argomento: IRAP e tributi locali - Giurisprudenza
La pronuncia affronta più questioni di legittimità riunite, aventi ad oggetto la costituzionalità del regime di parziale deducibilità dal reddito di impresa dell’IMU per gli immobili strumentali nei periodi d’imposta 2013-2021.
» visualizza: il documento (Corte cost., sent. 20 febbraio 2024, n. 21)PAROLE CHIAVE: beni strumentali - IMU - deducibilità - IRES e IRAP - persone giuridiche
di Gianluigi Scala
1. Uno degli elementi strutturali che caratterizza il prelievo sui redditi delle attività d’impresa, professionali o artigianali è la deducibilità dall'imponibile dei costi inerenti all’esercizio dell'attività, in quanto costituenti spese sostenute per la produzione del reddito e, dunque, insuscettibili di concorrere alla determinazione del presupposto giuridico d’imposta. Tale configurazione trova preciso riscontro nell'art. 75, comma 1, TUIR dal quale emerge che il presupposto d'imposta caratterizzante l’IRES è, per l’appunto, costituito dal possesso di un “reddito complessivo netto”. In tema di oneri deducibili dalle imposte sul reddito d’impresa si è recentemente posta la questione di legittimità costituzionale relativa al divieto di deduzione dell’IMU versata per immobili strumentali. Tale questione è stata risolta – con riferimento al regime di indeducibilità operante nei periodi d’imposta 2011 e 2012 – mediante la sentenza n. 262/2020, che ha riconosciuto l’antinomia di tale divieto con gli art. 3, 53 e 41 Cost.
2. Ciò posto, l’ultimo intervento della Corte costituzionale in tema di deducibilità dell’IMU dal reddito d’impresa, da cui è scaturita la pronuncia in commento, si sofferma sui problemi sorti con riferimento ai periodi d’imposta 2013-2021, in relazione ai quali il legislatore ha progressivamente attuato un’operazione correttiva, prevedendo un regime di parziale deducibilità in base a valori percentuali di anno in anno crescenti, sino a giungere nel 2022 a prevedere la completa deducibilità. La disciplina di parziale deducibilità rimessa all’attenzione della Consulta è dettata dall' art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2011 nella sua particolare formulazione assunta a partire dalla legge di stabilità per l’anno 2014 (art. 1, commi 715-716, della L. n. 147/2013). Tale disciplina prevede che per i periodi dal 2013 al 2021 l’imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali sia deducibile solo parzialmente ai fini IRES, seppur in misure percentuali crescenti di anno in anno, ma rimanga completamente indeducibile ai fini IRAP.
3. Non appare possibile, tuttavia, comprendere appieno le conclusioni da ultimo raggiunte dalla Corte senza ripercorrere brevemente le posizioni espresse in precedenza nella sentenza n. 262/2020 e, ancor prima, nella sentenza n. 163/2019. La Corte, infatti, era già stata chiamata in precedenza a scrutinare la costituzionalità dell’art. 14 del D.Lgs. n. 23/2011 proprio nella formulazione susseguente alla L. n. 147/2013; tuttavia in quell’occasione non aveva inteso addentrarsi nel merito, eludendo le aspettative di quanti tra i commentatori avevano intravisto la sussistenza dell'antinomia denunciata dal rimettente (cfr. FARRI, I principi di capacità contributiva e di uguaglianza alla prova della parziale indeducibilità dell’IMU dal reddito d'impresa, in Rivista di diritto tributario, 2019, 2, pp. 56-78). Tuttavia, con quella sentenza la Corte, soffermandosi nel sanzionare la formulazione dei quesiti devoluti dal rimettente, reputava opportuno procedere alla declaratoria di inammissibilità.
