Tax News - Supplemento online alla Rivista Trimestrale di Diritto TributarioISSN 2612-5196
G. Giappichelli Editore

03/05/2019 - Esenzione TASI e IMU pių rigorosa per gli enti non commerciali

argomento: IRAP e tributi locali - Giurisprudenza

Il riconoscimento del diritto all'esenzione ex art. 7, comma 1, lett. i) del D. Lgs. n. 504 del 1992 in materia di ICI è subordinato alla sussistenza del requisito soggettivo, che consiste nello dallo svolgimento delle attività previste come esenti dalla norma da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, e del requisito oggettivo, che sussiste nelle ipotesi di svolgimento esclusivo nell'immobile delle predette attività, il cui accertamento deve essere operato in concreto.

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PAROLE CHIAVE: esenzione - IMU - TASI - enti non commerciali


Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con sentenza n. 27 depositata in data 3.4.2012 e non notificata, la CTR di Firenze rigettava l'appello proposto dal Comune di Arezzo per la riforma della pronuncia di primo grado della CTP di Arezzo, che aveva accolto il ricorso proposto dall'Istituto Minimi Suore S.Cuore nei confronti del Comune di Arezzo avverso l'avviso di accertamento Ici per l'anno 2003 con il quale l'Amministrazione Comunale aveva contestato l'omesso versamento del tributo relativamente ad una unità immobiliare destinata a casa di cura in regime di convenzione per lo svolgimento di attività sanitaria.

La sentenza della CTR della Toscana riteneva sussistenti i requisiti soggettivi ed oggettivi che consentono ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, lett. i), di fruire dell'esenzione dall'Ici per gli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività sanitarie.

Il giudice di appello, pur dando atto che la gestione della Casa di Cura, quantunque animata da" spirito missionario", costituiva svolgimento di attività commerciale non assumendo rilievo la natura non profit della stessa, peraltro non conseguita con riferimento all'anno 2003, riteneva dirimente lo svolgimento dell'attività sanitaria da parte dell'Istituto e l'inserimento del medesimo fra quegli enti che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali T.U. n. 17 del 1986 (art. 87, comma 1, lett. c).

Considerava poi non pertinente il richiamo operato dal Comune alla decisione n. 24500/2009 della Cassazione.

Osservava infatti in questo senso che non poteva essere attribuito alle norme sopravvenute (D.L. n. 2006 n. 223, art. 39, comma 1, convertito in L. 4 agosto 2006) valore e portata interpretativa con conseguente efficacia retroattiva come era stato affermato da una successiva pronuncia della Suprema Corte n. 16.6.2010 n. 14530 che ne aveva invece riconosciuto una valenza innovativa ed in quanto tale non applicabile alla fattispecie in esame.

Avverso tale pronuncia il Comune di Arezzo ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo di ricorso.

Si è costituito l'Istituto religioso rilevando l'inammissibilità del ricorso nella parte in cui tende a contrastare gli accertamenti fattuali svolti dalla Commissione Tributaria di primo e secondo grado e comunque l'infondatezza nel merito.

Con il primo motivo il Comune ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. l) in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 222 del 1985, art. 16, lett. a) e b), del D.L. n. 203 del 2005,art. 7, comma 2 bis, del D.L. n. 223 del 2006, art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, 73 e 143, e dell'art. 2195 c.c. In questo senso osserva che l'attività sanitaria svolta all'interno di una casa di cura in quanto diretta alla produzione di beni e servizi dovrebbe essere inquadrata nell'ambito di quelle che rivestono carattere commerciale.

Censura pertanto la decisione della CTR di Firenze laddove si sarebbe limitata in maniera superficiale a rilevare i caratteri di solidarietà sociale dell'attività svolta dall'Istituto senza valutare se l'attività considerata nel suo insieme avesse o meno natura commerciale.

Verifica che invece non sarebbe stata in alcun modo svolta.

In questa prospettiva richiama il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7 lett. i), e la L. n. 222 del 1985, art. 16, lett. a) e b), e la decisione di questa Corte del 20.11.2009 n. 24500 che nel chiarire la portata applicativa delle norme citate aveva ritenuto non esenti da Iva gli immobili appartenenti ad enti ecclesiastici e destinati prevalentemente e non occasionalmente ad attività commerciale.

L'Amministrazione ricorrente censura sotto altro aspetto la decisione per non aver dato una corretta interpretazione della circolare ministeriale 2/DF del 26.1.2009 per la quale deve sussistere un carattere di esclusività e non di prevalenza della prestazione svolta in regime di convenzione escludendo che tale orientamento si ponga in contrasto con la successiva pronuncia n. 14530/2010.

Il motivo nelle sue molteplici articolazioni è fondato.

In primo luogo vanno esclusi i profili di inammissibilità dedotti dalla controricorrente in relazione ad una pretesa contestazione che investe valutazioni di fatto. La critica mossa dal ricorrente infatti investe unicamente la qualificazione giuridica dell'attività svolta.

