argomento: IRPEF - Legislazione e prassi
Considerate le trasformazioni in atto, il legislatore della riforma fiscale ha sentito la necessità di riscrivere i tradizionali criteri di determinazione della residenza fiscale per adattarli al mutato quadro economico e all’attuale realtà internazionale. Con riferimento alle persone fisiche, analizzando le disposizioni contenute nel decreto legislativo recante l’attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, sembra che il risultato sia stato raggiunto soltanto in parte
PAROLE CHIAVE: riforma fiscale - residenza fiscale - domicilio
di Nicolò Zanotti
1. Considerate le trasformazioni in atto, che spaziano dalla maggiore facilità con cui oggi le persone si muovono liberamente attraverso i confini nazionali, creando legami economici e personali in più Stati, alla cultura digitale e alla capacità di utilizzo delle tecnologie, si è rafforzata l’esigenza, sentita da più parti, di riformare i tradizionali criteri di determinazione della residenza fiscale. Questa necessità è stata chiaramente percepita dal legislatore della riforma fiscale, che all’art. 3, comma 1°, lett. c, della legge delega 9 agosto 2023, n. 111, nel delineare i principi e i criteri direttivi inerenti agli aspetti internazionali del sistema tributario, ha indicato anche la revisione della disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche, delle società e degli enti, disponendo che si provvedesse seguendo alcune coordinate di intervento (Sacchetto – Pennesi, La residenza fiscale delle persone fisiche ed il principio di tassazione su base mondiale alla prova del XXI secolo: critica della disciplina vigente e prospettive della riforma, in Riv. trim. dir. trib., 2023, 4, 881 ss.; Pistone, La nuova disciplina delle persone fisiche e delle persone giuridiche nel sistema dell’imposizione reddituale, in Dir. prat. trib., 2023, 3, 872 ss.)
È stato previsto, infatti, che si dovesse introdurre una nuova nozione di residenza fiscale, che fosse coerente con la prassi internazionale e con le Convenzioni contro le doppie imposizioni e coordinata con la disciplina della stabile organizzazione e con i regimi speciali previsti per coloro che trasferiscono o, comunque, riportano la propria residenza fiscale in Italia (c.d. impatriati). Infine, in considerazione della nuova fenomenologia delle prestazioni lavorative, è stato richiesto un adeguato coordinamento con il lavoro agile.
Per quanto attiene alle persone fisiche, il legislatore delegato avrebbe dovuto, perciò, prevedere diversi criteri di determinazione della residenza fiscale che, anche in assenza di un riferimento diretto nel Modello Ocse, avrebbero dovuto comunque essere conformi alle disposizioni convenzionali, così da scongiurare, per quanto possibile, fenomeni di doppia imposizione e, allo stesso tempo, di disparità di trattamento. La ratio posta a base della delega sembra, infatti, fosse quella di favorire l’adattamento degli elementi di collegamento personale alla nuova realtà socio-economica, caratterizzata da un rapido e inesorabile cambiamento delle modalità di prestazione del lavoro.
La delega, quindi, pur rimanendo legata ad un concetto di stampo soggettivo (la residenza), ha inteso suggerire un adattamento al mutato quadro economico e all’attuale realtà internazionale, cercando di rimediare alle criticità rappresentate da parametri eccessivamente formalistici. Il risultato, analizzando le disposizioni contenute nell’art. 1 del d.lgs. 27 dicembre 2023, n. 209, recante attuazione della riforma fiscale in materia di fiscalità internazionale, sembra sia stato raggiunto soltanto in parte (Magliaro – Censi, Le nuove regole per la residenza fiscale non fanno buon uso della migliore prassi internazionale e convenzionale, in Fisco, 2023, 44, 4177 ss.; Selicato, La residenza fiscale delle persone fisiche, in La riforma fiscale. I diritti e i procedimenti, Vol. I, Diritto internazionale e cooperative compliance, A. Giovannini (a cura di), Pacini Giuridica, Pisa, 2024, 13 ss).
2. Un elemento positivo è, certamente, rappresentato dall’esclusione della natura “assoluta” della presunzione di residenza nel caso in cui la persona risulti iscritta all’anagrafe della popolazione residente, poiché, fino ad oggi, tale requisito ha precluso al contribuente qualsiasi possibilità di dimostrare che, nonostante egli non si sia cancellato dagli appositi elenchi, di fatto sia materialmente radicato in un altro Stato (ex multis, Cass., 06.02.1998, n. 1215; Cass., 20.04.2006, n. 9319; Cass., 15.06.2010, n. 14434; Cass. 28.10.2015, n. 21970; Cass., 25.06.2018, n. 16634; Cass., 18.01.2022, n. 1355).
