Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

05/07/2024 - La difficoltà di coordinamento tra agevolazioni fiscali e prassi amministrativa: l'esperienza della "Tremonti Ambiente"

argomento: Agevolazioni - Legislazione e prassi

Nonostante il superamento (seppur parziale) dei dubbi relativi alla cumulabilità dell'agevolazione di cui alla c.d. Tremonti Ambiente, la concreta fruizione della stessa incontra ulteriori ostacoli, rappresentati dal sistematico e atavico ricorso dell'Amministrazione a forme di controllo inadeguate rispetto ai casi specifici. Tutt'ora permane la necessità di coordinare le innovazioni normative in tema di agevolazioni fiscali con la prassi amministrativa, affinché il legittimo interesse dei contribuenti sia tutelato.

PAROLE CHIAVE: contraddittorio - controllo automatizzato - accertamento - agevolazioni fiscali


di Fabrizio Virdis

1. Il coordinamento tra la politica fiscale e la tutela dell'ambiente rappresenta la massima espressione del recepimento, da parte del Legislatore nazionale, dei principi unionali in materia ambientale fissati dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Di fatti, il TFUE, all'art. 191, sancisce il principio secondo cui “la politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: i) salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente, ii) protezione della salute umana, iii) utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, iv) promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici”.

Sul piano nazionale, tale incessante attività di attuazione delle norme di indirizzo sancite dall'UE ha avuto come effetto il varo di misure volte ad incentivare l'adozione di strumenti finalizzati alla prevenzione dell'inquinamento e alla lotta contro i cambiamenti ambientali.

Il principio del “chi inquina paga” (dettame richiamato dallo stesso art. 191, espressivo del principio secondo cui colui che si rende responsabile di ogni forma di inquinamento ambientale, dovrà allo stesso modo farsi parte diligente nel sostenimento dei costi necessari alla relativa prevenzione) inserito nel contesto dicotomico tra tassazione ambientale e incentivi fiscali in materia ambientale, ha avuto piena espressione nell'ordinamento tributario con la L. n. 388/2000, la quale introdusse una misura (la c.d. “Tremonti Ambiente”) volta all'incentivazione, in forma di detassazione del reddito d'impresa, degli investimenti ambientali, intesi quali acquisti di immobilizzazioni materiali (tra cui gli impianti fotovoltaici) atti a prevenire, ridurre e riparare i danni causati dall'ambiente.

Quello del “chi inquina paga” è un principio “dagli evidenti riflessi fiscali, laddove se ne scorga il profilo coattivo, insito nel dovere del soggetto inquinatore di contribuire alle spese di protezione e ripristino ambientale” (cfr. Puri, La produzione dell'energia tra tributi ambientali e agevolazioni fiscali, in Dir. prat. trib., 2014, 2, pp. 309-336).

Peraltro, il ricorso a un istituto agevolativo nella forma della detassazione dal reddito d'impresa, in luogo del tributo ambientale, era sostanzialmente giustificato dall'estrema difficoltà nel far assurgere a presupposto impositivo (quale espressione della capacità contributiva) l'evento dannoso per l'ambiente.

La concreta fruizione dell'agevolazione ha, tuttavia, risentito sin da subito di non pochi contrasti, primariamente rappresentati dai dubbi relativi alla cumulabilità con un altro incentivo in tema ambientale, ovvero le c.d. tariffe incentivanti, e, in secondo luogo, da perpetue discordanze tra prassi amministrativa, dottrina e giurisdizione di legittimità, relative a una inappropriata adozione degli atti del procedimento tributario, nonché ad un difficile coordinamento tra la rappresentazione su base dichiarativa delle agevolazioni e l'emendabilità della dichiarazione dei redditi.

 

2. Come anticipato in premessa, il principale ostacolo alla concreta fruizione dell'incentivo posto in essere dalla c.d. Tremonti Ambiente è stato rappresentato dalle incertezze normative circa la cumulabilità con gli incentivi tariffari promossi dal GSE. Le due agevolazioni erano entrambe espressive del rapporto tra politica fiscale e produzioni energetiche, ancorché riferibili a due alternative misure:

- gli incentivi tariffari;

- la detassazione degli utili reinvestiti (è questo il caso della Tremonti Ambiente).

Il dibattito che si è sviluppato nel corso degli anni relativamente alla cumulabilità delle suddette agevolazioni verteva principalmente sulla dicotomia tra misura economica compensativa (le tariffe incentivanti) e agevolazione fiscale propriamente detta (la detassazione degli utili di cui alla L. n. 388/2000).