Il tema giungeva nuovamente al vaglio della Consulta durante il corso dell’anno 2020, seppur con riferimento alla formulazione originaria dell’art. 14 cit. – valida solo per i periodi d’imposta 2011-2012 – che escludeva tout court la deducibilità dell’IMU dagli imponibili IRES (sent. n. 262/2020). Per via della irragionevole preclusione assoluta, quel giudizio si concludeva con la declaratoria di parziale incostituzionalità per contrasto con gli artt. 3, 41, 53 Cost. L’illegittimità, ad avviso della Corte, si sostanziava nell’incoerenza della scelta legislativa di vietare la deduzione dell’imposta municipale sugli immobili strumentali con il presupposto che caratterizza l’IRES, costituito nel possesso di un “reddito complessivo netto” (ex art. 75, comma 1, TUIR) e la conseguente deducibilità costo inerente all’esercizio dell’impresa in quanto finalizzati proprio alla produzione del reddito (cfr. QUATTROCCHI, Sulla deducibilità, ai fini Ires, dell’Imu sugli immobili strumentali, in Riv. dir. trib., 2021, 5, pp. 246-268).
4. Diversamente da quanto occorso nel 2020, quindi, la sentenza in commento affronta, giungendo però a rigettare, plurime questioni di legittimità, previamente riunite, sollevate in tre diverse ordinanze che evidenziano, sotto profili in parte convergenti, l’incostituzionalità del regime di parziale deducibilità dalla base IRES dell’IMU sugli immobili strumentali e della totale indeducibilità dalla base imponibile dell’IRAP. Nelle ordinanze i giudici a quo evidenziano l’antinomia tra l’art. 14, cit. e gli artt. 3, 41 e 53 Cost. Secondo i rimettenti la violazione del principio di eguaglianza si sostanzierebbe nel pregiudizio che l'attuale regime di limitata deducibilità comporterebbe, a livello orizzontale, tra le imprese che decidono di impiegare beni immobili di proprietà nella produzione e quelle che, al contrario, decidono di conformare i processi produttivi senza ricorrere all'acquisto di beni immobili strumentali. A parità di reddito lordo, infatti, la prima tipologia di impresa risulterà fiscalmente svantaggiata rispetto alla seconda, in quanto impossibilitata a dedurre dalla base imponibile dell'imposta sui redditi le somme versate a titolo di IMU in relazione ai beni strumentali. Ulteriormente, secondo uno dei rimettenti il regime di parziale deducibilità dall'imponibile IRES stabilito dal legislatore per mezzo della definizione ogni anno di valori percentuali massimi (30% nel 2013, 20% nel 2014 e così via fino ad arrivare al 100% nel 2022) violerebbe il canone di ragionevolezza per via dell’arbitraria selezione da parte del legislatore di un valore forfetario privo di un collegamento aritmetico o logico, diretto o indiretto con la reale capacità economica del soggetto attinto dal prelievo fiscale.
5. Sotto il profilo della violazione dell’art. 41 Cost., veniva denunciata la penalizzazione che la deducibilità parziale riverserebbe sulle operazioni d’investimento aventi ad oggetto l’acquisto di immobili strumentali, rendendo tale scelta fiscalmente svantaggiosa rispetto ad altre forme d’investimento. Per quanto, poi, concerne la violazione dell’art. 53 Cost., sono individuati due distinti profili di censura: per un verso l’erronea commisurazione del reddito effettivo imponibile, giacché in esso confluirebbero spese inerenti alla produzione del reddito medesimo; per altro verso si ingenererebbe una doppia imposizione a fronte del medesimo presupposto, costituto dalla proprietà di immobili strumentali. Viene, infine, denunciata separatamente la violazione degli artt. 3 e 53 Cost. con riferimento al principio di ragionevolezza, poiché secondo i giudici a quo il regime di parziale deducibilità risulterebbe incoerente con la struttura del presupposto dell’IRES, che a norma dell’art. 75, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 deve essere calcolato sul reddito complessivo netto: in altri termini, secondo quest’ordine di censura, il legislatore avrebbe erratamente impiegato la discrezionalità attribuitagli, strutturando il tributo in modo incoerente con il presupposto prescelto e costituito, appunto, dal reddito complessivo netto. Per quanto concerne la totale indeducibilità dall’IRAP dell’IMU sui beni strumentali viene osservato che essendo l’IRAP un’imposta che colpisce l’attività produttiva e si applica sul “valore della produzione netta” (art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 446/1997), anche per tale tributo la deduzione dell’IMU dovrebbe considerarsi coerente.