Difatti, negare la possibilità di provare la propria effettiva localizzazione, soprattutto in un contesto in cui gli individui sono sempre più propensi a muoversi liberamente alla ricerca delle migliori occasioni di lavoro oltre i confini, significa adottare un criterio di collegamento ingiustificato ed un’imposizione non rispondente al principio di capacità contributiva (Melis, La nozione di residenza fiscale delle persone fisiche nell’ordinamento tributario italiano, in Rass. trib., 1995, 1043 ss.; Fregni, La residenza fiscale delle persone fisiche, in Giur. it., 2009, 11, 2564 ss.), qualora ne consegua l’applicazione della worldwide taxation ad un soggetto che non appare integrato nel tessuto italiano.
Il legislatore delegato, in armonia con il valore che la giurisprudenza civilistica (cfr., ex plurimis, Cass., 05.05.1998, n. 4518; Cass., 20.04.2006, n. 9318; Cass., 16.11.2006, n. 24222) ha sempre riconosciuto ai dati anagrafici e alla diversa posizione già assunta nella disciplina speciale inerente al c.d. “rientro dei cervelli”, ha, perciò, riqualificato tale presunzione come “relativa”, consentendo, così, al contribuente di dimostrare che, nonostante la presenza di un dato meramente formale, egli ha effettivamente partecipato, per la maggior parte del periodo d’imposta, alla vita economica e sociale di un altro Stato, avendo in quel Paese la prevalenza dei suoi rapporti lavorativi e personali.
3. Se questa modifica è certamente apprezzabile, il decreto delegato non ha, invece, raggiunto gli obiettivi sperati laddove non ha previsto, come regola generale (cfr. Ballancin, Riflessioni critiche sull’elemento temporale nella nozione di residenza, in Glendi – Corasaniti – Corrado Oliva, Per un nuovo ordinamento tributario, 2019, 325 ss.; Bizioli – Mologni, Residenza delle persone fisiche che si trasferiscono in corso d’anno e split year clause, in Corr. trib., 2022, 5, 455 ss.), l’applicazione al contribuente del principio di mondialità limitatamente a quella parte dell’anno in cui egli effettivamente possegga almeno uno dei criteri di determinazione della residenza fiscale stabiliti dalla disciplina nazionale (cd. split year). Si continua, infatti, a disporre che la worldwide taxation permanga per l’intero anno solare, una volta oltrepassata la metà dei suoi giorni, che, secondo quanto ora prevede il decreto, possono essere conteggiati anche “in frazioni”. Quest’ultima previsione rappresenta, però, un modesto palliativo, già richiamato, per una specifica fattispecie, al par. 5, del Commentario all’art. 15 del Modello Ocse, e non elimina il vuoto di tutela che riguarda tutti quei trasferimenti di residenza che avvengono nel corso dell’anno.
L’introduzione della possibilità di frazionare non solo i giorni, ma l’intero periodo d’imposta, avrebbe determinato evidenti benefici per tutti coloro che, per motivi lavorativi o personali, si trovano a spostarsi con frequenza al di fuori del territorio nazionale ed avrebbe consentito di adeguare il nostro sistema fiscale, le cui colonne portanti furono erette quando ancora non esisteva un’economia aperta, ad una realtà in cui sempre più di frequente le imprese reclutano personale a prescindere dalla sua dislocazione geografica ed i lavoratori scelgono liberamente il luogo dal quale rendere la prestazione lavorativa.
L’autonoma considerazione dei singoli intervalli di tempo avrebbe consentito di ripartire l’imposizione nel corso dell’anno in cui avviene il trasferimento di residenza secondo criteri di effettività. Si sarebbe così evitato che il contribuente, a seconda dei casi, possa incorrere in una doppia imposizione sui redditi generati nel Paese di provenienza o di destinazione, nonostante che in quel periodo egli non abbia ancora instaurato, oppure abbia già reciso un legame stabile con lo Stato italiano, che possa giustificare la tassazione sulla ricchezza ovunque prodotta, con tutte le conseguenze che ne derivano anche in ordine agli adempimenti dichiarativi.
4. Nello schema di decreto delegato (Atto del Governo n. 90 dell’8 novembre 2023) si era, altresì, inteso eliminare qualsiasi riferimento al codice civile per l’individuazione dei criteri di collegamento utili a determinare a chi applicare la worldwide taxation. Ciò non escludeva, però, che il richiamo al concetto di “residenza”, contenuto nella nuova formulazione dell’art. 2, 2° comma, del Tuir, avrebbe continuato a porre le proprie radici, attraverso un rinvio implicito, sui principi di ordine civilistico, che devono comunque sottostare ad un vaglio di compatibilità con la materia che ne occupa; l’aver espunto il rimando all’art. 43 c.p.c. rischiava soltanto di alimentare ulteriori incertezze interpretative. In sede di approvazione definitiva della novella normativa, è stato, perciò, reintrodotto il richiamo al “codice civile”, al fine di attribuire un significato inequivocabile al termine “residenza”.