La prima identificava sostanzialmente un contributo a fondo perduto a remunerazione dei costi dell'investimento, mentre la seconda sul piano operativo rappresentava sic et simpliciter una variazione in diminuzione sulla base imponibile ai fini delle imposte dirette.

L'impostazione secondo cui la cumulabilità di tali misure avrebbe potuto portare ad una duplicazione di “benefici pubblici per lo stesso investimento” (effetto paventato ab origine dal Ministero dello Sviluppo Economico) venne ben presto superata con l'entrata in vigore del c.d. “V Conto Energia” (D.Lgs. n. 28/2011) e con il D.M. 5 luglio 2012, i quali fugarono ogni ulteriore dubbio stabilendo la possibilità di cumulare l'agevolazione di cui al “II Conto Energia” con la detassazione di cui alla Tremonti Ambiente.

L'Agenzia delle Entrate recepì tali novità normative definendo, con la risposta ad interpello 907-12363/2014, le modalità operative per il recupero del beneficio eventualmente non fruito per via dell'incertezza in ordine al cumulo delle due agevolazioni. Secondo tale impostazione, l'operatore avrebbe potuto avvalersi (ancorché tardivamente) della detassazione “presentando una dichiarazione integrativa ex articolo 2, comma 8 bis, del d,p.r. n. 322 del 1988 ovvero provvedendo alla correzione dei dati contabili secondo le modalità espresse nella Circolare dell'Agenzia delle Entrate del 24 Settembre 2013, n. 31/E”.

La fictio iuris di cui si servì il legislatore nel rendere cumulabili due agevolazioni di diversa natura (ancorché funzionale allo stesso investimento) venne tuttavia limitata esclusivamente alle norme testé citate, permanendo per diversi anni l'incertezza sui successivi Conti Energia. Così, le condizioni di incertezza normativa generale da disposizioni di dubbia interpretazione e dall'ardua applicazione pratica andrebbero ad intensificarsi proprio nei casi in cui l'operatività di talune disposizioni dipenda da orientamenti, spesso discordanti, di più amministrazioni pubbliche (cfr. BASILAVECCHIA, Se l'agevolazione diventa una trappola: il caso delle tariffe incentivanti nell'energia, in Corr. trib., 2020, 5, pp. 463-469). D'altra parte, l'assenza di uno specifico divieto di cumulo su base legislativa avrebbe ribaltato la valutazione delle condizioni di cumulabilità in capo alle tariffe incentivanti, e non con riferimento all'agevolazione di cui alla L. n. 388/2000 (cfr. PANE-BERTETTI, La vexata quaestio del cumulo della Tremonti Ambiente con le tariffe incentivanti, in Il fisco, 2018, 4, pp. 329-338).

 

3. I più recenti pronunciamenti della Suprema Corte in tema di “Tremonti Ambiente”, relativi all'effettiva difficoltà di coordinamento tra la rappresentazione su base dichiarativa dell’agevolazione e l'attività di controllo ed eventuale recupero della stessa poste in essere dall'amministrazione finanziaria, evidenziano una chiara tendenza da parte dell'Agenzia delle Entrate a non uniformarsi, oltreché ai principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità, ai suoi stessi provvedimenti.

Difatti, il fil rouge che collega i diversi pronunciamenti della Cassazione (tra tutti, Cass. civ., sez. VI, ord. n. 15982/2020, Cass., sez. VI, ord. n. 20554/2022, Cass., sez. VI, ord. n. 2931/2023, consultabili in Banca dati DeJure), verte sul mancato riconoscimento, da parte degli uffici dell'Amministrazione Finanziaria, delle evidenze concernenti la fruizione della “Tremonti Ambiente” riportate nelle dichiarazioni integrative presentate dal contribuente a seguito dei chiarimenti intervenuti in tema di cumulabilità con gli incentivi tariffari. Tale vizio nelle azioni di controllo aveva sostanzialmente generato elementi di discordanza tra i susseguenti adempimenti dichiarativi, in altre parole, causando una mancanza di continuità tra le dichiarazioni presentate dai contribuenti.

Questi ultimi, nell’incertezza relativa alla cumulabilità dell’incentivazione GSE con l’agevolazione di cui alla L. n. 388/2000 (c.d. “Tremonti ambiente”) non potendo avvalersi dell'agevolazione fino al 2014 (anno in cui, a seguito delle evoluzioni normative e dei documenti di prassi che si sono susseguiti la cumulabilità risultò ormai chiara) avevano, infatti, riportato le relative evidenze nelle dichiarazioni riferite ai successivi periodi d'imposta mediante il ricorso alla dichiarazione integrativa.