Va parimenti rigettata l'eccezione di inammissibilità formulata dalla controricorrente la quale con la memoria integrativa deduce una pretesa violazione del principio dell'autosufficienza ex art. 366 c.p.c. dovendosi ritenere ben enucleate le tematiche sottoposte all'attenzione della Corte.

Ciò posto il riconoscimento del diritto all'esenzione prevista dal D. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), secondo l'orientamento ormai consolidato di questa Corte (v. tra le più recenti, Cass. n. 14226 del 2015; 13970 del 2016) è condizionato alla verifica di due requisiti che debbono necessariamente coesistere uno soggettivo: un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento delle attività previste come esenti dalla norma da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), cui rinvia il citato art. 7) ed un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell'immobile delle predette attività, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando rigorosamente (e seguendo ove occorra le indicazioni della circolare ministeriale n. 2/DF del 2009) che l'attività cui l'immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un'attività commerciale (v. tra le più recenti, Cass. n. 14226 del 2015; 13970 del 2016).

Sempre in questa prospettiva è stato affermato che in tema d'imposta comunale sugli immobili, deve essere escluso dall'esenzione un fabbricato nel quale un ente religioso che svolga un'attività a dimensione imprenditoriale anche se non prevalente essendo la predetta esenzione prevista in via generale solo per gli immobili destinati direttamente ed in via esclusiva allo svolgimento di determinate attività tra le quali quelle dirette all'esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all'educazione cristiana mentre per gli immobili in cui si svolgono attività diverse dalla religione e dal culto è necessario verificare se tali attività, ancorchè esercitate da enti religiosi siano svolte per lo scopo istituzionale protetto ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), nella formulazione anteriore alle modificazioni introdotte dalla L. n. 248 del 2005. (Nella fattispecie l'esenzione è stata esclusa per un fabbricato gestito da un ente religioso destinato a "casa religiosa di ospitalità")" (Cass. n. 16728 del 2010; nello stesso senso v. anche Cass. n. 23584 del 2011 e Cass. n. 5041 del 2015; Cass. 2016 n. 13970).

Occorre inoltre tenere nel debito conto la decisione adottata dalla Commissione dell'Unione Europea del 19.12.2012 la quale, nel valutare se il D.Lgs. n. 504 del 1992 art. 7 comma 1, lett. i, in tema di esenzione Ici, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell'Unione, ha precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato.

La Commissione ha infatti osservato che anche laddove una attività abbia finalità sociale questa non è sufficiente ad escluderne la classificazione di attività economica.

Con la predetta decisione la Commissione dell'Unione Europea ha valutato la compatibilità delle disposizioni legislative nel tempo susseguitesi con il Trattato, art. 107, paragrafo 1, che dispone: sono compatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza".

Ha quindi osservato che secondo una giurisprudenza costante, la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento; pertanto un soggetto che in base alla normativa nazionale è classificato come un'associazione o società sportiva può essere considerata un impresa Ai sensi del Trattato, art. 107, paragrafo 1.

L'unico criterio rilevante al riguardo è se il soggetto interessato svolga o meno un'attività economica sottolineando che l'applicazione della normativa sugli aiuti di Stato non dipende dal fatto che un soggetto venga costituito per conseguire utili, poichè anche un ente senza fine di lucro può offrire beni e servizi sul mercato.

Ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie in esame appare opportuno svolgere un preliminare chiarimento.

Ciò posto il riconoscimento del diritto all'esenzione prevista dal D. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i) (che nella fattispecie va applicato, ratione temporis, nella sua formulazione originaria: v. Cass. 24500 del 2009, Cass. 14530 del 2010, Cass. 14795 del 2015) secondo l'orientamento ormai consolidato di questa Corte (v. tra le più recenti, Cass. n. 14226 del 2015; 13970 del 2016) è condizionato alla verifica di due requisiti che debbono necessariamente coesistere uno soggettivo, costituito dal possesso dell'immobile da parte di un ente che non abbia come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), cui rinvia il citato art. 7) ed un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell'immobile di una o più delle attività indicate dalla norma (immobili destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonchè delle attività di cui alla L. 20 maggio 1985, n. 222, art. 16, lett. a))dette attività, il cui accertamento deve essere operato in concreto, verificando rigorosamente che l'attività cui l'immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un'attività commerciale (v. tra le più recenti, Cass. n. 14226 del 2015; 13970 del 2016).

Occorre inoltre tenere nel debito conto la decisione adottata dalla Commissione dell'Unione Europea del 19.12.2012 la quale, nel valutare se il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i, in tema di esenzione lei, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell'Unione, ha precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato.

La Commissione ha infatti osservato che anche laddove una attività abbia finalità sociale questa non è sufficiente ad escluderne la classificazione di attività economica.

