sopravvivenza dell’impresa e quindi di evitare la dissipazione dell’universo dei valori sociali ad essa indubbiamente riferibili, che derivano dalla sua capacità, in varie forme e modi, di promuovere l’utilità sociale”.
Nell’ottica di una possibile modifica dell’art. 3, comma 4 ter, pertanto, se, da un lato, parrebbe opportuna una rimodulazione e graduazione dell’agevolazione affinché possa essere ricondotta sul piano applicativo nei parametri della “proporzionalità” rispetto alla finalità extrafiscale tutelata, dall’altro, occorrerebbe prendere in considerazione la previsione di una regolamentazione unitaria degli strumenti con cui tale finalità viene attuata.
In tal senso, proprio la unitarietà della causa e della analizzata finalità “extrafiscale” perseguita con il patto di famiglia, ed i citati risvolti pubblicistici, potrebbero giustificare una previsione agevolativa che regolamentasse tale istituto nel suo complesso. Tale travagliata e turbolenta “storia fiscale” del patto di famiglia, tuttavia, trova ancora una volta fondamento nella mancanza di una precipua regolamentazione dell’istituto che, attesa la complessità tanto strutturale quanto finalistica dell’istituto, sarebbe quanto più necessaria per favorire l’applicazione di tale importante strumento di pianificazione “successoria”, ancora oggi molto limitata.