Nella totalità dei casi l'amministrazione, ritenendo tardiva la rettifica delle dichiarazioni, iscriveva a ruolo le somme relative ai dati non riportati nelle medesime ricorrendo ai controlli automatizzati di cui all'art. 36 bis del D.P.R. n. 600/1973 (fatto che costituisce un altro aspetto da considerare ai fini di una compiuta disanima dei casi esposti).

 

4. Nell'ambito delle controversie aventi ad oggetto la fruizione dell'agevolazione di cui alla L. n. 388/2000, il vulnus riferibile ai contribuenti, rilevato nell'espletamento dell'attività di controllo dell'amministrazione finanziaria, sarebbe connesso alla tardività nella rettifica delle dichiarazioni pregresse. Nello specifico, in tale istanza, i contribuenti avrebbero provveduto a rilevare le risultanze degli avvenuti chiarimenti in materia di cumulabilità tra le misure agevolative in tema di incentivazione GSE (c.d. “Conti Energia”) e quelle di cui alla L. n. 388/2000 (c.d. “Tremonti Ambiente”).

Come compiutamente esplicitato, fu la stessa Amministrazione, nel 2014 a chiarire le modalità operative attraverso le quali, coloro che avessero prudentemente evitato il cumulo dell'agevolazione con gli incentivi tariffari avrebbero potuto recuperare il beneficio non fruito nel periodo di competenza.

Rilevato che la ratio procedendi dell'ente impositore fosse connessa alla tardività nella rettifica delle dichiarazioni riferite ai periodi d'imposta oggetto di iscrizione a ruolo, un rilevante spunto di riflessione è rappresentato dal principio dell'emendabilità della dichiarazione dei redditi.

Nel rilevare l'asimmetria determinata dalla mancata rilevazione della dichiarazione integrativa, l'amministrazione di fatto disconosceva un'agevolazione e ne disponeva il recupero rendendo irrilevante la circostanza che la medesima fosse spettante o meno.

Su casi analoghi la Suprema Corte si era già pronunciata, sancendo il principio di diritto secondo cui la dichiarazione dei redditi assume la natura di dichiarazione di scienza (cfr. Cass., SS.UU., n. 13378/2016 in tema di imposte sui redditi, Cass., sez. trib., nn. 20643/2021 e 18405/2021 consultabili alla banca dati OnePA Wolters Kluwer), in luogo di una vera e propria manifestazione di volontà.

Secondo tali impostazioni, l’attività di elaborazione e invio della dichiarazione nonché la contestuale autoliquidazione del tributo non possono essere in nessun modo ricondotti ad una manifestazione di volontà del contribuente, che scientemente uniforma la quantificazione e la qualificazione del reddito d’impresa alle disposizioni in materia di imposte sui redditi. Siffatto principio, come si è visto, oltre che avere un marcato effetto sull’emendabilità della dichiarazione nella fase contenziosa (e quindi indipendentemente dai termini per la presentazione della dichiarazione integrativa), determina una specifica qualificazione degli elementi stessi della dichiarazione, quali fatti componenti un atto non negoziale e non dispositivo, il quale, peraltro, non costituisce il titolo dell'obbligazione tributaria.

Va da sé che, in quanto espressione del mero giudizio del contribuente, ancorché plasmato in ordine a disposizioni di legge, la rilevazione o meno di un'agevolazione e/o credito d'imposta in dichiarazione non determina una manifestazione della volontà del contribuente di avvalersi o meno di suddetti strumenti. Per tale ragione, in tema di controllo automatizzato, la Suprema Corte (sent. 20 luglio 2021, n. 20643) afferma che l'Amministrazione Finanziaria non possa procedere all'emissione di una cartella di pagamento per il recupero di un credito non dichiarato (poi oggetto di resipiscenza), salvo che accerti che il contribuente abbia anche illegittimamente utilizzato tale credito, generando un debito a carico dell'amministrazione stessa (in tema di riporto dei crediti v. FERRANTI, Riporto a nuovo del credito in caso di omessa dichiarazione: regole diverse per IVA e imposte sui redditi?, in Il fisco, 2022, 43, pp. 4107-4115).

