Introducendo il divieto di utilizzo delle prove illegittimamente reperite, il legislatore ha inteso porre rimedio a una lacuna dell’ordinamento tributario, come interpretato dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione. La riforma incide, pertanto, su molteplici orientamenti giurisprudenziali, che erano invece diretti ad ammettere l’utilizzabilità di prove reperite in violazione della relativa disciplina. È tuttavia opportuna una più ampia riforma della disciplina dell’attività istruttoria, tesa a meglio delineare i presupposti e le condizioni per l’esercizio dei diversi poteri istruttori nonché i mezzi di tutela, anche preventivi, a disposizione del contribuente. Ciò sia per evitare che siano lasciati eccessivi margini di discrezionalità in capo ai verificatori, che potrebbero sfociare in arbitri e abusi, sia per scongiurare il possibile affermarsi di indirizzi interpretativi diretti ad aggirare il divieto di utilizzabilità delle prove reperite illegittimamente.
FIRST REFLECTIONS REGARDING THE EXCLUSION OF EVIDENCE DUE TO DEFECTS IN TAX INVESTIGATIONs as INTRODUCED BY THE REFORM OF THE TAXPAYERS’ STATUTE REFERRED TO IN LEGISLATIVE DECREE NO. 219/2023 By introducing the exclusion of evidence illegitimately obtained, the legislature intended to remedy a hole in the tax system, as interpreted by consolidated Supreme Court case-law. The reform therefore affects multiple positions adopted in case-law which were aimed at admitting the usability of evidence found in violation of relevant regulations. However, a broader reform of the regulations for tax investigations is needed, aimed at better outlining the prerequisites and conditions for the exercise of the various investigative powers as well as the means of protection, including preventive ones, available to the taxpayer. This is both to avoid leaving excessive margins of discretion for the Tax Authority, which could lead to arbitrary acts and abuses, and to prevent the emergence of case-law aimed at circumventing the exclusion of illegitimately found evidence.
1. L'art. 1, comma 1, lett. g), del D.Lgs. 30 dicembre 2019 ha introdotto l'art. 7 quinquies nella L. n. 212/2000, c.d. Statuto del contribuente, concernente i “vizi dell'attività istruttori”. In base a tale disposizione: “Non sono utilizzabili ai fini dell'accertamento amministrativo o giudiziale del tributo gli elementi di prova acquisiti oltre i termini di cui all'articolo 12, comma 5, ovvero in violazione di legge”.
La suddetta norma, in vigore dal 18 gennaio 2024, sembra essere emanata in attuazione dei principi della legge delega n. 111/2023 di cui agli artt. 4, comma 1, lett. b), 17, comma 1, lett. h) e 18, comma 1, lett. b), diretti a rafforzare il principio della certezza del diritto e ad “assicurare un'adeguata tutela del contribuente nel corso delle attività istruttorie poste in essere dall'Amministrazione finanziaria”.
Il legislatore ha, dunque, posto rimedio a una lacuna dell'ordinamento tributario, come interpretato dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, secondo la quale in tale ambito non era ravvisabile una norma generale che disponesse l'inutilizzabilità delle prove illegittime.
Secondo la Cassazione, infatti, il principio generale di inutilizzabilità̀ delle prove illegittimamente acquisite sarebbe stato valido esclusivamente in ambito penale (ex art. 191 c.p.p.), sicché l'acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell'accertamento fiscale non avrebbe comportato la inutilizzabilità degli stessi “in mancanza di una specifica previsione in tal senso” (cfr. Cass. n. 10664/2021; in senso conforme Cass. n. 10442/2003; Cass. n. 1543/2003; Cass. n. 1383/2002; Cass. n. 1343/2002; Cass. n. 13005/2001; Cass. n. 8344/2001). L'inutilizzabilità delle prove illegittimamente reperite poteva eventualmente derivare esclusivamente dalla violazione di specifiche disposizioni tributarie sul potere degli uffici o del giudice tributario di avvalersi di prove illegittimamente acquisite (cfr. artt. 33 del D.P.R. n. 600/1973 e 52 e 63 del D.P.R. n. 633/1972 e Cass. n. 958/2018; Cass. n. 18077/2010; Cass. n. 8990/2007) ovvero dalla violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale, quali l'inviolabilità della libertà personale o del domicilio, da cui discende direttamente – sebbene in modo implicito – il divieto di inutilizzabilità delle prove in violazione delle relative garanzie (cfr. Cass. n. 673/2019; Cass. n. 14701/2018; Cass. n. 8605/2015; Cass. n. 8606/2015; Cass. n. 24923/2011; Cass. n. 20253/2005).
Tale interpretazione non era invero l'unica possibile, posto che a diverso risultato interpretativo si poteva giungere valorizzando l'art. 70 del D.P.R. n. 600/1973, secondo il quale: “per quanto non è diversamente disposto dal presente decreto si applicano, in materia di accertamento delle violazioni e di sanzioni, le norme del codice penale e [continua..]