argomento: Sanzioni e contenzioso - Giurisprudenza
La Corte di Giustizia (CGCE 08/05/2019, C-712/17) ha stabilito che i principi di proporzionalità e neutralità ostano ad una normativa in virtù della quale la detrazione illegittima dell’Iva è punita con una sanzione pari all’importo del tributo detratto qualora l’emittente della fattura abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale
PAROLE CHIAVE: sanzioni amministrative - imposta sul valore aggiunto - principio di proporzionalità - neutralità
di Francesco Montanari
1.La recente sentenza della Corte di Giustizia 8 maggio 2019, C-712/17 è di notevole interesse sotto diversi profili in quanto se, da un lato, conferma ed amplifica principi ormai noti e consolidati, dall’altro, pone alcuni punti fermi su alcune questioni che, ad oggi, presentano ancora taluni profili di incertezza (soprattutto sul piano “domestico”).
Il caso all’esame dei giudici del Lussemburgo riguardava una società di capitali italiana alla quale l’Agenzia delle Entrate negava la detrazione dell’IVA relativa ad operazioni di acquisto di energia elettrica sulla base della ritenuta fittizietà delle medesime e, contestualmente, applicava le sanzioni amministrative pari al 100% del tributo illegittimamente detratto.
In particolare, tutte le operazioni contestate avvenivano nell’ambito di un gruppo societario e, secondo l’Ufficio, trovava attuazione un “meccanismo circolare” di vendita dei medesimi quantitativi di energia agli stessi prezzi, tra società appartenenti ad un unico gruppo: la finalità era quella di consentire a quest’ultimo di esporre nelle proprie scritture contabili valori “gonfiati” e, quindi, di accedere più agevolmente a finanziamenti bancari. In ragione di tale schema “fraudolento”, le operazioni poste in essere venivano qualificate come inesistenti (per un’ampia ricostruzione di tali fenomeni cfr., per tutti, A. Giovanardi, Le frodi Iva. Profili ricostruttivi, Torino, 2013).
Nonostante ciò ed al di là del merito della vicenda, risultava non contestato il fatto che, nella fattispecie concreta, non vi fosse stato, da un lato, alcun vantaggio fiscale per le parti contrattuali e, dall’altro, alcun nocumento in termini di danno erariale in quanto il “saldo” tra iva a credito ed iva a debito era pari a “zero”. Al tempo stesso, tuttavia, pareva altrettanto pacifica l’inesistenza delle menzionate operazioni.
La Commissione Tributaria, per tali ragioni, ha sospeso il procedimento ritenendo che “il principio di neutralità dell’imposta” debba “prevalere e che il rifiuto di detrazione dell’IVA regolarmente assolta e l’irrogazione di un’ulteriore sanzione pari all’importo dell’IVA indebitamente detratta non siano proporzionati all’illecito consistito nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti”.
In ragione di tale assunto, poi, la Corte ritiene che la Direttiva, “non osta a una normativa nazionale che esclude la detrazione dell’IVA relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l’IVA in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un’operazione inesistente”: ciò, tuttavia, a condizione che “il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d’imposta risultante da tale obbligo qualora l’emittente di detta fattura abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale”.
Tali principi denotano, evidentemente, un approccio dei giudici del Lussemburgo pragmatico e teso a valorizzare gli effetti concreti delle operazioni nel solco della neutralità, ma i principi più rilevanti e innovativi attengono al versante sanzionatorio.
Nella sentenza si legge, infatti, che, se il compimento di determinate operazioni non determina alcun danno erariale (o se, comunque, la normativa nazionale è idonea, come nel caso di quella italiana, anche solamente a scongiurare tale rischio), “i principi di proporzionalità e di neutralità .. devono essere interpretati nel senso che essi … ostano a una norma di diritto nazionale in forza della quale la detrazione illegale dell’IVA è punita con una sanzione pari all’importo della detrazione effettuata”. Secondo la Corte, infatti, “una sanzione pari al 100% dell’importo dell’imposta indebitamente detratta a monte, irrogata senza tener conto del fatto che un medesimo importo dell’IVA era stato regolarmente assolto a valle e che l’Erario non aveva subito, in conseguenza, nessuna perdita di gettito fiscale, costituisce una sanzione sproporzionata rispetto all’obiettivo da essa perseguito”.
In particolare, i giudici del Lussemburgo rifiutano, seppur implicitamente, la logica delle cosiddette sanzioni improprie cioè di quelle sanzioni che, seppur caratterizzate dalla afflittività, risultano del tutto svincolate dal debito tributario e riflettono conseguenze sul piano sostanziale dei tributi (sul punto vd., da ultimo, L. Del Federico, Sanzioni proprie e sanzioni improprie in AA. VV., Trattato di Diritto sanzionatorio tributario - Diritto sanzionatorio amministrativo (a cura di A. Giovannini, E. Di Martino, A. Marzaduri), Tomo II, Milano, 2016 nonché, da ultimo, con ampi riferimenti al diritto europeo, L. Del Federico – F. Montanari, Decriminalization of Tax Law by Administrative Penalties on Tax Duties in AA. VV. Surchargers and Penalties in Tax Law (a cura di R. Seer – A.L. Wilms), Amsterdam, 2016).
In un’ulteriore prospettiva – strettamente connessa alla prima – la Corte valorizza, sensibilmente, il principio di offensività di matrice penalistica: ciò che viene rifiutata, decisamente, infatti, è una logica meramente formalistica dell’illecito secondo una definizione preconcetta del comportamento sempre punibile in quanto vietato dovendo, invece, la sanzione essere parametrata all’effettivo disvalore della condotta (vd., da ultimo, in tale prospettiva, F. Montanari, La dimensione multilivello delle sanzioni tributarie e le diverse declinazioni del principio di offensività-proporzione in Riv. dir. trib., 2017, I, 471)
L’iter argomentativo sul quale poggia la sentenza, in altri termini, sembra confermare la distinzione, più volte evocata dalla stessa Corte in ambito Iva, tra violazioni formali e violazioni sostanziali e, soprattutto, il criterio fondamentale per distinguere le prime (non punibili), dalle seconde (punibili in quanto “offensive” del bene giuridico tutelato). Solamente una valutazione, ex post, degli effetti rilevanti di una determinata condotta, infatti, può essere idonea a stabilire l’effettiva lesione (o, quanto meno, il concreto pericolo) degli interessi erariali essendo, al contrario, intollerabile qualunque automatismo applicativo.
La netta presa di posizione dei Giudici del Lussemburgo, in conclusione, non può che avere un impatto di assoluto rilievo – specialmente sul piano interpretativo – nell’ambito degli innumerevoli obblighi formali, contabili e documentali che caratterizzano il sistema dell’imposta sul valore aggiunto: ciò che, certamente, non è conforme al diritto europeo, sia nell’ottica della proporzionalità, sia della neutralità, è una logica formalistica dell’illecito basata su definizioni preconcette dei comportamenti “punibili in quanto tali” anche se, nel caso specifico, essi risultino privi di rilevanza ed inoffensivi.