Giova specificare che la Corte di Cassazione ha espresso nel corso del tempo orientamenti difformi in riferimento all'emendabilità della dichiarazione dei redditi. Difatti, sul tema della ritrattabilità dei dati contabili ai fini dell'elaborazione degli studi di settore, la Suprema Corte riaffermò la non emendabilità degli errori dichiarativi nei casi in cui questi ultimi non fossero riferiti al contenuto “proprio” della dichiarazione, bensì alla manifestazione di volontà implicita nell'esercizio dell'opzione offerta dal legislatore (come affermato da PANE-VETRO, La dichiarazione integrativa a favore del contribuente e le agevolazioni fiscali, in Il fisco, 2023, 21, pp. 2043-2049, nonostante gli orientamenti difformi della Suprema Corte relativamente all'emendabilità della dichiarazione, rappresenta opinione condivisa il fatto che il contribuente possa ricorrere in qualsiasi momento all'utilizzo della dichiarazione integrativa ogni qualvolta vi sia incertezza interpretativa in merito all'applicazione di determinate norme) ovvero nei casi in cui il contribuente non dimostrasse l'obiettiva conoscibilità dell'errore. In altre parole, la decisione del contribuente in ordine alla ritrattabilità di specifici dati non poteva trarre origine da una mera valutazione di convenienza connessa alla relativa indicazione o meno in ambito dichiarativo.

I più recenti pronunciamenti della Suprema Corte sarebbero invece orientati verso un generalizzato principio di emendabilità della dichiarazione dei redditi, corroborato dalla possibilità riconosciuta al contribuente di integrare la dichiarazione anche oltre il termine per la presentazione della dichiarazione successiva prevista a partire dall'entrata in vigore del D.L. n. 193/2016, che con l'art. 5 estendeva i termini di invio della dichiarazione integrativa di cui all'art. 2, D.P.R. n. 322/1998, a quelli previsti ai fini dell'accertamento.

Tali orientamenti si pongono pertanto in una soluzione di continuità con la riforma in materia di dichiarazione integrativa già a partire dal 2016, in primo luogo affermando il principio secondo cui, conformemente all'art. 53 Cost., “il contribuente può emendare la dichiarazione allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione e incidenti sull'obbligazione tributaria, anche in sede contenziosa, per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria” (Cass., SS.UU., sent. 30 giugno 2016, n. 13378).

Con riferimento ai casi sottoposti nel corso del tempo al giudizio della Suprema Corte, l'attività di rettifica della dichiarazione originariamente presentata non era riconducibile ad alcuna valutazione di convenienza operata dai contribuenti in ordine alla cumulabilità o meno delle due agevolazioni, quanto all'effettiva facoltà (peraltro concessa dall'ordinamento) di fruire negli stessi periodi d'imposta di due agevolazioni spettanti di diritto in sussistenza dei relativi requisiti sostanziali.

 

5. Come si è avuto modo di anticipare, altro aspetto da considerare nell'ambito delle attività di controllo espletate dall'Amministrazione con riferimento all'agevolazione in commento è rappresentato dal ricorso al controllo automatizzato col fine di disporre il recupero di quanto fruito da parte del contribuente (l'aspetto assume particolare rilievo nel caso esposto in Cass., sez. VI, ord. n. 20554/2022).

In particolare, in tema di controllo automatizzato l'art. 36 bis del D.P.R. n. 600/1973 delimita l'impiego dello specifico strumento ai soli fini della correzione di errori materiali e di calcolo desumibili dalle risultanze della dichiarazione. Esso dunque non può costituire adeguato strumento di verifica della correttezza (ancorché tardiva) degli adempimenti del contribuente venutisi a delineare a seguito del chiarimento di pregresse situazioni di obiettiva incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione.

Peraltro, proprio con riferimento al caso della “Tremonti Ambiente” l'attività dell'amministrazione finanziaria si sarebbe dovuta uniformare, nei vari casi, al principio sancito dall'art.  6, comma 5, della L. n. 212/2000, il quale stabilisce l'obbligo del contraddittorio preventivo qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione.

In particolare, con riferimento al recupero di crediti d'imposta, giova citare Cass., sez. VI-5, ord. n. 5318/2012, secondo la quale la disciplina della diretta iscrizione a ruolo di somme dovute sulla base della dichiarazione è ammessa soltanto laddove gli importi siano desumibili dal mero controllo cartolare, o per la correzione di errori materiali o di calcolo, dovendosi invece attivare l'ordinaria potestà di accertamento in caso di risoluzione di questioni giuridiche o nei casi in cui sia necessario l'esame di documenti esterni alla dichiarazione.