6. Effettuata la ricognizione delle questioni di legittimità decise con la sentenza in commento, appare necessario chiarire che quelle aventi ad oggetto lo scrutinio sul regime di limitata deducibilità dall’IRES sono state dichiarate inammissibili e quelle attinenti all'incostituzionalità del divieto di deduzione dall’IRAP sono state dichiarate alcune inammissibili ed altre infondate. A giustificazione dell'inammissibilità delle questioni sull'incostituzionalità del regime di limitata deducibilità vengono richiamati per relationem gli argomenti di cui al passaggio conclusivo della sentenza n. 262/2020, in cui in modo non del tutto convincente è espressamente negata l’estensione della declaratoria di incostituzionalità ai periodi d'imposta successivi al 2012. Infatti, in quel caso la Consulta aveva ritenuto di specificare che non sussistevano i presupposti per l’estensione della dichiarazione di illegittimità costituzionale alle annualità successive al 2012 in ragione del fatto che il legislatore per i successivi periodi d’imposta si era gradualmente corretto, contemperando l’esigenza di equilibrio del bilancio con la coerenza alla struttura dell’IRES, sino a giungere a prevedere, con l’art. 1, comma 773, della L. n. 160/2019, la totale deducibilità a partire dal 2022. L’inammissibilità delle questioni, dunque, ad avviso della Corte, nascerebbe dal fatto che i rimettenti abbiano omesso di motivare autonomamente il dubbio di legittimità costituzionale, preferendo piuttosto limitarsi a reiterare gli argomenti affrontati e risolti all'interno dei passaggi motivazionali contenuti nella sentenza n. 262/2020, senza esporre le ragioni per cui sarebbe stato opportuno optare per l’estensione della pronuncia d’incostituzionalità in via consequenziale ai successivi periodi d’imposta. Parimenti inammissibile, inoltre, è stata reputata anche la questione di costituzionalità sollevata circa il rapporto tra l’art. 14 cit. e l’art. 3 Cost. ed in relazione al divieto di deducibilità dell’IMU dalla base imponibile IRAP per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza. Al riguardo, è stata ritenuta generica la motivazione della questione prospettata, che deriva dalla mancata specificazione da parte del rimettente dei diversi fattori della produzione il cui impiego darebbe luogo a disparità di trattamento e dalla mancata individuazione della misura in cui si verrebbe a determinare il differente e più gravoso onere impositivo. In riferimento all’art. 53 Cost., invece, la questione di legittimità del divieto di deduzione dall’IRAP è stata ritenuta non fondata per le molteplici diversità strutturali con l’IRES. Come noto, infatti, nell’IRAP il legislatore ha individuato quale indice di capacità contributiva non il reddito bensì la manifestazione di una capacità produttiva derivante dal potere di organizzazione e coordinamento dei fattori della produzione.
7. Individuate le direttrici principali della sentenza n. 21/2024, sembra possibile tracciare delle riflessioni conclusive. Se il ragionamento seguito per l’IRAP pare prima facie condivisibile stante l’effettiva differenza di presupposti e struttura del tributo rispetto all’IRES, non altrimenti è possibile dire proprio in relazione alla indeducibilità parziale dalla base dell’imposta sul reddito delle società.