Quanto al domicilio, che rappresenta il criterio più utilizzato per contestare l’eventuale fittizia localizzazione all’estero, il decreto delegato ha, invece, previsto una definizione ad hoc, che si discosta da quella civilistica, qualificandolo come quel “luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona”. La neo-introdotta nozione non è, quindi, più riconducibile a quella del codice civile, che la giurisprudenza tributaria più recente (cfr., ex multis, Cass., 31.03.2015, n. 6501; Cass., 20.12.2018, n. 32992; Cass., 08.10.2020, 21694; Cass., 04.05.2021, n. 11620) ha identificato nell’insieme dei rapporti patrimoniali (gli “affari”) e personali (gli “interessi”) riconoscibili da terzi (Marino, La geometria variabile della residenza fiscale alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità italiana ed europea, in Dir. prat. trib., 2016, II, 260 ss.), ma sembra rivolgersi esclusivamente alla sfera privata del contribuente, riprendendo, per certi versi, il contenuto di alcune pronunce della Corte di Giustizia UE (Corte di Giustizia UE, 12.07.2001, C-C262/99, Louloudakis e 07.06.2007, C-156/04, Commissione c. Grecia), che tuttavia riguardavano questioni incompatibili con la fiscalità diretta (Salanitro, Relazioni familiari, domicilio e comprovata mancata presenza fisica per l’intera annualità nel territorio italiano, in GT – Riv. giur. trib., 2021, 973 ss.).
Con questa nuova formulazione della norma si è probabilmente inteso semplificare l’attività del Fisco, risultando apparentemente più facile, in un contesto globalizzato, individuare il luogo di concentrazione dei rapporti affettivi, piuttosto che quello nel quale si svolgono le relazioni economiche, che sempre più spesso interessano una pluralità di Stati. Non bisogna, però, trascurare il fatto che, se in passato gli interessi personali erano da ricondurre all’idea della famiglia tradizionale, oggi questi sono di più difficile percezione. Il timore è, quindi, che la cura possa risultare peggiore del male: slegare la nozione tributaria da quella civilistica, rischia di lasciare un’eccessiva autonomia all’interprete nell’individuare il luogo in cui il contribuente è effettivamente “radicato”.
La previsione pare, del resto, rifarsi all’interpretazione ministeriale (cfr. circ. 02.12.1997, n. 304/E) e all’indirizzo giurisprudenziale più risalente (Cass., 26.10.1968, n. 3586; Cass., 05.05.1980, n. 2936; Cass. 29.11.2010, n. 1443; Cass. 16.01.2015, 678), che hanno suscitato le critiche della prevalente dottrina (inter alios, v. Marello, Il ruolo degli interessi sociali nella determinazione della residenza delle persone fisiche, in Riv. trim. dir. trib., 2015, 4, 1063 ss.; Fregni, La residenza fiscale delle persone fisiche, in Giur. it., 2009, 2564 ss.), e non sembra neanche “coerente con le convenzioni sottoscritte dall’Italia per evitare le doppie imposizioni” che, nel tentativo di risolvere le ipotesi di conflitto di residenza, a mente dell’art. 4, par. 2, del Modello Ocse, si riferiscono anche al “centro degli interessi vitali” della persona, inteso, tra l’altro, come la sede degli affari ed il luogo da cui si amministrano i beni (cfr. par. 15 del Commentario all’art. 4 del Modello; v. Melis, Trasferimento della residenza fiscale ed imposizione sui redditi, Milano, 2009, 240).
5. Il decreto delegato ha introdotto, infine, un nuovo elemento fattuale di collegamento dato dalla “presenza” nel territorio dello Stato che, rifacendosi al criterio di stampo convenzionale del “soggiorno abituale”, se correttamente interpretato, potrebbe rappresentare un reasonable link tra la capacità contributiva manifestata dal privato ed il suo dovere di concorrere in modo pieno alle spese pubbliche della comunità a cui appartiene e con la quale possiede un legame “economico” stabile. Questo elemento potrebbe, quindi, essere utile a superare e convogliare in sé gli ulteriori criteri, nell’intento di individuare un concetto omogeneo di residenza fiscale, che rifletta la situazione effettiva del contribuente. Se è vero, infatti, che oggi ci troviamo di fronte ad un mercato aperto, occorre individuare un parametro sostanziale che identifichi il luogo in cui il soggetto effettivamente partecipa alla vita commerciale e sociale del Paese, ivi intrattenendo i suoi rapporti economici e giuridici.
Solo così potrà evitarsi che il concetto stesso di residenza fiscale venga utilizzato dall’Amministrazione finanziaria per scopi estranei e meramente strumentali, nell’intento di richiamare ad imposizione porzioni di ricchezza che, altrimenti, potrebbero sfuggire tra le maglie del sistema.