Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia,
Sez. VII, sent. 12 febbraio 2024, n. 468
La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia ha riconosciuto l’inerenza delle spese per l’acquisto di capi di abbigliamento da parte di un soggetto, esercente l’attività di influencer, perché ritenute strettamente collegate con l’attività svolta.
THE inherence of expenses for buying CLOTHING BY FASHION INFLUENCERS The Court of Tax Justice of the second degree of Lombardy has recognized the inherence of the expenses for buying clothing by a person, that works as an influencer, because they consider them closely related to the activity carried out.
1) La sentenza di merito in commento affronta un particolare ed interessante caso che consente di formulare alcune considerazioni in ordine all'applicazione del principio di inerenza.
La controversia alla base della sentenza sorge da un avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 2015 con cui l'Agenzia delle Entrate contestava l'indeducibilità di spese e l'indetraibilità della relativa IVA per l'acquisto, da parte di un soggetto esercente l'attività di influencer, di beni di consumo (quali capi di abbigliamento firmati, gioielli, accessori), spese amministrative per pratiche auto, spese di viaggio e spese per servizi.
In ordine al complesso di tali spese veniva anzitutto contestato dall'Amministrazione finanziaria che il contribuente non risultava avere fornito “una prova della specifica inerenza delle singole spese dedotte ad una determinata attività professionale” e, in riferimento ai beni di consumo, che non vi fosse “prova che il vestiario destinato ad uso strettamente personale possa considerarsi spesa sostenuta nell'esercizio dell'attività professionale a norma dell'art. 54 TUIR”.
La sentenza di primo grado respingeva il ricorso della parte privata, ritenendo, in primo luogo, che “la prova della sussistenza di componenti negativi di reddito professionale spetta al contribuente che intende dedurre la spesa”, onere che non era stato assolto dalla parte ricorrente, aggiungendo, in particolare, che le spese amministrative per pratiche auto e le spese di viaggio non possono essere giustificate dalla generica affermazione di “viaggiare per lavoro” e che le spese relative ai beni di consumo non possono considerarsi sostenute nell'ambito dell'attività professionale, ai sensi dell'art. 54 TUIR, “in assenza di prova della riferibilità dell'acquisto ad uno specifico incarico professionale”.
Il contribuente proponeva appello avverso la sentenza di primo grado.
Questi anzitutto censurava la pronuncia per errata valutazione della particolare professione svolta, sostenendo di essere una “fashion editor di fama mondiale […]”, dovendosi pertanto riconoscere che tale attività “esige l'uso di abiti particolari quale presupposto per lo svolgimento del lavoro”, che vanno considerati “uno strumento di lavoro e non acquistati per mero uso proprio”, invocandone, quantomeno, “la deducibilità parziale […] in ragione dell'uso promiscuo […]”. Con riferimento alle spese amministrative per pratiche auto, alle spese di viaggio e per servizi, invece, ne riteneva legittima la deducibilità in quanto “anche gli spostamenti sono strettamente connaturati con l'attività svolta”.
Il caso in esame, peculiare per l'attività svolta dalla parte ricorrente, permette di formulare alcune brevi considerazioni sulla portata del [continua..]