La Corte costituzionale sembra non perdere occasione per ribadire la pervasività del perimetro discrezionale riservato al legislatore in materia tributaria, il quale ad avviso del Giudice delle leggi può andare esente da critiche di costituzionalità in presenza di un ravvedimento correttivo anche solo parziale. Questo approccio appare largamente non convincente e destinato a cedere il passo a numerose aporie, prima tra tutte quella che si ricava agevolmente applicando la massima “plus semper in se continet quod est minus”: se è vero, infatti, che in presenza di costi inerenti a beni strumentali per l’esercizio dell’impresa l’indeducibilità assoluta è contraria alla Costituzione, altrimenti dovrebbe esserlo l’indeducibilità parziale, la quale di fatto impedisce pur sempre la deduzione di una porzione di costo (quale che ne sia l’entità) legalmente insuscettibile di concorrere alla determinazione del presupposto giuridico d’imposta. Il pronunciamento, peraltro, finisce con l’impiegare per relationem le apodittiche motivazioni di cui al punto 4 della sentenza n. 262/2020, secondo cui “non sussisterebbero i presupposti” per estendere in via consequenziale l’illegittimità costituzionale alle disposizioni temporalmente successive, proprio in virtù del fatto che – stando al ragionamento seguito dalla Corte - negli anni successivi il legislatore avrebbe progressivamente invertito la tendenza, prevedendo un progressivo costante aumento della porzione percentuale di IMU deducibile: si preferisce così, fors’anche in modo sbrigativo, valorizzare ultra vires il “virtuoso” percorso compiuto dal legislatore, culminato con l’entrata in vigore dell’art. 1, comma 773, della L. n. 160/2019 con cui è stato introdotto, a partire dal periodo d’imposta 2022, il regime di totale deducibilità, unico completamente coerente con la struttura dell’IRES e che sin da subito avrebbe dovuto essere previsto in via ordinaria.
Il pronunciamento in commento, quindi, appare in contrasto con i principi di coerenza e ragionevolezza perché reputa non incompatibile a costituzione l’indeducibilità parziale solo perché non assoluta, ma parziale. La scelta discrezionale compiuta dal legislatore tributario con riferimento all’individuazione del presupposto dell’IRES nel reddito netto dovrebbe, quindi, portare per ragioni strutturali alla deducibilità completa dei costi di esercizio dell’impresa. Una volta effettuata la selezione del presupposto, il legislatore non può rendere indeducibile un costo fiscale inerente, come quello per l’IMU sugli immobili strumentali, mancando di coerenza rispetto alla struttura del tributo.
8. Con riferimento alla sentenza n. 262/2020, anche a fronte dell’esito infausto cui sono giunte le questioni rimesse alla Corte, è possibile prendere nota di un ulteriore elemento di specificazione rispetto al passato costituto dalla centralità che viene affida in questa occasione all’accertamento che deve compiere il giudice a quo sulla natura strumentale degli immobili per i quali è stata versata l’IMU. Tale accertamento si appalesa, infatti, tanto centrale da determinare, per via della sua mancanza, la declaratoria d’inammissibilità per difetto di motivazione sulla rilevanza di una delle ordinanze pervenute dai rimettenti. Di converso, il corretto svolgimento del predetto accertamento di strumentalità è la ragione che consente la disamina delle questioni sollevate dalle altre due ordinanze riunite nel giudizio. In questa prospettiva, dunque, viene definitivamente chiarito cosa debba correttamente intendersi ai fini della deduzione dell’IMU per “bene immobile strumentale”, rappresentando quest’ultimo un onere certo e inerente, ossia “un costo necessitato che si atteggia alla stregua di un ordinario fattore della produzione, a cui l’imprenditore non può sottrarsi”. Cade in questo modo la ricostruzione di coloro i quali all’indomani della sentenza n. 262/2020 salutavano l’emersione di un criterio largamente permissivo in base al quale sarebbe stato possibile beneficiare della deduzione IMU anche per gli immobili solo formalmente appartenenti all’impresa, ma di fatto non concretamente impiegati per lo svolgimento dell’attività produttiva (BEGHIN, La deducibilità dell'IMU ai fini IRES tra inerenza del costo e strumentalità del bene, in trib., 2021, 4, pp. 315-320).