L'unico criterio rilevante al riguardo è se il soggetto interessato svolga o meno un'attività economica sottolineando che l'applicazione della normativa sugli aiuti di Stato non dipende dal fatto che un soggetto venga costituito per conseguire utili, poichè anche un ente senza fine di lucro può offrire beni e servizi sul mercato. Orbene rientra nella nozione di attività svolta con modalità commerciali - ovvero nella nozione di attività economica, secondo il linguaggio della Commissione UE - qualunque attività organizzata per la prestazione di servizi a terzi dietro pagamento - da parte dell'utente o di altri, compresi lo Stato, le regioni o altre pubbliche amministrazioni - di un corrispettivo funzionale ed adeguato alla copertura dei costi e alla remunerazione dei fattori della produzione (ivi compresi i capitali investiti). Di converso non è commerciale l'attività di prestazione di servizi che vengano offerti gratuitamente, ovvero dietro pagamento di corrispettivi o contributi meramente simbolici o comunque radicalmente inferiori ai costi di produzione.

Tali principi devono essere applicati anche con riferimento all'attività sanitaria convenzionata.

Infatti anche in questo settore non vi è alcun profilo che consenta di affermare che l'attività sia svolta in forma gratuita o semigratuita, dovendosi ritenere che le tariffe convenzionali siano comunque, dirette a coprire i costi e a remunerare i fattori della produzione, salvo che in ragione di specifiche circostanze fattuali aventi, nel caso di specie assenti, possa dirsi che l'immobile viene destinato ad attività sanitaria svolta con modalità non commerciali escludendo la logica del profitto e del mercato.

Nè assume rilievo ai fini in questione l'osservazione che la prestazione sanitaria sia stata svolta in un mercato non concorrenziale dal momento che la qualifica dell'attività non dipende dal suo essere esercitata in regime di libero mercato.

Nè è dirimente il fatto che l'attività sanitaria svolta in regime di convenzionamento si inserisca nel servizio pubblico (Servizio Sanitario Nazionale) gestito direttamente da una Istituzione pubblica.

Il Servizio Sanitario infatti è attività pubblica ed eventualmente gratuita per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione ed i suoi rapporti con il cittadino utente ma nel caso in cui la P.A. si avvalga dell'opera di privati l'attività svolta da questi ultimi è attività commerciale ove sia prestata dietro corrispettivi pattuiti o stabiliti in funzione dei costi e dell'adeguata remunerazione dei fattori di produzione dei servizi demandati al privato stesso.

Non può avere effetto vincolante la contraria qualificazione enunciata nella circolare 26.1.2009 secondo cui "lo svolgimento di attività assistenziali e attività sanitarie si ritiene effettuato con modalità non commerciali quando le stesse (...) sono accreditate, e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e sono svolte (...) in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico trattandosi di una circolare amministrativa che ha una valenza interna e non può influire sulla qualificazione giuridica dell'attività che è invece demandata al giudice.

Per completezza di esposizione può osservarsi che nessun valore vincolante può essere attribuito sul punto al D. del Ministero dell'Economia e delle Finanze 19 novembre 2012, n. 200, art. 4, comma 2.

Esso non ha valore di legge, tanto più che lo stesso appare, per questa parte, essere stato emanato ultra vires, dato che il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 91-bis, non demandava al decreto ministeriale il compito di definire autoritativamente il concetto di "modalità non commerciali" ma solo il compito di stabilire modalità e procedure da seguire in caso di utilizzazione mista di un immobile, al fine di individuare il rapporto percentuale tra utilizzazione commerciale e utilizzazione non commerciale dell'immobile stesso.

Si tratta comunque di una normativa che, quale che ne sia l'efficacia, è posteriore al periodi cui si riferiscono gli accertamento qui in discussione.

Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi contraddittorio l'iter argomentativo attraverso il quale la pronuncia gravata perviene a riconoscere in capo all'Istituto religioso l'esenzione dall'imposizione Ici.

Il Giudice di appello ha contrapposto la natura commerciale a quella sanitaria considerando quest'ultima capace di rendere inefficace le conseguenze giuridiche che derivano dalla prima facendola rientrare fra quelle agevolate previste dal D.Lgs. n. 504 del 1992, citato art. 7, comma 1.

Il giudice di appello ha fatto una non corretta applicazione della norma sopra citata alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria sopra richiamata dovendosi escludere per l'annualità in discussione il presupposto oggettivo per l'esenzioni Ici.

Il ricorso merita accoglimento e può essere deciso nel merito rigettando l'originario ricorso del contribuente non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto (art. 384 c.p.c., comma 2).

Le spese della fase di merito vanno compensate in ragione della complessità della vicenda e del succedersi nel tempo delle interpretazioni giurisprudenziali.

Le spese della presente fase vanno invece poste a carico della controricorrente e liquidate secondo i criteri del D.M. n. 37 del 2018.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l'originario ricorso del contribuente; compensa le spese del giudizio di merito;

condanna la controricorrente al pagamento delle spese in fase di legittimità che si liquidano in complessivi € 3.000,00 oltre accessori di legge e al 15% per spese generali.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2019