Con riferimento alla “Tremonti Ambiente”, pertanto, costituisce appropriato strumento di eventuale verifica non già il controllo automatizzato, bensì l'avviso di accertamento, il quale, peraltro, garantirebbe l'adeguato contraddittorio con la parte contribuente.

Detta norma stabilisce, infatti, limitatamente a tale presupposto, l’obbligo a carico dell’Amministrazione Finanziaria di invitare il contribuente “a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta” prima di procedere all'iscrizione a ruolo.

 

6. Con il richiamo dei principi fin qui esaminati, la Suprema Corte, a più riprese ha stigmatizzato il ricorso da parte dell'Amministrazione Finanziaria ad istituti di valenza sintetica e meramente aritmetica, la cui speditezza ha ben altri scopi, pur di arrivare a disconoscere vantaggi insiti in precise disposizioni legislative, ancorché oggetto di presunte omissioni dichiarative.

L'eccessivo e improprio utilizzo di tali strumenti rischierebbe infatti di svilire il rapporto di collaborazione tra contribuente e amministrazione, tanto più laddove sussistano agevolazioni a vantaggio di quest'ultimo non fruite tempestivamente per iniziali condizioni di obiettiva incertezza nella fase applicativa delle norme. Il controllo automatizzato, in sintesi, non costituisce strumento adeguato nella fattispecie, producendo una pressoché automatica iscrizione a ruolo che impedirebbe all'amministrazione procedente di valutare le circostanze che hanno condotto il contribuente ad operare nel modo così impropriamente censurato e allo stesso contribuente di fruire, sebbene con incolpevole ritardo, di una agevolazione garantita dalla legge. Circostanze, queste, che ben avrebbero potuto essere evitate se solo si fosse instaurato preventivamente il contraddittorio cui si è fatto cenno.

A tal proposito, con riferimento all'obbligatorietà del contraddittorio preventivo, il legislatore nazionale è intervenuto su diversi punti con la L. n. 111/2023 (c.d. legge delega di riforma fiscale). Nello specifico, all'art. 4 il legislatore della delega ha previsto una generale integrazione dei principi sanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente, ponendo un focus specifico sul principio del contraddittorio, determinandone una generale applicazione a pena di nullità. Allo stesso modo, in ambito procedimentale, anche l'art. 17 demanda l'applicazione in via generalizzata del contraddittorio a pena di nullità in tutti i casi diversi dai controlli automatizzati e le forme di accertamento di carattere sostanzialmente automatizzato.

In relazione allo Statuto dei diritti del contribuente, il Governo ha dato attuazione alla legge delega con l'emanazione del D.Lgs. n. 219/2023, con il quale introduce il nuovo art. 6 bis (“Principio del contraddittorio”).

In particolare, oltre che definire l'obbligatorietà del contraddittorio per tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, a pena di annullabilità dell'atto stesso, al comma 2 l'art. 6 bis fornisce una definizione di tutti gli atti per i quali non è previsto un obbligo generalizzato di invito al contraddittorio da parte dell'ente impositore.

Nello specifico, alla luce di tale novità non sussiste il diritto al contraddittorio nei casi che seguono:

- per gli atti automatizzati e sostanzialmente automatizzati;

- per gli atti di “pronta liquidazione”;

- per gli atti emessi in seguito a controlli formali.

Il governo ha inoltre previsto che l'individuazione degli atti per i quali è escluso il diritto al contraddittorio sia demandata a un decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze (fonte legislativa di rango subordinato).

Al riguardo, il MEF è intervenuto con apposito decreto del 24 aprile fornendo un puntuale e dettagliato approfondimento delle singole fattispecie rientranti nelle categorie testé elencate.

In particolare, vengono identificati come “atti automatizzati e sostanzialmente automatizzati” tutti gli atti che conseguono ad un mero incrocio di elementi già presenti in Anagrafe Tributaria. Giova chiarire che nell'elenco di tali atti, oltre ai ruoli, alle cartelle di pagamento, agli atti di intimazione, figurano anche gli accertamenti parziali (per i quali il diritto al contraddittorio era stato già fortemente limitato dal previgente art. 5 ter del D.Lgs. n. 218/1997, recentemente abrogato dall'art. 1, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 13/2024).

