argomento: Sanzioni e contenzioso -
Legislazione e prassi
Nel presente lavoro si illustrerà l’intervento operato con l’art. 1, lett. m), del D.Lgs. n. 87 del 2024, che ha introdotto nel corpo del D.Lgs. n. 74 del 2000 il nuovo art. 21-bis, rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”. Tale disposizione stabilisce che la sentenza irrevocabile di assoluzione, in taluni casi, abbia “efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi”. Essa, tuttavia, manifesta diversi profili di incoerenza e potrebbe rendere maggiormente complesso ottenere un’assoluzione nel processo penale.
Il presente contributo rappresenta il testo rielaborato della relazione presentata al Convegno “La riforma fiscale. Esame dei decreti delegati”, tenutosi a Treviso il 24 ottobre 2024.
PAROLE CHIAVE: processo penale -
processo tributario -
efficacia del giudicato
di Loris Tosi
1. L’art. 20 della legge n. 111 del 2023 ha delegato il Governo a revisionare il sistema sanzionatorio tributario amministrativo e penale, prevedendo che siano “rivisti i rapporti tra processo penale e processo tributario”.
La delega ha ricevuto attuazione ad opera dell’art. 1, lett. m), del D.Lgs. n. 87 del 2024, che ha introdotto nel corpo del D.Lgs. n. 74 del 2000 il nuovo art. 21-bis, rubricato “Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione”.
L’art. 21-bis, sostanzialmente, riproduce i principi e criteri direttivi fissati dalla predetta legge delega stabilendo, al primo comma, che «la sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi».
Come ha già chiarito la Corte di Cassazione (vd. ord. 3 settembre 2024, n. 23570), «tale ius superveniens si applica anche ai casi in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato D.Lgs n. 87 del 2024, purché, alla data di entrata in vigore del D.Lgs, sia ancora pendente il giudizio di Cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente …».
2. Non è semplice stabilire la ratio del citato art. 21-bis, che da taluno è ricondotta al tema del ne bis in idem, rispetto al quale tuttavia risulta poco coerente, laddove il duplice processo non viene affatto precluso in caso di condanna in sede penale.
Piuttosto, sembra di intravvedere una ratio di favore per il contribuente/imputato, che però non può trovare giustificazione nella maggiore affidabilità dell’istruttoria penale rispetto a quella tributaria (giacché, se così fosse, il giudicato penale dovrebbe vincolare il giudice tributario anche in malam partem).
In ogni caso, l’effetto è quello di ridurre il numero dei processi tributari (ogni qual volta il processo penale si concluda con l’assoluzione dell’imputato), che può indurci ad iscrivere l’art. 21-bis tra le misure deflattive del contenzioso.
3. Certo è che si tratta di una innovazione di estrema importanza, che rivoluziona, letteralmente, uno dei caposaldi del sistema sanzionatorio tributario e ci riporta al D.L. 10 luglio 1982, n. 429, quando venne abrogata la cd. pregiudiziale tributaria ed introdotta la regola del cd. “doppio binario”.
La novella sta a significare che, da oggi, il giudice tributario deve tener conto della sentenza penale, anche se questa è molto risalente nel tempo, sempre che essa sia divenuta definitiva.
E ciò a condizione che:
- sia stata pronunciata assoluzione con la formula più favorevole (“il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”). Restano escluse formule come il “fatto non costituisce reato” (per esempio, per mancanza dell’elemento psicologico) o “il fatto non è punibile” o “il reato è prescritto”, mentre i dubbi che potrebbero sorgere sulla ultraefficacia della sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste pronunciata ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p. dovrebbero dissolversi alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione (vedi, ad esempio, Cass. Pen., 11 novembre 2022, n. 43598) secondo cui anche la mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova che il fatto sussiste o che l’imputato lo abbia commesso rientra nelle sentenze di assoluzione con formula piena;
- sia pronunciata a seguito di dibattimento. Restano perciò escluse le sentenze emesse con rito abbreviato ed i patteggiamenti (i quali esulano ovviamente dall’ambito delle “assoluzioni”, ma potrebbero basarsi sulla concordata accettazione che determinati fatti fiscalmente rilevanti non si siano verificati);
- il processo penale ed il processo tributario riguardino il “medesimo soggetto” e ciò con l’importante precisazione, contenuta al terzo comma dell’art. 21-bis, ove può leggersi che «le disposizioni dei commi 1 e 2 (sul secondo comma ci soffermeremo a breve) si applicano … nei confronti dell’Ente e Società, con o senza personalità giuridica nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati»;
- il processo penale abbia riguardato gli «stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario».
Per contro, non è richiesto:
- che l’Agenzia delle Entrate sia stata parte del processo penale mediante costituzione di parte civile;
- che il procedimento penale abbia riguardato fattispecie penali tributarie, per così dire, esattamente sovrapponibili ai fatti contestati in sede tributaria.
4. L’art. 21-bis si colloca nel solco di una tendenza normativa (fors’anche inconsapevole) che, passo dopo passo, ha portato ad una significativa attenuazione della regola del “doppio binario”, prevedendo ed ampliando progressivamente i casi di “contaminazione” tra processo penale e processo tributario.
Le fattispecie più significative riguardano la previsione:
- di una causa attenuante (diminuzione fino alla metà delle sanzioni e non applicazione delle pene accessorie) se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado [oggi: prima della chiusura del dibattimento di primo grado, per effetto delle modifiche recentemente introdotte dall’art. 1, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 87 del 2024] il debito tributario sia stato estinto mediante integrale pagamento degli importi dovuti (art. 13-bis, comma 1, del D.Lgs. n. 74 del 2000);
- di una causa di non punibilità, condizionata al pagamento dell’intero debito tributario per i reati di omesso versamento ed indebita compensazione, di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1 (se ciò avviene prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado: vedi art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 74 del 2000) e per i reati di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (qualora il pagamento sia avvenuto prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza dell’avvio delle indagini sul suo conto (vd. art. 13, comma 2, del D.Lgs. n. 74 del 2000);
- della impossibilità di accedere al patteggiamento ex art. 444 c.p.p. qualora il debito tributario non sia stato integralmente estinto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (art. 13-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 74 del 2000).
5. In quest’ottica, potremmo dire che l’art. 21-bis porta ad ulteriori (ma non estreme, come meglio diremo) conseguenze questa tendenza e sancisce il definitivo superamento del principio di indipendenza e autonomia dei due giudizi.
Ma lo fa in modo “disorganico”.
Infatti:
- il legislatore non si è minimamente interessato al tema del coordinamento con il previgente – e covigente – art. 654 c.p.p., norma alla quale la codificazione ha storicamente assegnato il compito di regolare l’ultraefficacia della sentenza penale nei giudizi civili ed amministrativi.Quale, dunque, il rapporto tra l’art. 21-bis e l’art. 654 c.p.p.?Ora, la risposta è abbastanza semplice se – come ritengo – dobbiamo qualificare il primo come norma speciale rispetto al secondo. Se, cioè, riteniamo che l’art. 21-bis sia una norma, ed anzi l’unica norma, che disciplina, sotto ogni aspetto, i rapporti tra processo penale e processo tributario, mentre per ogni altro giudizio (civile o amministrativo) continuano a valere le regole racchiuse nel citato art. 654.Ma se dovessimo mettere in discussione questa che risulta essere l’interpretazione prevalente ed aderire alla tesi (in dottrina già da taluno avanzata) secondo cui anche l’art. 654 c.p.p. interesserebbe il processo tributario per effetto dell’intervenuta abrogazione dello storico divieto di prova testimoniale, per l’interprete potrebbe rivelarsi davvero arduo coordinare le due disposizioni;
- se la ratio della norma è quella di dare attuazione al canone del ne bis in idem e/o quella di deflazionare il contenzioso, colpisce (e non si giustifica) la sua portata “asimmetrica” per la quale a valere in sede tributaria sono unicamente i giudicati penali favorevoli al contribuente e non viceversa.Questa asimmetria, che non si rinviene nell’art. 654 c.p.p., viene solo in parte attenuata, ma non sanata, dalla disposizione, introdotta contemporaneamente all’art. 21-bis, secondo cui «le sentenze rese nel processo tributario, divenute irrevocabili e gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, aventi a oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l’azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato» (così il comma 1-bis aggiunto all’art. 20 del D.Lgs. n. 74 del 2000);
- l’entrata in vigore del primo comma dell’art. 21-bis ignora l’art. 20 del D.Lgs. n. 74 del 2000 laddove notoriamente prevede il divieto di sospensione del processo tributario in pendenza del processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti.Questa regola è coessenziale al principio del doppio binario e ne rappresenta il logico corollario.Ma che senso ha averla conservata nel momento in cui il principio del doppio binario viene abbandonato?Se i due giudizi sono tra loro indipendenti, hanno tempi e priorità casuali e possono approdare ad esiti divergenti, non è logico (né utile) subordinare l’iter processuale tributario alle vicende del processo penale.Ma se, come avviene ora, il giudicato penale può vincolare il giudizio tributario, il sopravvissuto divieto di sospendere quest’ultimo può essere causa di enormi diseconomie processuali ed economiche (per le finanze pubbliche).Basti pensare all’eventualità che un intero processo tributario, magari già sviluppatosi oltre il secondo grado di giudizio, con esiti favorevoli all’Amministrazione, venga travolto da una sentenza penale di assoluzione divenuta definita solo all’ultimo momento.Tale eventualità non è affatto remota ed anzi è espressamente prevista dal secondo comma dell’art. 21-bis secondo cui «la sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a 15 giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio».In tal caso, due gradi di giudizio verrebbero letteralmente vanificati, con tutto quanto ne consegue sul piano delle misure ripristinatorie (in primis, in tema di rimborso delle imposte e delle spese eventualmente pagate dal contribuente nelle more del processo tributario);
- la sentenza penale irrevocabile, in presenza delle predette condizioni poste dall’art. 21-bis, irrompe nel processo tributario ancora pendente senza che però siano stati resi omogenei i rispettivi regimi probatori. Ciò vale per le presunzioni legali (ancorché relative) che notoriamente condizionano con una certa frequenza il giudizio tributario, ma anche per la prova testimoniale, di recente introdotta nel corpo dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, ma solo in forma scritta e con una serie di limitazioni (“necessarietà” ai fini della decisione, ammissione da parte della Corte di giustizia tributaria, sua facoltatività, mancanza del controesame: così il comma 4) che certamente impediscono di equiparala alla prova testimoniale come riconosciuta nel processo penale. Ciò si traduce in un fattore di discriminazione (oltretutto casuale) tra contribuenti: da un lato, i contribuenti che concorrono alle spese pubbliche in base ad un reddito accertato dal giudice penale a seguito di un giudizio “libero”; dall’altro lato, i contribuenti che concorrono alle spese pubbliche in base ad un reddito accertato dal giudice tributario a seguito di un giudizio “vincolato”.
6. In conclusione, il giudizio sull’art. 21-bis non può essere positivo per il semplice motivo che esso non sembra realizzare quella «coerenza con i principi generali dell’ordinamento» che pure la legge delega fissava tra i principi e criteri direttivi.
E ciò nemmeno se ci ponessimo nella prospettiva dei contribuenti che dal giudicato penale si attendono soltanto vantaggi.
È un’ottica egoistica che non dovrebbe condizionare un interprete obiettivo.
Ma basta un po’ di esperienza ed un sano realismo per immaginare che, nei prossimi tempi:
- l’Agenzia delle Entrate tenderà a costituirsi parte civile (non fosse altro che per monitorare l’andamento del processo penale);
- saranno più frequenti le impugnazioni delle sentenze assolutorie da parte del Pubblico Ministero (per evitare che queste diventino definitive).
In altre parole, è probabile che si creino condizioni che potrebbero rendere più difficile ottenere la definitiva assoluzione in sede penale.