Vengono poi definiti gli atti di “pronta liquidazione” come tutti quegli atti che conseguono a controlli effettuati dall'Amministrazione in ordine al riscontro dei dati contenuti nelle dichiarazioni presentate dal contribuente e dei dati in possesso dell'Amministrazione stessa (tra cui rilevano le comunicazioni in esito ai controlli di cui all'art. 36 bis del D.P.R. n. 600/1973, nonché le comunicazioni in esito ai controlli di cui agli artt. 54 bis, 54 ter, 54 quater del D.P.R. n. 633/1972.

Infine, viene chiarito che rientrano nella categoria degli “atti emessi in seguito a controlli formali” gli atti emessi a seguito di un riscontro formale dei dati contenuti nella dichiarazione con i documenti che attestano la correttezza degli stessi (si fa riferimento in questo caso ai controlli di cui all'art. 36 ter del D.P.R. n. 600/1973).

Ad ulteriore integrazione dei chiarimenti esaminati in precedenza, in sede di conversione in legge del D.L. n. 39/2024, c.d. “D.L. Agevolazioni Fiscali”, è stata introdotta (con l'art. 7 bis) una norma di interpretazione autentica dell'art. 6 bis, finalizzata a una ulteriore qualificazione degli atti per i quali vige l'obbligo di contraddittorio preventivo. Dal punto di vista sostanziale viene chiarito che sono inclusi in tale coacervo tutti gli atti che recano una pretesa impositiva, mentre sono invece esclusi tutti quelli per i quali la normativa preveda già forme di interlocuzione tra l'Amministrazione e il contribuente, nonché gli atti di recupero (per i quali è comunque concessa al contribuente la facoltà di ricorrere all'accertamento con adesione).

A ben vedere, tali disposizioni potrebbero costituire una valida garanzia a favore del contribuente. Tuttavia, l'intervento in ordine a tali fattispecie non permette un'effettiva risoluzione alla pratica ormai largamente impiegata da parte dell'Amministrazione riguardante l'adozione di atti sostanzialmente autoreferenziali (tra tutti, gli accertamenti parziali), rispondenti unicamente a necessità di speditezza dei controlli e di raggiungimento di obiettivi di budget. Pertanto, sul piano operativo, permane l'esigenza che il ricorso allo strumento del controllo automatizzato rimanga circoscritto alle sole fattispecie delineate dall’art. 36 bis.

L'intenso ricorso a tale strumento in luogo di forme procedurali che presuppongano l'interazione dell'Amministrazione col contribuente anche in presenza di fattispecie che la prescrivono ha costituito, infatti, comportamento piuttosto frequente, se non, addirittura, eccessivo, negli ultimi anni. Ciò, verosimilmente, potrebbe essere ascritto all'esigenza di rispettare le scadenze imposte dalla normativa da un lato e all'imponente mole di adempimenti che l'Ente preposto si trova a dover verificare dall'altro. Sia lo stesso Legislatore che l'Agenzia delle entrate non esitano, tuttavia, a riconoscere l'esigenza di un clima di maggiore e più intensa collaborazione con il contribuente ed a questo proposito è quanto mai auspicabile che la sostanziosa integrazione della pianta organica della detta Agenzia che ha avuto luogo con l'indizione dei concorsi attualmente in fase di esecuzione consenta senza ulteriori intralci  un maggiore impiego di risorse da dedicare espressamente ad attività per loro natura non automatizzabili quali, per l'appunto, il contraddittorio cui si è fatto cenno oltre che a consentire l'ambita ed auspicata collaborazione, abbandonando percorsi che se, da un lato, sembrano consentire il rispetto delle scadenze, dall'altro, appaiono in contrasto  con i costruttivi propositi più volte palesati.

In conclusione, è auspicabile che la previsione di un generalizzato obbligo di contraddittorio, nella maniera in cui è stato delineato dal decreto legislativo recante modifiche allo Statuto dei diritti del contribuente e successivamente attuato dal D.Lgs. n. 219/2023, ovvero con esclusione degli “atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni” non sortisca effetti contrari rispetto a quelli cui è ispirata la norma e non intensifichi il ricorso dell'Agenzia delle entrate a forme di controllo inadeguate e per certi versi superficiali. Siffatta previsione dovrà essere necessariamente coordinata con un ulteriore riesame degli atti non automatizzati, sulla scorta di quanto già sta avvenendo con i c.d. atti di recupero (il nuovo art. 38 bis del D.P.R. n. 600/1973, introdotto dal D.Lgs. 12 febbraio 2024, n. 13, eleva l'avviso di recupero ad atto di accertamento vero e proprio) insieme ad un'opportuna revisione dell'operatività dei controlli automatizzati anche in conformità al principio di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione.